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venerdì 5 aprile 2013

Se il capitalismo diventa di sinistra

 
 
Diego Fusaro
 
Sul fatto che alle elezioni la sinistra, a ogni latitudine e a ogni gradazione, sia andata incontro all’ennesima sonante sconfitta, non v’è dubbio e, di più, sarebbe una perdita di tempo ricordarlo, magari con documentatissimi grafici di riferimento. Più interessante, per uno sguardo filosoficamente educato, è invece ragionare sui motivi di questa catastrofe annunciata. E i motivi non sono congiunturali né occasionali, ma rispondono a una precisa e profonda logica di sviluppo del capitalismo quale si è venuto strutturalmente ridefinendo negli ultimi quarant’anni. Ne individuerei la scena originaria nel Sessantotto e nell’arcipelago di eventi ad esso legati. In sintesi, il Sessantotto è stato un grandioso evento di contestazione rivolto contro la borghesia e non contro il capitalismo e, per ciò stesso, ha spianato la strada all’odierno capitalismo, che di borghese non ha più nulla: non ha più la grande cultura borghese, né quella sfera valoriale che in forza di tale cultura non era completamente mercificabile.

Non vi è qui lo spazio per approfondire, come sarebbe necessario, questo tema, per il quale mi permetto, tuttavia, di rimandare al mio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani, 2012). Comunque, per capire a fondo questa dinamica di imposizione antiborghese del capitalismo, e dunque per risolvere l’enigma dell’odierna sinistra, basta prestare attenzione alla sostituzione, avviatasi con il Sessantotto, del rivoluzionario con il dissidente: il primo lotta per superare il capitalismo, il secondo per essere più libero individualmente all’interno del capitalismo. Tale sostituzione dà luogo al piano inclinato che porta all’odierna condizione paradossale in cui il diritto allo spinello, al sesso libero e al matrimonio omosessuale viene concepito come maggiormente emancipativo rispetto a ogni presa di posizione contro i crimini che il mercato non smette di perpetrare impunemente, contro gli stermini coloniali e contro le guerre che continuano a essere presentate ipocritamente come missioni di pace (Kosovo 1999, Iraq 2003 e Libia 2011, giusto per ricordare quelle più vicine a noi, avvenute sempre con il pieno sostegno della sinistra).

Dal Sessantotto, la sinistra promuove la stessa logica culturale antiborghese del capitalismo, tramite sempre nuove crociate contro la famiglia, lo Stato, la religione e l’eticità borghese. Ad esempio, la difesa delle coppie omosessuali da parte della sinistra non ha il proprio baricentro nel giusto e legittimo riconoscimento dei diritti civili degli individui, bensì nella palese avversione nei confronti della famiglia tradizionale e, più in generale, della normalità borghese. Si pensi, ancora, alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, distruggendo le acquisizioni della benemerita riforma della scuola di Giovanni Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti e crediti, presidi managers, ecc.).

Il principio dell’odierno capitalismo postborghese è pienamente sessantottesco e, dunque, di sinistra: vietato vietare, godimento illimitato, non esiste l’autorità, ecc. Il capitalismo, infatti, si regge oggi sulla nuda estensione illimitata della merce a ogni sfera simbolica e reale (è questo ciò che pudicamente chiamiamo “globalizzazione”!). “Capitale umano”, debiti e crediti nelle scuole, “azienda Italia”, “investimenti affettivi”, e mille altre espressioni simili rivelano la colonizzazione totale dell’immaginario da parte delle logiche del capitalismo odierno. Lo definirei capitalismo edipico: ucciso nel Sessantotto il padre (l’autorità, la legge, la misura, ossia la cultura borghese), domina su tutto il giro d’orizzonte il godimento illimitato. Se Mozart e Goethe erano soggetti borghesi, e Fichte, Hegel e Marx erano addirittura borghesi anticapitalisti, oggi abbiamo personaggi capitalisti e non borghesi (Berlusconi) o antiborghesi ultracapitalisti (Vendola, Luxuria, Bersani, ecc.): questi ultimi sono i vettori principali della dinamica di espansione capitalistica. La loro lotta contro la cultura borghese è la lotta stessa del capitalismo che deve liberarsi dagli ultimi retaggi etici, religiosi e culturali in grado di frenarlo.

Dalla sinistra che lotta contro il capitalismo per l’emancipazione di tutti si passa così, fin troppo disinvoltamente, alla sinistra che lotta per la legalità, per la questione morale, per il rispetto delle regole (capitalistiche!), per il diritto di ciascuno di scolpire un sé unico e inimitabile: da Carlo Marx a Roberto Saviano. È certo vero che Berlusconi è il Sessantotto realizzato, come ha ben mostrato Mario Perniola in un suo aureo libretto: la legge non esiste, vi è solo il godimento illimitato che si erge a unica legge possibile. Ma sarebbe un errore imperdonabile credere che il capitalismo sia di destra. Lo era al tempo dell’imperialismo e del colonialismo. Oggi il capitalismo è il totalitarismo realizzato (a tal punto che quasi non ci accorgiamo nemmeno più della sua esistenza) e, in quanto fenomeno “totalizzante”, occupa l’intero scacchiere politico. Più precisamente, si riproduce a destra in economia (liberalizzazione selvaggia, privatizzazione oscena, sempre in nome del teologumeno “ce lo chiede l’Europa”), al centro in politica (sparendo le ali estreme, restano solo interscambiabili partiti di centro-destra e di centro-sinistra), a sinistra nella cultura. Sì, avete capito bene: a sinistra nella cultura. Dal Sessantotto in poi, la cultura antiborghese in cui la sinistra si identifica è la sovrastruttura stessa del capitalismo postborghese: il quale deve rimuovere la borghesia e lasciare che a sopravvivere sia solo la già ricordata dinamica di estensione illimitata della forma merce (essa stessa incompatibile con la grande cultura borghese). Di qui le forme culturali più tipiche della sinistra: relativismo, nichilismo, scetticismo, proceduralismo, pensiero debole, odio conclamato per Marx e Hegel, elogio incondizionato del pensiero della differenza di Deleuze, ecc.

In questo timbro “totalizzante” risiede il tratto principale dell’ormai avvenuta estinzione dell’antitesi tra destra e sinistra, due opposti che oggi esprimono in forme diverse la stessa visione del mondo, duplicando tautologicamente l’esistente. Negli ultimi “trent’anni ingloriosi”, il capitale e le sue selvagge politiche neoliberali, all’insegna della perdita dei diritti del lavoro e della privatizzazione sfrenata, si sono imposti con uguale forza in presenza di governi ora di centro-destra, ora di centro-sinistra (Mitterand in Francia, Blair in Inghilterra, D’Alema in Italia, ecc.). Di conseguenza, l’antitesi tra destra e sinistra esiste oggi solo virtualmente come protesi ideologica per manipolare il consenso e addomesticarlo in senso capitalistico.

Destra e sinistra esprimono in forme diverse lo stesso contenuto e, in questo modo, rendono possibile l’esercizio di una scelta manipolata, in cui le due parti in causa, perfettamente interscambiabili, alimentano l’idea della possibile alternativa, di fatto inesistente. Vi è, a questo proposito, un inquietante intreccio tra i due apoftegmi attualmente più in voga presso i politici – “non esistono alternative” e “lo chiede il mercato” –, intreccio che rivela, una volta di più, l’integrale rinuncia, da parte della politica, a operare concretamente in vista della trasformazione di un mondo aprioristicamente sancito immodificabile.

Il paradosso sta nel fatto che la sinistra oggi, per un verso, ha ereditato il giacimento di consensi inerziali di legittimazione proprio della valenza oppositiva dell’ormai defunto partito comunista e, per un altro verso, li impiega puntualmente in vista del traghettamento della generazione comunista degli anni Sessanta e Settanta verso una graduale “acculturazione” (laicista, relativista, individualista e sempre pronta a difendere la teologia interventistica dei diritti umani) funzionale al capitalismo globalizzato. Il quotidiano “La Repubblica” è la sede privilegiata di questo processo in cui si consuma questa oscena complicità di sinistra e capitalismo. I molteplici rinnegati, pentiti e ultimi uomini che popolano le fila della sinistra si trovano improvvisamente privi di ogni sorta di legittimazione storica e politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa di mobilitazione. Per questo, la sinistra continua inflessibilmente a coltivare forme liturgiche ereditate dalla fede ideologica precedente nell’atto stesso con cui abdica completamente rispetto al proprio originario “spirito di scissione” (la formula è del grande Antonio Gramsci), aderendo alle logiche del capitale in forme sempre più grossolane. È di Bersani la frase, pronunciata in campagna elettorale, “i mercati non hanno nulla da temere dal PD”: frase pleonastica, perché esprime ciò che già tutti sapevamo, ma che è rilevante, perché ben adombra come la sinistra continui indefessamente a lavorare per il re di Prussia, il capitalismo gauchiste.

Lungo il piano inclinato che porta dalla nobile figura di Antonio Gramsci a personaggi come Massimo D’Alema o Vladimir Luxuria si è venuto consumando il tragicomico transito dalla passione trasformatrice al disincanto cinico – tipico della generazione dei pentiti del Sessantotto, la più sciagurata dal tempo dei Sumeri ad oggi – fondato sulla consapevolezza della morte di Dio, con annessa riconciliazione con l’ordo capitalistico. Con i versi di Shakespeare: “orribile più di quello delle erbacce è l’odore dei gigli sfioriti” (lilies that fester smell far worse than weeds). E questi gigli sono effettivamente sfioriti: sono l’incarnazione di quello che Nietzsche chiamava l’“ultimo uomo”. L’ultimo uomo sa che Dio è morto e che per ciò stesso tutto è possibile: perfino aderire al capitalismo e bombardare il Kosovo o la Libia.

È, del resto, solo in questo scenario che si comprende il senso profondo della dinamica, oggi trionfante, della personalizzazione esasperata della polemica con l’avversario. L’antiberlusconismo, con cui la sinistra ha identificato il proprio pensiero e la propria azione negli ultimi vent’anni, ne rappresenta l’esempio insuperato. La personalizzazione dei problemi, infatti, si rivela sempre funzionale all’abbandono dell’analisi strutturale delle contraddizioni, ed è solo in questa prospettiva che si spiega in che senso l’antiberlusconismo sia stato, per sua essenza, un fenomeno di oscuramento integrale della comprensione dei rapporti sociali. L’antiberlusconismo ha permesso alla sinistra di riciclarsi, ossia di passare dall’opposizione operativa al capitalismo all’adesione alle logiche neoliberali, difendendo l’ordine, la legalità (capitalistica) e le regole (anch’essere capitalistiche). L’antiberlusconismo ha indotto l’opinione pubblica a pensare che il vero problema fossero sempre e solo il “conflitto di interessi” e le volgarità esistenziali di un singolo individuo e non l’inflessibile erosione dei diritti sociali (tramite anche le forme contrattuali più spregevoli, che rendono a tempo determinato la vita stessa) e la subordinazione geopolitica, militare e culturale dell’Italia agli Stati Uniti.

Ingiustizia, miseria e storture d’ogni sorta hanno così cessato di essere intese per quello che effettivamente sono, ossia per fisiologici prodotti del cosmo a morfologia capitalistica, e hanno preso a essere concepite come conseguenze dell’agire irresponsabile di un singolo individuo. Per questa via, la politica della sinistra – con Voltaire, “mi ripeterò finché non sarò capito” – non ha più avuto quale referente polemico il sistema della produzione e dello scambio – ritenuto anzi incondizionatamente buono o, comunque, intrascendibile –, bensì l’irresponsabilità di una persona che, senza morale e senza onestà, ha inficiato il funzionamento di una realtà sociale e politica di per sé non contraddittoria.

La politica ridotta al tragicomico teatro identitario dell’opposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani ha permesso di far passare inosservato lo scolpirsi del nuovo profilo di una sinistra che – nel nome della questione morale e nell’oblio di quella sociale – ha abdicato rispetto alla propria opposizione agli orrori che il capitalismo non ha cessato di generare. È in questo senso che l’antiberlusconismo rivela la sua natura anche più indecente, se mai è possibile, dello stesso berlusconismo.  In questo risiede la natura tragica, ma non seria dell’odierna sinistra, fronte avanzato della modernizzazione capitalistica che sta distruggendo la vita umana e il pianeta. La sinistra è il problema e, insieme, si pensa come la soluzione. Il primo passo da compiere per riprendere il perseguimento del programma marxiano dell’emancipazione di tutti dal capitalistico regno animale dello spirito consiste, pertanto, nell’abbandono incondizionato della sinistra e, anzi, della stessa dicotomia destra-sinistra. Tutto il resto è chiacchiera d’intrattenimento o, avrebbe detto Marx, “ideologia”.

venerdì 9 marzo 2012

 LA BUSSOLA SI E’ ROTTA



di Costanzo Preve



1. Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.



2. Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.

In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.

Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.

In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.

3. Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).

Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.

Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.

L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.



4. Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.

In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.



5. Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.

Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.

E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.



6. Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.

Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?

Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.

Sulla votomania compulsiva.

E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.

A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.

Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.

Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.

Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!

Torino, 3 marzo 2012