La Rivoluzione di Eugenio Orso
I) La Rivoluzione.
Se
i rivoluzionari sono gli agenti della Rivoluzione, coloro che la fanno
ai diversi gradi di consapevolezza possibili, ed esprimono una critica
“radicale”, non riassorbibile, al sistema di potere e ai rapporti
sociali dell’epoca, allora è necessario definire senza troppe
imprecisioni cos’è la Rivoluzione, richiamando la definizione che ne ho
dato in un saggio intitolato, appunto, Insurrezione e Rivoluzione.
Pur
non essendo questo un trattato dedicato alla Rivoluzione, con tutta
l’analisi storica che può comportare lo studio di un simile fenomeno di
rottura (e ricomposizione in altra forma) dell’ordine sociale vigente, è
bene definire cosa si intende per “rivoluzione”, prima di affrontare il
tema dei Rivoluzionari di domani, delle loro caratteristiche e del loro
rapporto con le masse.
E’
necessario, per andare un po’ di più in profondità nella questione,
distinguere lo specifico fenomeno politico e sociale rivoluzionario, che
investe ogni aspetto della vita associata dei singoli, da altri
importanti fenomeni che hanno l’effetto di “infiammare” la società, di
sconvolgerne (seppur nel breve) gli equilibri, di mettere alla prova la
stessa tenuta sistemica, trattandosi di eventi in certi casi
apparentemente simili o addirittura sovrapponibili al processo
rivoluzionario, come l’Insurrezione.
Per
Rivoluzione qui si intende, non un semplice cambio di governo, sia pure
realizzato con metodi “non democratici” ed “extracostituzionali”, che
mira alla sostituzione della dirigenza politica e di una parte di quella
burocratica, ma una tappa fondamentale, un momento topico del lungo
processo di Liberazione ed Emancipazione umana per il raggiungimento
dell’autocoscienza, che supera l’ordine precedente ed instaura un nuovo
ordine politico e sociale, nuovi rapporti sociali e di produzione
stabiliti fra gli uomini.
La Rivoluzione
rappresenta, perciò, un punto di rottura, un discrimine fra due mondi
(prima Rivoluzione Francese e Ottobre Rosso in Europa, Rivoluzione
Maoista in Asia, Rivoluzione Cubana in America, eccetera), il segnale
che è in corso un vero e proprio “cambio di Evo”, essendo il cambiamento
prodotto dalle inevitabili trasformazioni culturali che caratterizzano
il corso storico e dalla stessa azione dei rivoluzionari.
L’effettivo
momento di passaggio da un vecchio ad un nuovo modo di produzione
sociale può essere rappresentato, o almeno accelerato, dalla
Rivoluzione, un fenomeno per sua natura tridimensionale, contrapposto
all’unidimensionalità insurrezionale alimentata dalla sola rabbia dei
dominati, in quanto (A) dotato della necessaria profondità storica (il
periodo di “incubazione” può durare decenni, o secoli), (B) guidato da
una visione politica e sociale autenticamente alternativa a quella
ancora dominante, (C) animato dalla coscienza e dalla determinazione dei
rivoluzionari, vero “intelletto attivo del cambiamento e trasformativo
dell’ordine esistente”, quando riescono ad incanalare positivamente in
termini politici, sulla via del cambiamento e della trasformazione
economico-sociale, la rabbia montante, l’odio che nasce dall’iniquità
sistemica, la forza degli oppressi e delle masse soggette al potere
vigente.
Non
esiste un unico modello di Rivoluzione universalmente applicabile, e
l’implosione del comunismo sovietico, nato da una Rivoluzione, non
significa in alcun modo – come la propaganda liberal-liberista ha
cercato di far credere in questi anni, mistificando – che la Rivoluzione
stessa è morta insieme all’Unione Sovietica e al blocco geopolitico
socialista, ma significa semplicemente che la via rivoluzionaria, in
futuro, potrà seguire direzioni diverse da quelle e rivestire altre
forme, non più leniniste, con esiti sociopolitici ben diversi.
Nessun
momento rivoluzionario è mai uguale ai precedenti (ed ai successivi),
così come le forze rivoluzionarie, cioè l’insieme degli agenti che
trasformano la realtà e “disalienano” l’uomo, sono perfettamente immerse
nel corso storico, quale più avanzata risultante delle precedenti
trasformazioni antropologico-culturali, ma nel contempo concretamente
esprimono, combattendo il sistema e le forze che cercano di perpetuarlo o
semplicemente di riformarlo, la potenzialità connessa alla natura umana
della “possibilità di scegliere e di opporsi” – anche contro lo stesso
interesse personale e di classe del singolo – che è frutto
dell’esercizio della ragione nel calcolo politico-sociale e l’esito
della possibilità di critica.
Per
definire la Rivoluzione in un modo sintetico ma efficace, non in
contraddizione con i concetti che ho esposto in precedenza, si può
ricorrere alle parole del filosofo Costanzo Preve:
«Se
vogliamo usare il termine di rivoluzione nel solo modo corretto e non
equivoco [ ... ] e cioè di rivolgimento che attiene il funzionamento
riproduttivo complessivo dell’intera struttura dei rapporti di
produzione [ ... ] allora ne consegue che nell’ultimo secolo in Europa
(1912 – 2012) la sola ed unica rivoluzione sia stata quella russa del
1917.»
[Etica comunitaria, progresso e rivoluzione, Costanzo Preve intervistato su questi temi da Luigi Tedeschi]
Al
massimo grado possibile di cambiamento storico e culturale, come
sostiene il grande filosofo marxiano ed hegeliano Costanzo Preve, vi è
il rivolgimento che attiene il funzionamento riproduttivo complessivo dell’intera struttura dei rapporti di produzione,
e ciò vale, in estrema sintesi, ad esplicitare l’importanza del momento
rivoluzionario, che si riverbera su ogni aspetto della stessa vita
quotidiana (e dell’esperienza esistenziale) dei singoli.
Lungi
dal rappresentare un semplice cambio di governo e/o un rinnovo forzato
della “classe dirigente politica” (che potrebbero tranquillamente
avvenire in seguito ad un golpe “nonviolento” e la nomina di un Monti
alla guida dell’esecutivo), la Rivoluzione è la risultante storica di un
processo articolato, che implica per sua natura significativi
cambiamenti culturali e una rinnovata consapevolezza umana (o almeno
della parte migliore e più avanzata dell’umanità , rappresentata dalla élite rivoluzionaria) nel lungo cammino verso l’autocoscienza e l’emancipazione.
Il
momento rivoluzionario deve essere inteso quale momento culminante del
cambiamento, di quel processo storico che si sostanzia in una profonda
trasformazione dei rapporti sociali di produzione, e per conseguenza
della stessa organizzazione sociale nel suo complesso.
La
società non si rinnova mai nei suoi tratti essenziali per “gentile
concessione” dei gruppi dominanti, mossi dal senso di responsabilità nei
confronti dei sottoposti, guidati dall’”empatia” nei confronti del
resto dell’umanità e disposti, perciò, a sacrificare una parte dei loro
privilegi, o a ridimensionare progressivamente il loro potere.
La
società si rinnova da cima a fondo soltanto attraverso la lotta, che
può assumere forme estreme (“terrorismo”, rivolte violente, conseguenti e
sanguinose repressioni sistemiche, eccetera), e gli assetti sociali
mutano attraverso sconvolgimenti epocali dell’ordine costituito, fino a
raggiungere il culmine della lotta stessa, il climax della “tragedia
sociale”, rappresentato dalla Rivoluzione.
http://pauperclass.myblog.it/archive/2012/06/21/la-rivoluzione-di-eugenio-orso.html
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