lunedì 26 marzo 2012

IL PROBLEMA, PER I LAVORATORI, È LA “LOGICA DELLA DELEGA”

di Sebastiano Isaia

                                                Cosa presuppone la puntualità tedesca?

Dal «modello sovietico» dello scorso millennio all’attuale «modello tedesco»: la “sinistra sindacale” ha fatto un passo nella giusta direzione. Verrebbe da dire: eppur si muove! Giusta direzione, beninteso, dal punto di vista della modernizzazione capitalistica. C’è, però, una quasi insignificante considerazione che complica un po’ le cose. Infatti, il tanto rinomato «modello tedesco» in materia di mercato del lavoro (una locuzione senza peli benecomunisti sulla lingua) presuppone la cosiddetta «economia sociale di mercato» made in Germany, ossia un sistema capitalistico altamente produttivo, efficiente, disciplinato, tutto orientato alle esportazioni di «beni e servizi».
                                              Modello tedesco. Un Capitalismo coi fiocchi!

È il caso del Bel Paese? Ovviamente no. Per implementare il welfare tedesco in Italia ci vorranno parecchi decenni di accumulazione capitalistica, perché la manna del valore, che rende possibile la sopravvivenza e lo sviluppo della società basata sul profitto, non cade dal cielo, ma viene fuori smungendo la Vacca Sacra del lavoro salariato (vedi Art. 1 della Costituzione). Detto per inciso, il progressista Cancelliere Schröder, oggi al servizio della rendita petrolifera russa, a suo tempo “riformò” radicalmente il «modello tedesco», adeguandolo alle nuove necessità del Capitale Teutonico post unificazione. E nulla osta a una sua ulteriore «manutenzione», per esprimermi come il salumiere che protempore guida il PD, se nuove esigenze apparissero all’orizzonte.Questo per dire quanto illusorie siano tutte le illusioni circa «modelli sociali» buoni per i lavoratori nell’ambito del vigente regime sociale mondiale. La finzione dell’autonomia dello «Stato Sociale» dal processo allargato dell’accumulazione capitalistica non regge ai colpi della crisi economica.

Franco Piperno ha dichiarato che la “riforma” dell’Art. 18 non intacca tanto il potere dei lavoratori, quanto «il potere contrattuale del sindacato». Del sindacato collaborazionista (o consociativo, ovvero corporativo), aggiungo io. Non c’è dubbio. Come ho più volte scritto, intorno a quell’articolo, e sulla pelle dei lavoratori, si gioca una partita politica tutta interna alla cosiddetta «sinistra italiana», cioè a dire alla galassia formatasi dopo il Big Bang del PCI. Ma non solo, naturalmente. La crisi economica ha fatto venire al pettine le annose magagne sociali (economiche, istituzionali, politiche, ideologiche, persino psicologiche) del Paese, a partire da quel Capitalismo assai “partecipato” dallo Stato che oggi non trova più alcuna base materiale (valoriale direi). Non c’è più trippa da spartire, signori! Questo ci dice la crisi finanziaria del Sovrano. Di qui, la crisi di una «sovrastruttura» (sindacalismo collaborazionista compreso) in larga misura sorta negli anni Trenta del secolo scorso come risposta alla Grande Crisi del ’29, di cui la pratica consociativa tra Stato-Confindustria-Sindacato è una plastica testimonianza. La “dissidenza” di Marchionne va inquadrata in questa crisi di sistema.
                                                   Mario è in Asia, per il bene del Paese.

Da buon liberale, Mario Monti ha dichiarato di non aver nulla in contrario agli scioperi proclamati dal sindacato, «perché il conflitto sociale fa parte della democrazia». La pratica consociativa aveva di mira proprio quel conflitto, per evitarlo o comunque depotenziarlo, «per il bene superiore del Paese». “Pace sociale” in cambio di qualche briciola da far cadere soprattutto sulla classe operaia delle grandi imprese, controllate dai sindacati di massa, espressione di lavoratori ridotti al rango di una massa inchiodata alla croce della «delega democratica», ai partiti, allo Stato, ai sindacati.

                                                                     Non si tocca?

Ecco perché, a mio modesto avviso, più che difendere l’Art. 18, diventato il feticcio ideologico e lo strumento politico degli ex militanti e simpatizzanti del «più grande partito comunista occidentale» (“comunista” qui sta per stalinista o statalista), chi vuole sviluppare una reale capacità di reazione dei lavoratori agli attacchi del Capitale nazionale e internazionale, deve porre la questione della loro attuale sudditanza nei confronti della maligna «logica della delega» che li rende politicamente e socialmente impotenti e incoscienti della loro straordinaria potenza sociale.

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