La Guerra sociale della classe globale
di Eugenio Orso
Presento
oggi un saggio sulla Guerra Sociale in corso, diviso in tre
capitoletti, del quale metto a disposizione il pdf completo e riproduco,
di seguito, il testo integrale.
La Guerra Sociale in atto
Dovrebbe
essere evidente alla gran maggioranza dei lavoratori dipendenti del
pubblico e del privato che in Italia siamo entrati nella fase finale
dell’Attacco Neoliberista al Lavoro. Dopo il “modello” di relazioni
industriali di Sergio Marchionne, pensato per scardinare il sistema
della contrattazione nazionale e bypassare lo statuto dei lavoratori
nell’industria, dopo la parentesi relativamente “soft” di Maurizio
Sacconi (Libro bianco, o verde, contro i lavoratori) e Renato Brunetta
(tornelli di controllo per il pubblico impiego), ministri nel precedente
governo, l’affondo finale contro i lavoratori è stato affidato, dalle
Aristocrazie finanziarie, al direttorio di Monti che Lor Signori hanno
insediato in Italia. Ciò che non hanno capito, tutti quelli che
nell’autunno 2011 hanno festeggiato, in piazza, l’estromissione di
Berlusconi e l’avvento di Monti, è che ora si fa sul serio, quanto a
Lavoro, pensioni, salari e diritti. Men che meno hanno compreso che
siamo in guerra, che lo scontro è ineguale, a “senso unico” e questa
volta non si fanno prigionieri. Monti e Fornero hanno potuto andar oltre
Berlusconi, Sacconi e Brunetta, grazie all’appoggio, palese od occulto,
dei sindacati ascari e della sinistra ammaestrata, realizzando qualche
obiettivo importante (riduzione delle pensioni, scardinamento dell’art.
18, compressione del pubblico impiego). L’ultima novità, in ordine di
tempo, sono gli interventi pianificati, da concordare con le solite
“parti sociali” condiscendenti, per gli esuberi nella pubblica
amministrazione centrale dello stato, e quindi per favorire una drastica
riduzione, nel tempo, degli organici e degli occupati. Dopo il settore
privato tocca al pubblico, e dopo la precarizzazione del Lavoro si passa
ad aggredire una volta e per tutte l’impiego stabile, anche in quelli
che furono i suoi più inattaccabili “santuari”. Decisa con la “spending
review” di Monti e Bondi una riduzione generalizzata della spesa
pubblica attraverso tagli lineari, con la scusa del suo contenimento a
parità di servizi (cosa che è praticamente impossibile), si sono create
formalmente le premesse per ridimensionare l’occupazione nel settore
pubblico. Negli anni precedenti, la lunga fase preparatoria ha
comportato l’avvio di una campagna mediatica e propagandistica,
addirittura diffamatoria, contro i lavoratori dell’amministrazione
pubblica centrale e locale, descritti sparando nel mucchio come dei pesi
morti e degli autentici “fannulloni”. I Nullafacenti, pessimo elaborato
del professor Pietro Ichino, sinistroide ex comunista vendutosi al
liberismo, ha avuto una grande eco (mediatica) e ne è una prova
evidente. Lo stesso ex socialista berlusconiano Renato Brunetta si è
dato da fare, contro i lavoratori, scrivendo e pubblicando La fine della
società dei salariati (comparso nel 1994). Alla criminalizzazione dei
dipendenti statali hanno contribuito giornali, televisioni, economisti
ed esponenti politici, preparando il terreno per i futuri interventi nel
settore. La riduzione delle dimensioni occupazionali del pubblico
impiego procederà a braccetto con la compressione delle dimensioni
economiche dello stato sociale. E’ ovvio che si tratterà di una
riduzione secca di posti di lavoro, per altro ammessa senza falsi pudori
da molti “organi d'informazione” sistemici. L’obiettivo potrebbe essere
quello di sopprimere mezzo milione di posti nel pubblico, di qui al
2014 o al 2015. Nelle condizioni attuali, destinate ad aggravarsi il
prossimo anno e gli anni successivi, il settore privato non sarà in
grado di “creare” nuovi posti di lavoro in alternativa al pubblico,
arginando il dilagare della disoccupazione giovanile, che si dichiara
furbescamente di voler combattere. Le politiche neoliberiste imposte al
paese non mirano a quel risultato (come spesso affermano ministri,
politici, economisti e giornalisti per nascondere la realtà), cioè alla
sostituzione dei posti di lavoro pubblici, e impieghi in aziende
decotte, con nuova occupazione nel privato in quadro di “competitività
sul mercato globale”, sostenendo e incrementando in tal modo
l’occupazione complessiva, ma rivelano scopi esattamente opposti. Per
molto tempo l’apparato ideologico-massmediatico e accademico ha diffuso
allarmismi (in sé giustificati) sui livelli di disoccupazione nel paese e
sulla caduta degli indici di produzione nazionali, imputandoli
all’inevitabile, ossia vendendoli come una conseguenza “naturale”,
addirittura destinale, di quella ristrutturazione internazionalizzata
dei sistemi produttivi, commerciali e finanziari chiamata
globalizzazione e pilotata autoritariamente dall’alto. E’ ormai ovvio
che hanno mentito sapendo di mentire, per non far comprendere alla
classe dominata quali sono i reali scopi del “libero mercato” e qual è
la sua vera natura. Non ci sono destini inevitabili in atto e non c’è un
orizzonte futuro di democrazia globale e di crescita a vantaggio dei
popoli, raggiungibile soltanto se si entra nelle logiche globaliste
operando le dovute “riforme” e favorendo le necessarie
“liberalizzazioni”. Al contrario, sono state proprio le politiche
neoliberiste, le controriforme, le privatizzazioni e le liberalizzazioni
finora applicate a portarci fino a questo punto, con il rischio di
scivolare sempre più in basso. Hanno mentito anche sul ruolo
internazionale dell’Italia, perché la “crescita” non arriverà mai,
soprattutto continuando con le politiche neoliberiste, e al paese, nei
contesti della sedicente economia globale, è riservato fin d’ora un
ruolo di secondo o terzo piano, fino alla sua irrilevanza più completa.
Perciò, com’è addirittura banale da comprendere (tanto più, con il senno
di poi), tutte le vecchie litanie riflesse dai media e recitate dai
politici liberaldemocratici, come il “ce lo chiede l’Europa!”, o i
discorsetti propagandistici in difesa dell’euro, celavano la volontà
della classe dominante di applicare ovunque, a qualsiasi prezzo per le
popolazioni, i precetti e gli schemi dell’economia neoliberista. Giacché
l’imbroglio ha funzionato e ha dato ottimi frutti, tutto ciò
continuerà, anche se pochi collaborazionisti politici e giornalistici,
oggi, si azzardano a ricorrere all’ormai trito e ritrito “ce lo chiede
l’Europa” come ad una formula magica. I tassi d'impopolarità raggiunti
dall’unione europide, dall’euro e dalla politica di matrice
liberaldemocratica, in Italia e altrove, non costituiranno però un vero
ostacolo all’applicazione concreta di tali politiche, che potrà
proseguire fino alle estreme conseguenze, raggiungendo un punto di non
ritorno. Ciò sarà possibile in assenza di segnali consistenti di una
diffusa e destabilizzante reazione popolare. In altri termini, per ora
il Nemico di Classe e di civiltà sta camminando sul velluto e spera di
poterlo fare anche nei prossimi anni. Questo drammatico discorso non
riguarda soltanto l’Italia, o la Grecia, ma è destinato ad assumere
sempre di più una dimensione europea, fino a investire paesi come la
Francia e la stessa Germania, complice nello “sfruttamento” dei popoli
d’Europa più esposti alla pressione del debito e alla minaccia dello
spread. Fin tanto che non vi sarà una vera opposizione, fuori dai
castranti schemi liberaldemocratici, fin tanto che vi saranno soltanto
“utili idioti” indignados (già morenti), sindacati gialli che di tanto
in tanto sbraitano a vuoto per imbonire i lavoratori, simpatici grillini
in ascesa che aspirano al parlamento liberale, vecchi comunisti in
discesa fermi alla seconda o alla terza internazionale, o peggio, i
dannosi esaltati di alba dorata che aggrediscono immigrati, gay e
barboni come se fossero i veri responsabili dei disastri sociali, la
stabilità del sistema di potere in essere e gli interessi sovrani della
classe dominante non correranno alcun reale pericolo. Tanto più che si
vieta tassativamente ai governi sottomessi di interferire con le
dinamiche finanziarie, e di spostare i carichi fiscali dal Lavoro alla
finanza, colpendo in modo efficace le rendite e la creazione del valore
azionario, finanziario e borsistico. L’ultimo esproprio in un ordine
storico, quello attuale neocapitalistico, è rivolto principalmente
contro il Lavoro, i ceti medi morenti e in generale le vecchie classi
subalterne in via di dissoluzione, e questo proprio nell’occidente
“sviluppato”, che fu il cuore di una limitata ma significativa
promozione sociale. Appropriarsi il patrimonio pubblico, sottomettendo
definitivamente gli stati, è una prassi neocapitalistica che procede con
la “globalizzazione dei mercati” e la compressione del Lavoro. Si
presti la dovuta attenzione alla circostanza che le ostilità non sono
rivolte soltanto contro la Grecia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo –
in questo momento sotto bombardamento continuo – ma anche contro il
popolo americano, ed in particolare contro l’estesa “middle class” che
popola quel paese e che si avvia verso il declino. Nella stessa Germania
i redditi popolari, pur ancora alti rispetto ai nostri o a quelli dei
greci, da tempo stanno perdendo terreno. Anche in Germania hanno preso
piede il lavoro temporaneo e quello precario, e la nazione tedesca è
costretta a misurarsi come tutte le altre con l’”economia globale”, a
subire la doppiezza di governi controllati, o almeno influenzati, dal
Libero Mercato. Non c’è paese che possa sottrarsi agli attacchi
globalisti contro il Lavoro e i Lavoratori. La Guerra Sociale della
classe globale combattuta contro di noi, negli ultimi decenni, fa
tornare alla mente il lungo assedio di Sarajevo, in cui gli assedianti
sparavano dalle creste dei monti contro una popolazione quasi
completamente inerme, beneficiando della loro posizione strategica e del
monopolio delle artiglierie.
La Guerra Sociale, le prospettive e il Lavoro
Nei
prossimi mesi, anche se si verificheranno disordini, con un accenno di
reazione più consistente ed estesa delle masse-pauper, non dobbiamo
aspettarci che le Aristocrazie finanziarie, i loro sub-dominanti e i
loro collaborazionisti locali allentino la presa, fino a togliere
l’assedio, proprio ora che siamo entrati nella fase finale dell’Attacco
al Lavoro. Prioritaria, per la classe dominante, è la completa vittoria
nella Guerra Sociale “a senso unico”, per giungere rapidamente alla
soluzione finale del problema dei lavoratori e dei loro diritti. In
Italia, esaurita la fase finale di attacco i tre “mercati del lavoro”
esistenti, in via di ulteriore trasformazione – lavoro stabile tutelato,
lavoro precario flessibilizzato e lavoro nero o informale – si
appiattiranno sull’unico modello neoliberista, che implica progressive
svalutazioni economiche dei redditi da lavoro e la completa rinuncia ai
diritti per lavorare e sopravvivere. Questo è il target globalista,
quasi raggiunto in Grecia e facilmente raggiungibile in Italia. Leggendo
distrattamente in rete negli ultimi giorni, ho appreso che i capi di
stato maggiore delle armi greche, al netto di eventuali indennità,
percepiranno uno stipendio netto mensile inferiore a quello di un comune
impiegato tedesco! Meno di duemila euro per il capo di una delle tre
armi e poco più di duemila per il capo di stato maggiore delle tre armi.
Naturalmente per loro ci saranno le indennità, a rimpinguare la paga,
ma la cosa è oltremodo significativa. Non parliamo poi del lavoro
intellettuale, degli stessi professori universitari, e per quanto
riguarda la massa anonima dei lavoratori greci ancora occupati, cinque o
seicento euro mensili potranno bastare e avanzare. Evidente, in questo,
una rapida “cinesizzazione” del fattore lavoro destinata a estendersi
al resto dell’Europa occidentale. C’è da credere che si arriverà a una
tale situazione anche in Italia, dopo la Grecia, e non ci vorranno di
certo decenni per raggiungere il punto di non ritorno. Ecco un risultato
importante, atteso dai dominanti globali in occidente e parzialmente
conseguito, che testimonia l’approssimarsi della vittoria sui dominati
nella Guerra Sociale scatenata dai neoaristocratici. Per quanto riguarda
specificamente il Lavoro, in Italia vi sono state tre fasi di attacco,
limitandoci al periodo che va dai primi novanta a oggi: (a)
l’introduzione dei contratti di precarietà per flessibilizzare il
fattore e abbatterne il costo aggirando la legge 300, (b) i tentativi
(in buona parte di riusciti) di bypassare lo Statuto dei Lavoratori del
1970 e neutralizzare l’art.18 anti-licenziamenti dello stesso, nel
settore privato, onde flessibilizzare il lavoro stabile a tempo
indeterminato, e attualmente (c) le ostilità rivolte contro i lavoratori
pubblici, per demolire gli ultimi “templi” della stabilità lavorativa e
comprimere la spesa dello stato. Libertà di licenziamento,
contrattazione individuale (a scapito del più debole, cioè del
lavoratore), applicazione generalizzata dei contratti a termine e della
precarietà sono altrettante parole d’ordine neoliberiste per “mettere
sotto” definitivamente i lavoratori, spostando risorse in quantità
crescente dal Lavoro al Capitale Finanziario. Per sconfiggere il Lavoro e
annichilire la socialità, non è stato però sufficiente procedere a
colpi di controriforme dirette contro i lavoratori. Si è reso necessario
aggredire la sovranità nazionale, politica e monetaria, degli stati
trasferendo altrove le decisioni strategiche in termini di politica
monetaria, economica e sociale, perché la precondizione necessaria per
la realizzazione della giustizia sociale, per il sostegno
all’occupazione e ai redditi popolari, per la stessa emancipazione di
massa (che teoricamente dovrebbe supportare e rendere possibile la
democrazia) risiede proprio nella piena sovranità degli organismi
statuali. In senso anti sovranista ha agito l’”europa dell’unione” che
nei primi novanta ha sostituito la comunità europea, attraverso la
moneta unica, le sue istituzioni, i trattati e la banca centrale
privata. Una concezione sovranista positiva, nei termini prima
descritti, non ha a niente che vedere con l’ideologia nazionalista
otto-novecentesca, o con la volontà di potenza imperialistica, ma si
armonizza con la socialità e con la volontà di emancipazione del Lavoro e
delle masse. E’ proprio contro questi valori e questi principi che è
stata diretta l’azione ventennale dell’unione europide in mani
globaliste. Nei piani elaborati per il pieno successo nella Guerra
Sociale in atto, è previsto l’”accanimento terapeutico” nei confronti
dei paesi dell’Europa meridionale e mediterranea in difesa dell’euro.
Anzi, l’”accanimento terapeutico”, che a prima vista, superficialmente,
può sembrare insensato, crudelmente inutile, frutto di un cumulo di
errori pregressi che non si vogliono ammettere e correggere (compiuti
fin dalla nascita della moneta unica), fa parte a pieno titolo delle
dinamiche neocapitalistiche dell’epoca, e perciò non è un errore, ma una
necessità riproduttiva, un’arma utilizzata per piegare definitivamente
il Lavoro e le entità statali. Lo stesso euro, moneta straniera sotto
controllo privato che ci imprigiona in una “camicia di forza”, non è un
errore da correggere, una “svista” clamorosa alla quale si può rimediare
rivedendo e implementando poteri e funzioni della BCE, ma è uno
strumento di dominazione elitistica che funziona a dovere, raggiungendo
gli scopi assegnati. E’ proprio la “terapia” imposta a paesi come la
Grecia, la Spagna e l’Italia a favorire l’esproprio di risorse
neocapitalistico, la colonizzazione degli stati e la riduzione a
un’impotenza sottopagata del fattore-lavoro. Tornando alla metafora del
lungo e sanguinoso assedio di Sarajevo, l’”accanimento terapeutico” in
difesa dell’euro può essere ben simboleggiato da una batteria di obici
che spara da lontano, su un nemico ridotto all’impotenza, senza subire
il fuoco di controbatteria.
Aspetti non economici della Guerra Sociale
La
stessa idea del Conflitto Sociale, della Lotta di Classe in termini
marxisti e marxiani, e quindi delle possibili alternative al sistema, è
stata accuratamente distrutta disarticolando le vecchie classi dominate
per romperne la compattezza, passivizzarle e favorire la nascita di un
nuovo ordine “compatibile” con il neocapitalismo. La conclamata morte
dell’idea del Conflitto fra i membri delle classi subalterne
disarticolate favorisce le Aristocrazie finanziarie dominanti nella
Guerra Sociale neocapitalistica, inibendo le reazioni delle vittime e
avvicinando a grandi passi il momento della vittoria finale. Possiamo
concludere che la Guerra Sociale oligarchica del presente – ineguale
confronto fra un’Acropoli trionfante e un’Agorà ridotta all’impotenza –
non ha soltanto scopi economici, che si sostanziano in un assoluto
prevalere, nella distribuzione del prodotto, del Capitale Finanziario
sul Lavoro, ma consente ai dominanti di raggiungere importanti obiettivi
di diversa natura, primo fra tutti l’affermarsi, in tempi brevi, di un
nuovo ordine sociale compatibile con le dinamiche neocapitalistiche e la
superiorità, su tutto il resto (politica compresa), dei Mercati e degli
Investitori. Si è scritto, nel recente passato, che gli obiettivi di
politiche come quelle montiane non sono solo ragionieristico-economici,
ma anche antropologici, per una trasformazione dell’uomo che le subisce
in individuo adatto a vivere il presente e il futuro, nella permanente
instabilità generata dall’affermazione del Nuovo Capitalismo. Così la
pensa il filosofo Costanzo Preve, e così la pensa anche il sottoscritto.
Trattasi di una grande verità, e in effetti, dal punto di vista della
riproduzione sistemica complessiva e degli interessi sovrani che questa
nasconde, è la manipolazione culturale e antropologica dei dominati a
rendere possibili gli espropri oligarchici senza provocare tensioni
sociali “distruttive” e insostenibili. Si potrebbe persino affermare,
con cinica ironia, che sono proprio la manipolazione antropologica e la
distruzione accelerata del vecchio ordine sociale (e di riflesso delle
classi dominate novecentesche) a favorire la “sostenibilità” complessiva
del modello neocapitalistico. La svalutazione economica del Lavoro,
inoltre, ha richiesto una parallela svalutazione culturale dello stesso,
che ha reso possibile e addirittura “accettabile”, da parte di chi la
subisce, la progressiva riduzione del potere d’acquisto di salari e
stipendi verificatasi negli ultimi due o tre decenni. Ma la Guerra
Sociale ci rivela anche un altro importante scopo non economico: quello
di “temprare” i membri della classe neodominante, per renderli adatti ad
affrontare con la dovuta durezza minacce provenienti dal fondo della
piramide sociale, nonché i pericoli esterni rappresentati da entità
statali non ancora sottomesse o da residuali formazioni di resistenti.
In questo ordine d’idee rientra la stessa guerra infinita al terrore
(ancora in corso, nonostante il “soft power” obamiano), proclamata dopo
l’11 settembre 2001 da G. W. Bush e dalle oligarchie finanziarie che lo
manovravano. E’ con la guerra infinita al terrore di Bush junior e dei
neocon che la guerra tradizionale esterna (Afghanistan, Iraq),
nell’intero occidente si è affiancata minacciosamente al Conflitto
Sociale interno, integrandolo in difesa del neocapitalismo. Uno stato di
guerra permanente e la “mobilitazione” dei dominanti in difesa del modo
storico di produzione prevalente, infine, contribuisce a dissolvere le
dimensioni culturali pregresse della vecchia borghesia spodestata, in
guisa tale che i membri della nuova classe “alta” non possano maturare
alcuno spirito critico nei confronti del Nuovo Capitalismo – come
accadde a molti borghesi, almeno fino alla svolta del Sessantotto, nei
confronti di “quel” capitalismo – e quindi pregiudicare dall’interno la
stabilità del sistema. In seno alla Global class è arduo immaginare che
possa nascere, oggi, un Marx, o anche soltanto un Keynes. Inutile
descrivere in questa sede i numerosi strumenti di dominazione non
economici, non monetari e non finanziari impiegati contro le masse dai
dominanti nel corso della Guerra Sociale (politicamente corretto,
pacifismo strumentale e “fede” liberaldemocratica, frammentazione
territoriale e categoriale delle lotte, divide et impera sociale
mettendo i gruppi di lavoratori l’uno contro l’altro, eccetera), perché
l’ho già fatto in molte altre occasioni, in diversi articoli, post e
saggi rintracciabili in rete. E’ però chiaro che le armi a disposizione
del nostro Nemico di Classe in questa guerra, manovrate sapientemente
dai suoi mercenari e dai collaborazionisti locali, sono numerose ed
efficaci, e soprattutto che gli scopi perseguiti nel conflitto non sono
esclusivamente economici. Perciò, chi pensa di poter contrastare il
nemico globalista soltanto sul terreno dell’economia – ad esempio
rievocando la riforma capitalistica keynesiana attraverso la Modern
Money Theory, restituendo così una “funzione propulsiva” ai deficit del
bilancio statale e alla spesa pubblica – pur essendo in assoluta buona
fede ed essendo lodevoli le sue intenzioni (far conoscere l’economia al
popolo come necessaria “presa di coscienza” della situazione), sbaglia
nell’analisi e nella prospettiva. In questo caso, si crede possibile il
ritorno a un passato economico sepolto, che avrebbe appoggi politici
inesistenti, resuscitando così com’erano formazioni sociali
novecentesche e modelli di capitalismo ormai defunti. Parimenti, chi
crede che l’unico e il solo motivo per cui le masse e il Lavoro sono
stati costretti in un angolo è la caduta del saggio medio di profitto
capitalistico, ben visibile fra gli anni sessanta e ottanta del
novecento, cade in errore offrendo una visione soltanto parziale del
problema. Vi è ancora l’eco delle teorie del crollo novecentesche (il
saggio di profitto in declino sarà la pietra tombale del capitalismo) e
una visione del sistema che si limita ai meri aspetti macroeconomici.
Ancor peggio, chi crede nella possibilità di una “riforma
neocapitalistica” senza pregiudicare la struttura in essere, ma mettendo
semplicemente sotto controllo la finanza per ridare un po’ di ossigeno
(cioè di risorse) al Lavoro e al sociale, se non è un imbroglione
politico, sindacale o accademico in aperta mala fede, muove da una
prospettiva completamente sbagliata, perché il sistema è “irriformabile”
per ragioni strutturali, e la creazione del valore azionaria,
finanziaria e borsistica, progressivamente accelerata, è una sua colonna
portante irrinunciabile. Se l’economia politica timidamente critica,
interna al sistema, non è certo una rarità (pensiamo a celebri premi
nobel “liberal” come Paul Krugman), ciò che manca è una Nuova Critica
complessiva, articolata su molti piani, dell’Economia Politica
Neoliberista – sulla scorta della Critica dell’Economia Politica operata
a suo tempo da Karl Marx, nei confronti del primo capitalismo
industriale, dall’alienazione umana nei rapporti di produzione alla
teoria del valore – ed è questa, soltanto questa, che potrebbe
costituire un’arma nelle mani dei pochi resistenti, alimentando una
futura ideologia di legittimazione rivoluzionaria. Mentre impazza la
Guerra Sociale senza quartiere voluta dalle Aristocrazie dominanti, una
cosa che non dobbiamo fare è cadere nella “trappola economicista”,
cercando disperatamente di muoverci su un unico terreno, quello
economico, un campo minato in cui la superiorità nemica è ormai
incontrastata. Fuor di metafora e di teoria, ci sono altri terreni sui
quali potrà svilupparsi concretamente, con qualche efficacia, la
controffensiva, e ci sono i punti deboli del sistema di potere nemico
che già oggi possiamo osservare con sufficiente chiarezza. La
vulnerabilità, ad esempio, dei sub-dominanti politici locali, più
facilmente e produttivamente attaccabili, più raggiungibili
nell’immediato, nonché protetti da difese più deboli di quelle riservate
alle Aristocrazie finanziarie. La prima linea del fronte di conflitto,
quella per noi perfettamente visibile, è rappresentata proprio da loro,
assieme ad altri sub-dominanti e collaborazionisti locali (sindacalisti
gialli, accademici prezzolati, banchieri indigeni, alti industriali,
opinionisti dei giornali, anchormen televisivi, economisti, politologi e
sociologi “di grido”, eccetera, eccetera). Saranno costoro a subire, un
giorno, il primo, furibondo contrattacco, quando si inizierà a fare il
vuoto intorno ai dominanti globali, per cercare di interrompere i flussi
della globalizzazione neoliberista e incidere sulla riproduzione
sistemica. Su questo posso ancora nutrire qualche speranza. Chi vuol
capire capisca … di più non posso scrivere.
http://pauperclass.myblog.it/archive/2012/11/19/la-guerra-sociale-della-classe-globale-di-eugenio-orso.html