venerdì 20 dicembre 2013



Individuo e Comunità: compenetrazione e distinzione 
di due entità.


 Maurizio Neri

 Per parlare a mente lucida del comunismo come legittima possibilità di organizzazione umana da conseguire nel reale attraverso la formazione di comunità solidali e compiute, tramite il progressivo cambiamento delle strutture e delle coscienze, bisogna ripartire proprio da quell'idea di capitalismo utopico, smithiana, respingendone integralmente il presupposto spontaneista prima ancora dell'esito catastrofico reale.
All'astrazione dei rapporti sociali che si determinano attraverso casuali movimenti spontanei di ciascuno, un comunismo comunitario deve opporre l'altissima considerazione del momento decisionale razionale, come momento di profonda condivisione umana e di possibile raggiungimento di un'armonia collettiva cosciente a priori.
Nella comunità l'armonia oggettiva finale è impensabile senza l'armonia intenzionale soggettiva di ciascuno, e non può esistere alcun equilibrio teorico valutabile ex-post ( sulla base, ad esempio, del progresso materiale conseguito)  che non proceda dallo stato cosciente di partecipazione e di ordine per ciascuno fin dal principio della sua appartenenza.
In questo senso Marx, nel formulare una teoria comunista senza Stato, si poneva in continuità con l'aspetto utopistico della risoluzione totale della conflittualità senza mediazione politica cosciente: se nell'utopia capitalistica la risoluzione della conflittualità classista dell'ordine antico feudale doveva avvenire con la paradossale e suicida esaltazione della conflittualità individuale a priori ( cioè quella soggettiva ed intenzionale che si esprime nell'atto egoistico sociale di ciascuno), nell'utopia comunista di Marx tale risoluzione avviene attraverso la definitiva soppressione di ogni rapporto cristallizzato, da quello di soggezione personale di diritto caratterizzante l'antico regime, a quello di soggezione di fatto al capitale, caratterizzante il modo di produzione capitalistico. Il fatto che l'utopia comunista di Marx fosse un'utopia inscritta all'interno della misura umana ritrovata nel limite e nell'adesione all'essenzialità della vita, e che invece l'utopia capitalistica fosse un'utopia dell'illimitato e del delirio smisurato dell'immane raccolta di merci, è un fatto assolutamente fondamentale e dirimente, ma al momento non necessario ai fini dell'aspetto utopico spontaneistico, ad entrambe le utopie comune, che mi interessa indagare.
Soppressi gli elementi di soggezione dall'esterno ( di diritto e di fatto) e le loro cristallizzazioni ideologiche conseguenti ( le sovrastrutture culturali, religiose, politiche ), secondo Marx, si sarebbe potuti giungere al comunismo, ovvero la potenzialità solidaristica umana si sarebbe potuta risvegliare dal torpore, a partire dalla spontaneità dei rapporti e dall'autorganizzazione, senza cioè passare per il momento politico e, a priori, etico, credendo che la contraddizione tra uomo e uomo nel relazionarsi in società si sarebbe estinta automaticamente una volta estinti anche i suoi presupposti oggettivi ( la proprietà privata come rapporto giuridico tutelato dalla legge). In tal senso la rivoluzione borghese non poteva che essere vista come fattore progressivo in sé ( seppur parziale e falso),  poiché dava inizio al processo di decostruzione dell'esistente.
 ( In proposito coloro che vedono in Marx il responsabile dell'elemento ultra-politico parossistico del comunismo realmente esistito, stravolgono completamente l'ordine dei problemi, poiché l'eccesso di Marx fu semmai individualista, e non certo collettivista e ultra-politico).
Affermare la centralità della comunità come luogo di esplicazione reale del comunismo, significa esattamente respingere ogni pretesa positivistica del comunismo come movimento procedente dalle relazioni spontanee di uomini liberati dalle catene dell'ideologia, della proprietà, e in una parola, di uomini liberati dalla contraddizione tra società e individuo.
Tale contraddizione in sè non è superabile, a mio avviso, con il trapasso dal modo di produzione capitalistico a quello cooperativistico comunista, poiché permane strutturale all'uomo una dialettica ( che lo caratterizza naturalmente) tra sfera intima e sfera comunitaria che lo induce ad occuparsi di ciò che è in comune in maniera profondamente diversa rispetto a ciò che è intimo ( diversa e non qualitativamente peggiore o eticamente meno fondata )
Capire questo è un passo decisivo per rivendicare l'autonomia della politica comunitaria come luogo di partecipazione reale ontologicamente distinto dall'individuo.
Anche qui, la differenza tra distinzione e separazione è essenziale: separazione significa alienazione e soprattutto si traduce in un' operazione astratta e teorica possibile solo a posteriori, in cui si descrive l'individuo come atomo isolato che aderisce ad un contratto difensivo reciproco con il resto del corpo sociale, secondo uno schema artificiale che non considera il fatto che individuo e comunità non sono concetti pensabili se non insieme. Inutile dire che quest'idea è alla base del meccanismo di riproduzione capitalistico, e che è la fonte di ogni male sociale odierno.
Distinzione nell'unità e nella compenetrazione reciproca, è invece a mio avviso la reale descrizione del rapporto tra individuo e comunità. Senza distinzione, infatti, si ricorre ad un artificio di segno opposto altrettanto pericoloso, che vorrebbe far scomparire, sempre attraverso un'operazione astratta a posteriori, l'importanza dell'autonomia comunitaria e dell'autonomia individuale come spazi rigorosamente diversi con il conseguente annullamento di ogni spazio intermedio tra singoli e comunità umana totale.
Riconoscere tale differenza è importante soprattutto per rivendicare concetti spesso negletti o ostaggio di false o persino oscene interpretazioni e manipolazioni, che affronterò nei prossimi paragrafi.



La responsabilità dei singoli.

Per introdurre con nettezza la proposizione della compenetrazione nella distinzione ta individuo e contesto, mi è utile tracciare il concetto di responsabilità individuale, oggetto di opposte visioni, oggi dominanti, confluenti entrambe nell'individualismo esasperato deresponsabilizzante.
 Laddove non si veda la distinzione ontologica tra individuo e comunità, si rischia di far sparire in una presunta onnicomprensività del sistema le proprie azioni individuali giustificandole a priori per l'influsso nefasto di un sistema giudicato come cattivo. Tale idea si rovescia in maniera immediata e paradossale nel peggior individualismo leggittimatore del disordine, poiché, negando al singolo la possibilità nonché il dovere di essere presente e vigile,  al di là ed oltre la degenerazione comunitaria o sociale, lo pone rispetto al sistema in una posizione di comodo e di rivendicazione: non la rivendicazione stralegittima dei lavoratori sfruttati o degli inquilini sfrattati, ma la rivendicazione comportamentale di fondo, dell'individuo lamentoso assorbito dal meccanismo anonimo di riproduzione sociale ( vedremo in seguito come tale degenerazione paradossale, ma chiarissima di tipo individualistico-collettivista sia inerente all'attuale mondo formalmente anti-capitalistico di nicchia, post-moderno ed anarcoide).
L'antitesi di tale cecità di fronte a questa distinzione, è, all'estremo opposto, il delirio meritocratico-responsabilizzante liberale, paravento falso di ogni discorso odierno di difesa dell'ordine capitalistico costituito. Il cinismo liberale in proposito è talmente flagrante da risultare persino disgustoso: la pretesa di attribuire all'uomo già strappato a forza dalla propria comunità, un'etica della responsabilità avulsa dal reale, cioè esclusivamente limitata al rispetto dei presupposti egoistici e distruttivi del sistema stesso ( competitività, proprietà privata, più lavoro= più soldi, sacralizzata legge del più forte) si estrinseca in un'etica apparentemente razionale, cosi' tanto razionale da sembrare persino matematica, per cui nella libera contrattazione del libero mercato, chi fallisce è colpevole di incapacità o pigrizia. Non mi soffermo oltre su quest'etica spazzatura, le cui radici non vanno ricercate ( come premesso) in un presupposto egoistico di una cricca di banditi, ma in una falsa utopia contraddittoria pericolosissima che ci ha condotto al pietoso stato di coma comunitario in cui versa il mondo contemporaneo occidentale.
Affermare la responsabilità individuale reale significa invece, credere semplicemente che ogni singolo abbia il sacrosanto dovere, in ogni tempo ed in ogni sistema, di agire socialmente in conformità alla necessità e al rispetto del prossimo, senza alcuna scusante a posteriori da paranoia sistemica, nonché il diritto di porsi soggettivamente in aperta critica alla comunità.
Il dovere legato al rispetto delle norme comportamentali e la corrispondenza ai criteri di proporzione ( nelle azioni) e necessità ( si ruba per fame o per impellenza, non per diletto e il rubare in sé resta comunque un'azione negativa ) non possono mai essere superati dal vittimismo sistemico per cui ogni cosa che va male è colpa del sistema e pertanto si è legittimati ad essere antisociali fino a che non ci sarà la rivoluzione: è evidente come tale pensiero sia in realtà speculare al cinismo della falsa responsabilità liberale ( secondo cui il poveraccio che ruba il pane merita la galera, come il lavavetri che disturba l'automobilista).
I due estremi devono essere visti entrambi, a mio avviso, come negazione dell'individuo libero e comunitario. Sapendo, da un lato, che chi si erge a critico del sistema corrotto senza mettere in radicale discussione previa sé stesso e il proprio comportamento finisce per essere risucchiato inevitabilmente dallo spirito del branco, e la sua critica al sistema resterà inevitabilmente o sterile lamento o schiamazzante estremismo di nicchia. E sapendo, dal lato opposto, che non è tollerabile alcun cinismo o sproloquio o delirio sulla responsabilità individuale in senso economico-meritocratico nella società del caos produttivo, e della plutocrazia più assoluta. ( E aggiungo che il merito di risultato non dovrebbe mai assurgere in alcun sistema sociale ad ideologia di fondazione valoriale dell'etica comunitaria, essendo piuttosto l'impegno e il senso del dovere reciproco le uniche variabili di condivisione reale della vita comune).
In tempi in cui spadroneggiano le due ideologie speculari e falsamente opposte del liberalismo meritocratico individualista e dell'anarchismo comportamentale pretenzioso, queste precisazioni non sono affatto inutili.

Segue(2)


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