Individuo e Comunità: compenetrazione e distinzione
di due entità.
Maurizio Neri
Per parlare a mente
lucida del comunismo come legittima possibilità di organizzazione umana da
conseguire nel reale attraverso la formazione di comunità solidali e compiute,
tramite il progressivo cambiamento delle strutture e delle coscienze, bisogna
ripartire proprio da quell'idea di capitalismo utopico, smithiana,
respingendone integralmente il presupposto spontaneista prima ancora dell'esito
catastrofico reale.
All'astrazione dei rapporti sociali che si determinano
attraverso casuali movimenti spontanei di ciascuno, un comunismo comunitario
deve opporre l'altissima considerazione del momento decisionale razionale, come
momento di profonda condivisione umana e di possibile raggiungimento di
un'armonia collettiva cosciente a priori.
Nella comunità l'armonia oggettiva finale è impensabile
senza l'armonia intenzionale soggettiva di ciascuno, e non può esistere alcun
equilibrio teorico valutabile ex-post ( sulla base, ad esempio, del progresso
materiale conseguito) che non proceda
dallo stato cosciente di partecipazione e di ordine per ciascuno fin dal
principio della sua appartenenza.
In questo senso Marx, nel formulare una teoria comunista
senza Stato, si poneva in continuità con l'aspetto utopistico della risoluzione
totale della conflittualità senza mediazione politica cosciente: se nell'utopia
capitalistica la risoluzione della conflittualità classista dell'ordine antico
feudale doveva avvenire con la paradossale e suicida esaltazione della
conflittualità individuale a priori ( cioè quella soggettiva ed intenzionale
che si esprime nell'atto egoistico sociale di ciascuno), nell'utopia comunista
di Marx tale risoluzione avviene attraverso la definitiva soppressione di ogni
rapporto cristallizzato, da quello di soggezione personale di diritto
caratterizzante l'antico regime, a quello di soggezione di fatto al capitale,
caratterizzante il modo di produzione capitalistico. Il fatto che l'utopia
comunista di Marx fosse un'utopia inscritta all'interno della misura umana
ritrovata nel limite e nell'adesione all'essenzialità della vita, e che invece
l'utopia capitalistica fosse un'utopia dell'illimitato e del delirio smisurato
dell'immane raccolta di merci, è un fatto assolutamente fondamentale e dirimente,
ma al momento non necessario ai fini dell'aspetto utopico spontaneistico, ad
entrambe le utopie comune, che mi interessa indagare.
Soppressi gli elementi di soggezione dall'esterno ( di
diritto e di fatto) e le loro cristallizzazioni ideologiche conseguenti ( le
sovrastrutture culturali, religiose, politiche ), secondo Marx, si sarebbe
potuti giungere al comunismo, ovvero la potenzialità solidaristica umana si
sarebbe potuta risvegliare dal torpore, a partire dalla spontaneità dei
rapporti e dall'autorganizzazione, senza cioè passare per il momento politico
e, a priori, etico, credendo che la contraddizione tra uomo e uomo nel
relazionarsi in società si sarebbe estinta automaticamente una volta estinti
anche i suoi presupposti oggettivi ( la proprietà privata come rapporto
giuridico tutelato dalla legge). In tal senso la rivoluzione borghese non
poteva che essere vista come fattore progressivo in sé ( seppur parziale e
falso), poiché dava inizio al processo di
decostruzione dell'esistente.
( In proposito coloro
che vedono in Marx il responsabile dell'elemento ultra-politico parossistico
del comunismo realmente esistito, stravolgono completamente l'ordine dei
problemi, poiché l'eccesso di Marx fu semmai individualista, e non certo
collettivista e ultra-politico).
Affermare la centralità della comunità come luogo di
esplicazione reale del comunismo, significa esattamente respingere ogni pretesa
positivistica del comunismo come movimento procedente dalle relazioni spontanee
di uomini liberati dalle catene dell'ideologia, della proprietà, e in una
parola, di uomini liberati dalla contraddizione tra società e individuo.
Tale contraddizione in sè non è superabile, a mio avviso,
con il trapasso dal modo di produzione capitalistico a quello cooperativistico
comunista, poiché permane strutturale all'uomo una dialettica ( che lo
caratterizza naturalmente) tra sfera intima e sfera comunitaria che lo induce
ad occuparsi di ciò che è in comune in maniera profondamente diversa rispetto a
ciò che è intimo ( diversa e non qualitativamente peggiore o eticamente meno
fondata )
Capire questo è un passo decisivo per rivendicare
l'autonomia della politica comunitaria come luogo di partecipazione reale
ontologicamente distinto dall'individuo.
Anche qui, la differenza tra distinzione e separazione è
essenziale: separazione significa alienazione e soprattutto si traduce in un'
operazione astratta e teorica possibile solo a posteriori, in cui si descrive
l'individuo come atomo isolato che aderisce ad un contratto difensivo reciproco
con il resto del corpo sociale, secondo uno schema artificiale che non
considera il fatto che individuo e comunità non sono concetti pensabili se non
insieme. Inutile dire che quest'idea è alla base del meccanismo di riproduzione
capitalistico, e che è la fonte di ogni male sociale odierno.
Distinzione nell'unità e nella compenetrazione reciproca, è
invece a mio avviso la reale descrizione del rapporto tra individuo e comunità.
Senza distinzione, infatti, si ricorre ad un artificio di segno opposto
altrettanto pericoloso, che vorrebbe far scomparire, sempre attraverso
un'operazione astratta a posteriori, l'importanza dell'autonomia comunitaria e
dell'autonomia individuale come spazi rigorosamente diversi con il conseguente
annullamento di ogni spazio intermedio tra singoli e comunità umana totale.
Riconoscere tale differenza è importante soprattutto per
rivendicare concetti spesso negletti o ostaggio di false o persino oscene
interpretazioni e manipolazioni, che affronterò nei prossimi paragrafi.
La responsabilità dei singoli.
Per introdurre con nettezza la proposizione della
compenetrazione nella distinzione ta individuo e contesto, mi è utile tracciare
il concetto di responsabilità individuale, oggetto di opposte visioni, oggi
dominanti, confluenti entrambe nell'individualismo esasperato
deresponsabilizzante.
Laddove non si veda
la distinzione ontologica tra individuo e comunità, si rischia di far sparire
in una presunta onnicomprensività del sistema le proprie azioni individuali
giustificandole a priori per l'influsso nefasto di un sistema giudicato come
cattivo. Tale idea si rovescia in maniera immediata e paradossale nel peggior
individualismo leggittimatore del disordine, poiché, negando al singolo la
possibilità nonché il dovere di essere presente e vigile, al di là ed oltre la degenerazione
comunitaria o sociale, lo pone rispetto al sistema in una posizione di comodo e
di rivendicazione: non la rivendicazione stralegittima dei lavoratori sfruttati
o degli inquilini sfrattati, ma la rivendicazione comportamentale di fondo,
dell'individuo lamentoso assorbito dal meccanismo anonimo di riproduzione
sociale ( vedremo in seguito come tale degenerazione paradossale, ma
chiarissima di tipo individualistico-collettivista sia inerente all'attuale mondo
formalmente anti-capitalistico di nicchia, post-moderno ed anarcoide).
L'antitesi di tale cecità di fronte a questa distinzione, è,
all'estremo opposto, il delirio meritocratico-responsabilizzante liberale,
paravento falso di ogni discorso odierno di difesa dell'ordine capitalistico
costituito. Il cinismo liberale in proposito è talmente flagrante da risultare
persino disgustoso: la pretesa di attribuire all'uomo già strappato a forza
dalla propria comunità, un'etica della responsabilità avulsa dal reale, cioè
esclusivamente limitata al rispetto dei presupposti egoistici e distruttivi del
sistema stesso ( competitività, proprietà privata, più lavoro= più soldi,
sacralizzata legge del più forte) si estrinseca in un'etica apparentemente
razionale, cosi' tanto razionale da sembrare persino matematica, per cui nella
libera contrattazione del libero mercato, chi fallisce è colpevole di
incapacità o pigrizia. Non mi soffermo oltre su quest'etica spazzatura, le cui
radici non vanno ricercate ( come premesso) in un presupposto egoistico di una
cricca di banditi, ma in una falsa utopia contraddittoria pericolosissima che
ci ha condotto al pietoso stato di coma comunitario in cui versa il mondo
contemporaneo occidentale.
Affermare la responsabilità individuale reale significa
invece, credere semplicemente che ogni singolo abbia il sacrosanto dovere, in
ogni tempo ed in ogni sistema, di agire socialmente in conformità alla
necessità e al rispetto del prossimo, senza alcuna scusante a posteriori da
paranoia sistemica, nonché il diritto di porsi soggettivamente in aperta
critica alla comunità.
Il dovere legato al rispetto delle norme comportamentali e
la corrispondenza ai criteri di proporzione ( nelle azioni) e necessità ( si
ruba per fame o per impellenza, non per diletto e il rubare in sé resta
comunque un'azione negativa ) non possono mai essere superati dal vittimismo
sistemico per cui ogni cosa che va male è colpa del sistema e pertanto si è
legittimati ad essere antisociali fino a che non ci sarà la rivoluzione: è
evidente come tale pensiero sia in realtà speculare al cinismo della falsa
responsabilità liberale ( secondo cui il poveraccio che ruba il pane merita la
galera, come il lavavetri che disturba l'automobilista).
I due estremi devono essere visti entrambi, a mio avviso,
come negazione dell'individuo libero e comunitario. Sapendo, da un lato, che
chi si erge a critico del sistema corrotto senza mettere in radicale
discussione previa sé stesso e il proprio comportamento finisce per essere
risucchiato inevitabilmente dallo spirito del branco, e la sua critica al
sistema resterà inevitabilmente o sterile lamento o schiamazzante estremismo di
nicchia. E sapendo, dal lato opposto, che non è tollerabile alcun cinismo o
sproloquio o delirio sulla responsabilità individuale in senso
economico-meritocratico nella società del caos produttivo, e della plutocrazia
più assoluta. ( E aggiungo che il merito di risultato non dovrebbe mai
assurgere in alcun sistema sociale ad ideologia di fondazione valoriale
dell'etica comunitaria, essendo piuttosto l'impegno e il senso del dovere
reciproco le uniche variabili di condivisione reale della vita comune).
In tempi in cui spadroneggiano le due ideologie speculari e
falsamente opposte del liberalismo meritocratico individualista e dell'anarchismo
comportamentale pretenzioso, queste precisazioni non sono affatto inutili.
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