Lineamenti di una futura lotta di liberazione
di Eugenio Orso
Premessa
In
questo e nei prossimi interventi ci proponiamo di affrontare alcuni
temi di estrema rilevanza politica e sociale. Lo scopo è di abbozzare,
una prima volta, i lineamenti che dovrà avere una futura lotta di
liberazione e gli obiettivi che auspicabilmente dovrà conseguire. I
punti da sviluppare sono i seguenti:
1) Dittatura centralista rivoluzionaria.
2) Odio di classe, Vendetta sociale e Disumanizzazione del nemico.
3) (Ri)educazione di massa.
Il
neocapitalismo, attraverso i suoi molti canali di propaganda, di
flessibilizzazione e di condizionamento delle masse è riuscito a
trasformare l’uomo e le società, a renderli adatti a sopportare lo
“sfruttamento totale” che le sue dinamiche e le sue esigenze
riproduttive implicano. Usiamo deliberatamente l’espressione
“sfruttamento totale” – che virgolettiamo non ironicamente – perché ci
si è spinti ben oltre il vecchio recinto della fabbrica, in cui si
accumulava e si estorceva il plusvalore (secondo Karl Marx). La
sussunzione reale del lavoro al capitale, indagata una prima volta da
Marx, si è estesa “a macchia d’olio”, in questi decenni di trapasso dal
capitalismo produttivo dello scorso millennio al neocapitalismo
finanziarizzato, a ogni ambito della vita umana, individuale e sociale.
La sussunzione è raddoppiata, per l’assoluta superiorità del capitale
finanziario su quello “produttivo” e l’estorsione del plusvalore è un
sottoinsieme della creazione del valore azionario, finanziario e
borsistico che la contiene. Si è agito sull’uomo, per manipolarlo e
diminuirlo, su vari fronti, a partire da quello del lavoro,
precarizzato, sotto pagato e svalutato culturalmente. Il tasso di
violenza espresso dal sistema è oggi alle
stelle e gli spazi alternativi, extralegali, di resistenza, sono stati
spazzati via, o si sono ridotti a piccole, insignificanti isole in un
mare sconfinato di neoconformismo. Il dissenso espresso in forme
radicali sopravvive nella virtualità della rete, sospesa su una realtà
sociale e umana che si vuole rendere invisibile, illeggibile o si vuole
semplicemente esorcizzare. All’interno del sistema politico di supporto
al neocapitalismo, vige una sorta di “democrazia del mercato”, di
matrice assolutistica, che non ha più bisogno di un vero consenso di
massa (per quanto estorto, manipolato), avendo ridotto le elezioni
politiche a suffragio universale a un puro momento rituale, a fronte di
programmi politici già decisi dalle élite globaliste e a senso unico. In
questa situazione, se ci fossero forze extraparlamentari agguerrite,
disposte alla lotta nelle piazze, non avrebbero più leve. Se ci fossero
ancora le BR, non avrebbero più gruppi di fuoco. Per far digerire agli
operai la rischiavizzazione, ai ceti medi l’impoverimento progressivo,
ai giovani la disoccupazione endemica, gli agenti neocapitalistici hanno
agito sull’uomo con ogni mezzo a disposizione, senza scrupolo alcuno.
Pacifismo, politicamente corretto, culto irrazionale e masochistico
della democrazia (liberale), culto del mercato e del privato (i grandi
capitali finanziari), dominano incontrastati le menti e la vita delle
masse, che sembrano aver perduto anche l’ultima stilla di coscienza
politica e sociale.
Parte I – Dittatura centralista rivoluzionaria
Oggetto
del presente intervento è la contrapposizione alla democrazia
rappresentativa di matrice liberale – che supporta lo sfruttamento
totale neocapitalistico e i crimini perpetrati dai dominanti contro
l’uomo e l’ambiente – di un sistema di governo alternativo, demonizzato
dai “sinceri democratici” al servizio del neocapitalismo, in grado di
supportare validamente la rivoluzione politica e sociale per la
liberazione dell’uomo. La superiorità assoluta del mercato e del grande
capitale finanziario, assicurata sul piano politico dalla democrazia
rappresentativa liberale, potrà trovare il suo contraltare soltanto in
una forma di governo opposta, centralizzata, affidata a nuove élite
anticapitaliste e antimercatiste, adatta ad affrontare le emergenze
ereditate dal nuovo capitalismo finanziarizzato e i grandi cambiamenti
storici. Una forma di governo che potrà supportare validamente un grande
progetto di controdemiurgia rivoluzionaria, per la liberazione
definitiva e integrale dell’uomo dalle catene neocapitalistiche.
A
questo punto, si rende indispensabile una precisazione. Non vi è alcuna
contraddizione fra questo e un nostro precedente intervento, in cui
abbiamo stabilito i lineamenti di un programma politico-strategico
alternativo, applicabile alla realtà storica, sociale e politica di
paesi oppressi come l’Italia. Nel post Le basi programmatiche
dell’alternativa abbiamo esplicitato i punti principali,
nell’essenziale, di un programma opposto a quello neocapitalistico,
stabilito dagli organismi sopranazionali e applicato dai gruppi politici
subdominanti nei vari paesi sottomessi. Le basi programmatiche da noi
proposte nel citato scritto sono “sovraniste”, dal punto di vista
monetario e politico (uscita dall’euro, dall’unione europoide e dal
sistema di alleanze “occidentale”), dirigiste, dal punto di vista
economico (con la riattivazione piena dello stato imprenditore, le
rinazionalizzazioni), keynesiane, dal punto di vista del modo di
intendere la funzione del deficit dello stato e quella della spesa
pubblica. Infine, nel programma si riconosce la centralità dello stato
sociale, per un autentico sviluppo centrato sull’uomo, che dovrà essere
riattivato ed esteso. La prima vera libertà umana, volutamente ignorata
dai pubblicisti del neoliberismo sfrenato, era, è e resterà quella dal
bisogno economico.
Come
si nota, non abbiamo delineato i contorni di un programma
collettivista, volto in tempi brevi alla completa socializzazione di
tutti i mezzi di produzione e alla scomparsa dell’iniziativa privata
(come ci sarebbe piaciuto fare). Questo perché, nel breve, data la
situazione di passività di massa e di colonizzazione delle menti, solo
un programma “intermedio” come quello da noi tratteggiato potrà avere
speranze di successo. Per speranza di successo intendiamo l’adesione di
gruppi politici, di intellettuali e di economisti con (almeno) un piede
dentro il sistema, con la possibilità effettiva di “smuovere” la
situazione dall’interno. Intendiamo anche la possibilità concreta di
consenso fra le masse pauperizzate, oggi
passive, idiotizzate socialmente e politicamente, impaurite e ricattate
dal punto di vista economico (la “spada di Damocle” del debito pubblico,
il peggioramento della “crisi” produttiva e occupazionale), “educate”
(o meglio, ammaestrate) al pacifismo a senso unico e al rispetto
assoluto, all’accettazione acritica della democrazia neocapitalistica di
mercato (l’unica e la sola oggi esistente).
Il
passaggio dalla democrazia liberale, con annessa truffa del suffragio
universale e della rappresentanza “condizionata” dall’esterno, al nuovo
sistema di governo centralizzato, che opererà a beneficio delle
masse-pauper neutralizzando le minoranze neocapitalistiche rapaci,
difficilmente potrà compiersi nel breve o nel brevissimo periodo. Del
resto, in Russia l’Ottobre Rosso dei bolscevichi è stato preceduto dalla
rivoluzione mancata del 1905 e dal governo menscevico, che continuava
la guerra zarista e manteneva in vita il parlamento. La rivoluzione
maoista e comunista in Cina ha avuto un periodo di gestazione ben più
lungo, prima di giungere alla vittoria, dal 1912 al 1949. In sintesi,
sia per quanto riguarda gli aspetti programmatici sia per quanto
riguarda la forma di governo, noi prevediamo due fasi rivoluzionarie
future. La prima soltanto parziale, protorivoluzionaria, di superamento
progressivo delle politiche neoliberiste, mercatiste ed europoidi (per
quanto riguarda i paesi prigionieri dell’eurolager). In questa fase, che
potrà rivelarsi piuttosto lunga e incerta, le “istituzioni
democratiche” liberali saranno mantenute in vita, in tutto o in parte.
Le forze politiche che la domineranno – “euroscettiche”, ostili al
grande capitale finanziario, sovraniste, ma interne al capitalismo –
potrebbero forse essere paragonate, dal nostro punto di vista e con le
dovute cautele, ai menscevichi prima di Lenin e del Potere ai Soviet.
Soviet, dei soldati, degli operai e dei contadini, che erano gli unici e
i soli completamente alternativi all’allora “parlamentarismo borghese”
(Lenin docet). La seconda fase propriamente rivoluzionaria, quella
decisiva, rappresenterà la fine di una lunga marcia di avvicinamento al
potere e un’accelerazione del processo di liberazione dell’uomo
dall’oppressione del capitale finanziario, dall’usura neocapitalistica e
dall’inganno della democrazia. In questa fase emergeranno in piena luce
le forze autenticamente rivoluzionarie e trasformative, che prenderanno
saldamente la guida della società e concentreranno nelle proprie mani
il potere effettivo. La Dittatura centralista, nella seconda fase,
quella propriamente definibile rivoluzionaria, potrà rappresentare un
sistema di governo alternativo e caratteristico della transizione dal
periodo rivoluzionario alla nuova società postcapitalista. Una
transizione che difficilmente potrà essere gestita “dal basso”, in modo
“democratico” – com’è facilmente intuibile – con il rischio incombente
del fallimento, del caos e/o del ritorno dei criminali neoliberisti al
potere.
La
demonizzazione della dittatura, iniziata propagandisticamente nella
parte occidentale del mondo dopo la seconda guerra mondiale, risponde oggi
a ben precisi interessi di classe. Quelli della classe globale
dominante. La demonizzazione della dittatura – frutto di una fuorviante
interpretazione del corso storico da parte di vincitori – si sostanzia
nella demonizzazione integrale del nazionalsocialismo, del comunismo
sovietico e del fascismo, coinvolgendo una buona parte della storia del
novecento europeo. Dopo la capitolazione dell’Unione Sovietica, ha
riguardato singoli avversari del neocapitalismo, o autocrati venduti
come mostri sanguinari, alla costante ricerca di un nemico irriducibile
da dare in pasto, propagandisticamente, alle masse idiotizzate e
flessibilizzate. Un nemico che faccia dimenticare alle popolazioni
occidentali una situazione sociale sempre più negativa e a loro
sfavorevole. Saddam Hussein, Slobodan Milosevic, Mohammar Gheddafi e oggi
Assad rientrano in quest’ordine d’idee. Sono i “demoni” portatori della
dittatura, in contrapposto alla democrazia liberale, coloro che negano
apertamente i diritti astratti, inoperanti nella concretezza dei
rapporti sociali e produttivi, nati dall‘inganno liberale. Sono,
costoro, gli obiettivi prediletti delle guerre esterne
neocapitalistiche, combattute sempre contro avversari militarmente molto
più deboli con il supporto dei media e dei mercati. Rappresentano i
moderni “stregoni” – condannati a morte dal “tribunale
dell’inquisizione” della classe globale dominante – da mandare
letteralmente al rogo. Non da soli, purtroppo, ma insieme ai paesi e ai
popoli che guidano. La supremazia del libero mercato globale tendente
alla massima espansione, quale riflesso irrinunciabile del modo di
produzione neocapitalistico che ha “messo sotto” la politica, è ben
compendiata, a livello di sistema di governo, dall’esportazione della
democrazia liberale. Un’esportazione armata e destabilizzante, nelle
società e per i popoli vittime di questa forma di neocolonizzazione. La
dittatura è quindi il nemico numero uno, sul piano politico, e talora fa
il paio con il “populismo”, venduto come un mix di fascismo e comunismo
che critica sul piano sociale gli effetti delle politiche neoliberiste.
Se la dittatura, nelle sue più significative espressioni storiche, fu
romana, poi giacobina e infine del proletariato, con la mediazione del
partito comunista nelle forme adottate in Unione Sovietica, in futuro
non potrà che assumere lineamenti e contenuti originali, diversi da
quelli del passato. Contrapporre una nuova forma di Dittatura
centralista rivoluzionaria alla democrazia finanziaria di mercato si
rivelerà una necessità, perché il superamento del neocapitalismo
finanziarizzato implicherà anche il superamento del suo miglior
compendio, sul piano politico, cioè la democrazia liberale (falsamente)
rappresentativa, di matrice assolutista e mercatista. Allo strumento
politico di dominazione del mercato e della finanza, definito democrazia
liberale, sarà necessario (e persino inevitabile) opporre uno strumento
politico rivoluzionario, di segno opposto, identificabile con la
dittatura centralista. Il contrasto fra la democrazia liberale, centrata
su diritti astratti, e le vere libertà dell’uomo è ormai manifesto, e
lo è proprio in quella parte del mondo che per prima ha adottato
istituzioni democratiche e liberali. La prima, vera libertà umana, dalla
quale tutte le altre discendono, era, è e resterà anche in futuro la
libertà dal bisogno e dal ricatto economico.
Quali
potranno essere le caratteristiche, almeno per grandi linee di questo
sistema di governo? Cerchiamo di dare una risposta, moderatamente
predittiva, stabilendo come di consueto alcuni punti fondamentali.
1) Rappresentanza.
Con un ardito parallelo storico, se il Lenin delle Tesi di aprile del
1917 contrappose i Soviet al parlamentarismo borghese e imperialista di
allora, alla “rappresentanza” liberaldemocratica, che nella realtà è
rappresentanza degli interessi della classe dominante sopranazionale, si
contrapporrà la formazione di consigli, comitati e direzioni
strategiche rivoluzionarie, nelle quali emergeranno le personalità in
grado di guidare l’apparato pubblico. Quei governanti, designati dalle
direzioni strategiche, a loro volta espressione dei comitati
rivoluzionari, dovranno essere soggetti a regole di comportamento e
norme stringenti, per rispondere adeguatamente, una volta e per tutte,
alla solita domanda “chi controlla i controllori”. Eventuali reati da
loro commessi dovranno essere puniti molto più duramente dei reati
commessi da un comune cittadino. E’ chiaro che la rivoluzione dovrà
avvenire anche dal punto di vista costituzionale, azzerando la
rappresentanza liberaldemocratica e fasulla.
2) Elezioni.
Noi conosciamo una sola forma di democrazia, quella realmente
esistente, così come abbiamo conosciuto una sola forma di comunismo,
quello novecentesco realmente esistito, il cui “modello” più noto e di
maggior successo era di matrice sovietica. Il resto appartiene a una
dimensione puramente ipotetica e ideale, oppure a una realtà storica e
culturale lontana, irrimediabilmente perduta, che non potrà essere
resuscitata (la democrazia della polis greca, il comunismo dei
consigli). La forma di democrazia che conosciamo e che realmente esiste
è, banalmente, un efficace strumento di oppressione e dominazione delle
élite che simula, a fronte di politiche antipopolari applicate, la
cosiddetta volontà popolare. Volontà popolare che dovrebbe manifestarsi
con le elezioni a suffragio universale, che però non rappresentano la
volizione del popolo – come dovrebbe essere chiaro anche ai bimbetti –
ma semplicemente un rito sistemico legittimante, nella dimensione
politica dominata dalle élite globali. In verità, mentre si vota
“universalmente”, ma senza possibilità concreta di influire sulle linee
programmatico-politiche, la decisione politico-strategica che conta, mai
come oggi, è sempre più addensata in alto e
all’esterno dei paesi (vedi l’eurozona-lager) rigorosamente in base al
“censo”. Nel nostro caso in base al grado di controllo esercitato sul
grande capitale finanziario, sulle entità economiche multinazionali e
sulla moneta. Per questa via truffaldina, la volontà popolare non solo
non è rispettata, ma è neutralizzata a beneficio dei veri dominanti
dello spazio politico. Il rito elettorale legittima, per farla breve,
l’assolutismo del mercato combinato con il dominio della finanza
internazionalizzata. Rinunciare a questo rito significa superare, anche
sul piano politico, la supremazia neocapitalistica e riportare
l’economia sotto il controllo della Politica, quella vera, con
l’iniziale maiuscola.
3) Partiti politici.
Per esperienza drammaticamente concreta, sappiamo, o dovremmo sapere,
che una pluralità di cartelli elettorali, più o meno radicati e
strutturati sul territorio, più o meno ridotti all’osso come tessere e
partecipazione, non significa assolutamente varietà di programmi
politici alternativi e vera libertà di scelta. Il programma applicato è
predeterminato, ha poco a che vedere con le “promesse” da campagna
elettorale e con le supposte “tradizioni” ideologiche di questi
cartelli-partito, essendo l’espressione degli interessi privati e
neofeudali di una ristretta cerchia strategica, all’interno della classe
dominante neocapitalistica e postborghese. Abbiamo ben compreso,
infatti, qual è il vero significato e il vero scopo dell’eurozona e
dell’unione “europea”, dei loro trattati e della loro disciplina fiscale
e di bilancio. Considerata la nostra esperienza, possiamo concludere
che la pluralità di cartelli elettorali/ partiti non significa varietà
nella scelta e in alcun modo può assicurare l’emancipazione della
“classi subalterne”. Esattamente al contrario, è uno specchietto per le
allodole che serve a imbrogliare la popolazione, per far passare le
controriforme “strutturali” imposte dai mercati e, nello stesso tempo,
agevola lo strutturarsi dei gruppi collaborazionisti sub-politici che
servono i grandi poteri esterni. Si rinuncerà senza rimpianti alla
democraticissima pluralità di partiti, visto il suo vero significato ed
esito.
4) Stato di diritto.
Lo stato di diritto è un pilastro di qualsiasi forma di governo. In
democrazia liberale fa il paio con la rappresentanza. Ebbene, se
guardiamo a un caso come quello italiano, lo stato di diritto non è
operante, a partire dalla legge fondamentale, cioè dalla costituzione.
Oltre allo stratificarsi di normative complesse, fumose e farraginose,
che inficiano la legalità rendendo incerto il diritto, osserviamo in
questi anni che i trattati e gli accordi europoidi, l’imposizione di
“riforme strutturali” (che hanno colpito, in particolare, il mondo del
lavoro e le pensioni), in combinato disposto con la perdita di sovranità
nazionale stanno azzerando lo stato di diritto, rendendolo un fantasma
che si evoca esclusivamente (come la costituzione) per legittimare il
sistema. La Dittatura centralista rivoluzionaria, al contrario, si
reggerà su un solido stato di diritto e sul rispetto assoluto della
legge fondamentale. Non potrà essere diversamente, poiché si
contrapporrà alla falsa legalità liberaldemocratica, alle “libertà
civili” astratte che sostituiscono i veri diritti, come quello al
lavoro, uno stato di diritto operante e orientato alla protezione della
società e dei singoli.
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