lunedì 7 febbraio 2011

Foucault e la post-modernità


Eduard Wolken

Attorno alla figura di Michel Foucault si è costruita, negli ultimi decenni, un vero e proprio “culto”, una attenzione dovuta alla capacità del pensatore francese di esercitare, sin dagli esordi della sua attività di studioso, un’azione “magistrale” in una molteplicità di campi e di discipline: dalla psichiatria, alla storia della sessualità, dal pensiero politico fino all’etica, intesa come studio dei saperi e delle discipline mediante le quali “governare il sé”. In parte – specie se andiamo al momento aurorale di questa fama, cioè al 1968 e all’impatto che gli eventi legati a questa data esercitarono sul costume e sulle mentalità – essa andava a integrare l’azione di altri filosofi o psicologi, non meno importanti e famosi: basti pensare a Louis Althusser o a Lacan. In parte essa riuscì ad attrarre l’interesse di un pubblico vastissimo formato non solo da specialisti, incuriosito dalla capacità del maestro francese di innovare la terminologia politica (pensiamo soprattutto a lemmi come “ governamentalità”, biopotere, biopolitica) rovesciando le prospettive dell’analisi politologica e l’approccio stesso ai fenomeni legati alla politica.
In Italia l’attenzione per Foucault si può dire che sia costante ed ininterrotta da più di trent’anni: dall’attenzione critica di Massimo Cacciari negli anni settanta, fino alle opere di Agamben e di Negri che al pensatore d’oltralpe debbono parte del loro bagaglio filosofico. Di tutto ciò reca testimonianza la costante pubblicazione o ripubblicazione dei testi più importanti di Foucault e soprattutto, per quanto ci interessa più da vicino, la pubblicazione dei Corsi tenuti al College de France, in particolare “Nascita della bio-politica” (Corso del 1978 – 79) . Le lezioni di questo anno accademico intendevano chiarire la misura di alcune importanti trasformazioni che avevano modificato lo Stato moderno e il ruolo che, a partire dal settecento, era stato preso dall’economia politica sullo sfondo nel nascente liberalismo.
La governamentalità liberale e la razionalizzazione delle pratiche governative che a questa corrente di pensiero si ispira, andava progressivamente integrandosi con l’economia politica. Mentre in precedenza il potere regio era stato limitato dal diritto che, dall’esterno, intendeva regolarne l’arbitrio, a partire dal diciottesimo secolo l’economia politica comincia a costituire un dispositivo interno al potere tale, che chi governa dovrà cercare di costruire un equilibrio fra regolazione politica e mercato. Se l’obiettivo è rispettare la “natura” economica, cioè le leggi economiche che dovranno condurre all’abbondanza e al benessere, sarà importante non solo ciò che la governamentalità farà, ma anche ciò che essa, autolimitandosi, deciderà di non fare per non impedire il libero dispiegarsi dell’economia stessa. Molto interessante diviene, a questo punto, quel rovesciamento prospettico che Foucault opera nella disanima del rapporto fra potere e Stato nell’epoca del liberalismo. Sappiamo che il pensatore francese intendeva il potere non già come una “sostanza” posseduta dai governanti ed esercitata sui governati, ma come reticolo di micro-poteri operanti sin dal livello minimo della società (relazioni fra i sessi, scuola, lavoro). Il potere è una relazione funzionale che attraversa i corpi, e quindi il liberalismo è orientato a far sì che i cittadini producano e riproducano una serie di pratiche e di comportamenti funzionali al conseguimento del benessere collettivo. Il liberalismo suscita la libertà ma allo stesso tempo non può che misurarsi con il crescente stato di insicurezza e di precarietà generati da questa libertà diffusa. Di centrale importanza è a questo punto il mercato: « che è la macchina che consuma libertà e funziona grazie ad essa, ed il governo è l’azione che tale libertà pone in essere, producendo al contempo il sistema delle protezioni dai pericoli» . La governamentalità liberale eserciterà progressivamente un’azione sempre più estesa e capillare di controllo della conformità sociale ai dettami del mercato e il Panopticon di Bentham ne rappresenta in un certo senso il paradigma. Col tempo, la governamentalità liberale darà vita all’homo oeconomicus e la biopolitica troverà il proprio coronamento «con l’effetto di trasferire il modello del mercato a tutte le sfere dell’esistenza, ivi comprese le più intime, private, soggettive» . Tutto ciò non viene da Foucault analizzato per deprecare una massificazione omologante e repressiva, ma, come accennavamo poc’anzi, con l’intento di indicare via di fuga dal controllo che le soggettività, in quanto creatrici del proprio contesto sociale, possono sempre attuare. È a questo punto che si apre il discorso sugli sviluppi e le innovazioni che il pensiero di Foucault (che non si è mai considerato marxista) ha esercitato su alcune correnti del pensiero post – moderno, in particolare Giorgio Agamben e Antonio Negri.

Comunismo e Comunità N. 3

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