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venerdì 6 maggio 2011

Editoriale – Comunismo e Comunità n° 5



Il quinto numero di Comunismo e Comunità è in uscita in versione cartacea. Presentiamo qui, come anticipazione, l’editoriale, sicuri che tutti gli amici ed i compagni rinnovino i propri abbonamenti e ne procurino degli altri, visto che si tratta di una rivista totalmente indipendente ed autofinanziata.


La Redazione



UI
(urla) Sangue! Ricatti! Furti ed assassinii! Arbitrii! Sparatorie in piena strada! Uomini che si recano al lavoro, cittadini pacifici che vanno in municipio per testimoniare, uccisi in pieno giorno! E cosa fa, io domando, il Consiglio comunale? Nulla! Perché codesti valentuomini debbono progettare certi affari poco puliti, e denigrar la gente onorata, invece di adottare delle misure!

Bertold Brecht, “La resistibile ascesa di Arturo Ui”.

Per l’ennesima volta in un paio di lustri l’Italia si è impegnata in una guerra di aggressione imperialistica.
Dopo l’attacco alla Serbia in cui la nostra aviazione fu seconda solo a quella statunitense per missioni di attacco, dopo il corpo di invasione spedito in Afghanistan, dopo quello inviato attorno ai pozzi di petrolio a noi magnanimamente assegnati in Iraq dal nostro “maggior alleato” ora stiamo attaccando la Libia appena un anno dopo aver siglato con questo Paese un patto di amicizia e di reciproca non-aggressione. Giuda non avrebbe potuto fare di meglio.
Non staremo a ripetere i perché della nostra avversione agli innumerevoli “bombardamenti umanitari”. I membri del nostro laboratorio politico li hanno discussi nel sito e su altre testate online, come Megachip.
Ciò su cui occorre invece riflettere è la tripla peculiarità di questa nuova impresa imperialistica.

1. La prima, di carattere internazionale, è che all’interno del fronte degli aggressori si sono sperimentati litigi rilevanti. La constatazione empirica è che nell’attacco alla Libia siano schierati in prima linea le vecchie potenze coloniali in Africa: Francia, Gran Bretagna e Italia, che insieme possono vantare il massacro di milioni di Africani (con record francese: quattro milioni di morti) mentre nella sola Libia il nostro Paese può rivendicare con orgoglio lo sterminio di un paio di generazioni (con orgoglio: infatti chiedere scusa di ciò, coi fatti e non con le parole, è stato considerato un atto di “incivile cortigianeria” da un ampio schieramento trasversale di forze politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra – con pochissime eccezioni – passando per quello che una volta si sarebbe definito “arco costituzionale”, e su ciò ritorneremo).
La Germania nelle avventure coloniali in Africa c’era e non c’era e ad ogni modo durò poco (ciononostante si fece notare dai patiti del massacro coloniale per il quasi totale sterminio degli Herero nell’attuale Namibia). E anche adesso la Germania c’è e non c’è, sottoposta a pressioni di vario tipo per dare il proprio contributo all’aggressione, pressioni tra le quali spiccano quelle politiche dei Verdi tedeschi e di alcuni settori della Socialdemocrazia. E anche su questo ritorneremo.
Gli USA in Africa invece non c’erano e anche oggi dopo che “il presidente Obama ha lanciato sulla Libia più missili di quelli lanciati da tutti i precedenti premi Nobel per la Pace messi assieme” (come è stato detto ad una radio statunitense) si sono messi a tirare le fila della vicenda da una posizione più decentrata lasciando il gioco sporco ai Paesi contractor europei e agli ascari mediorientali capeggiati dall’Arabia Saudita. Già il Segretario alla Difesa, Robert Gates, aveva infatti avvertito che avrebbe considerato demenziale un terzo maggior coinvolgimento diretto degli USA dopo l’Afghanistan-Pakistan e l’Iraq. Su questa prudenza comunque non ci giureremmo, perché ci sono variabili troppo importanti da controllare.
Ritorniamo ai litigi interni alla coalizione dei volenterosi. La Francia in questa vicenda ha giocato il ruolo di prima donna isterica. Il lato isterico gliel’hanno fornito due dame di compagnia dell’interventismo umanitario, cioè Bernard-Henri Lévy, un filosofo famoso non si sa per che cosa, ma comunque obbligatoriamente famoso per i media occidentali, e Bernard Kouchner che fu leader del Maggio Francese assieme a Daniel Cohn-Bendit, anch’egli ex contestatore libertario e da tempo embedded come i suoi amici nelle truppe della NATO e di Tsahal.
Ma se il lato isterico è questo, quello ragionato rivela almeno due cose: la volontà di neutralizzare la preferenza della Libia per l’italiana ENI nello sfruttamento degli idrocarburi fossili e quella più generale di ritornare nel gioco geopolitico africano e mediorientale da dove, assieme alla Gran Bretagna, fu brutalmente cacciata a calci nel sedere dagli USA durante la crisi di Suez del 1956.
Tutta la disquisizione NATO sì-NATO no nascondeva la volontà della Francia di avere mano libera e non essere irreggimentata dal patron dell’Alleanza Atlantica, cioè gli USA (una pretesa ragionevole dato che la Francia se la sta cavando bene nell’ingerenza omicida negli affari interni della Costa d’Avorio). In questa battaglia, così come in tutta la vicenda, è presumibile che sia la Francia sia la Gran Bretagna abbiano stretto speciali accordi con Israele per poter forzare i tempi e la mano di Obama. Formalmente la Francia ha perso la contesa e così oggi siamo di fronte ad una NATO che apparentemente stenta a capire come muoversi.
Di sicuro c’è un gran lavorio di servizi segreti, di mercenari, di forniture di armi. Occorre vedere dove si sta puntando.
Per andare avanti le potenze imperialistiche sembrano quindi costrette a ripercorrere vecchie strade. Se c’è un segnale di grossa novità in questa crisi è, paradossalmente, proprio la riesumazione del passato.
La Storia si ripete (e purtroppo non in farsa), una ripetizione che è idealmente iniziata con il ritorno di Sarajevo al centro di un conflitto europeo quasi novant’anni dopo l’attentato all’Arciduca d’Austria.
E 100 anni dopo anche noi ritorniamo all’avventura della “quarta sponda” festeggiata come evento umanitario dal Capo dello Stato e delle Forze Armate, come una sorta di appendice ai festeggiamenti dei 150 anni di unità d’Italia. Per ironia della sorte sul ponte di comando della Difesa abbiamo persino un ministro fascista. Il cerchio sembra chiudersi.
Nell’ambito del litigioso schieramento imperialistico, al lato opposto della superinterventista Francia troviamo la non-interventista Germania. Meno interessata direttamente al business del petrolio libico, la Germania prosegue nella sua Ostpolitik verso la Russia testimoniata dal gasdotto Northstream e dalla sua voglia di compartecipare anche al Southstream capeggiato da ENI. Forse l’entrata dei Tedeschi potrebbe sbloccare una situazione che sembra incartata. E qui siamo arrivati alle debolezze italiane.

Segue: http://www.comunismoecomunita.org/?p=2518

venerdì 10 dicembre 2010

Buoni e cattivi nel futuro scontro sociale in Italia: Le sette piaghe d'Italia [capitolo primo]  


  di Eugenio Orso


Pubblico il primo capitolo di un mio breve saggio nel quale tratto la delicata questione dei “buoni” e dei “cattivi” nello scontro sociale [e politico] che in futuro potrà sconvolgere l’Italia. Seguiranno gli altri due capitoli.

Le sette piaghe d’Italia

Disoccupazione, sotto-occupazione e precarietà diffusa indotte dalle nuove dinamiche capitalistiche, bolla del debito pubblico che minaccia di esplodere e interessi sul debito in aumento, battaglia di retroguardia per “difendere l’euro” e la minaccia di un nuovo patto di stabilità imposto dall’Europa monetaria e commerciale su sollecitazione della Germania, bassa crescita del PIL dallo stesso punto di vista capitalista e sviluppista, imbarbarimento complessivo nella società aggravato dalla diffusione dell’illegalità, dell’evasione fiscale e dell’economia criminale, crisi politica permanente nel ferale crepuscolo di Berlusconi, pericolo di un integrale asservimento del paese, nel prossimo futuro, agli interessi della finanza americana, rappresentano le sette principali piaghe che affliggono il paese, gravi al punto che possono far passare in secondo piano le rivelazioni destabilizzanti di Wikileaks ed i sospetti di tangenti ai governanti italiani per affari energetici.

La prospettiva di medio periodo che l’Italia ha davanti è sicuramente negativa, con la possibilità che si trasformi in un incubo dissolutivo, in cui gruppi sociali e politici contrapposti, incattiviti dalla “coperta sempre più corta” delle risorse disponibili, si affronteranno in una lotta ai coltelli.

Centrale, come sempre, è la questione del lavoro, dell’occupazione e del reddito da lavoro dipendente o parasubordinato, che riguarda la maggioranza della popolazione e che sembra non lasciare scampo alle nuove generazioni.

O per meglio dire, sta diventando centrale la questione del non-lavoro, del lavoro occasionale, intermittente, a termine, la cui espansione, assieme a quella della disoccupazione e dell’esclusione perpetua o di lungo periodo dai processi produttivi, ha caratterizzato questo primo decennio del ventunesimo secolo.

La prima delle sette piaghe elencate, che in realtà si alimentano l’una con l’altra, a parere di chi scrive si rivelerà decisiva, perché esistono pur sempre dei limiti invalicabili, fisici e psicologici, all’espropriazione capitalistica e alla pressione esercitata sui subordinati.

Se questo è il vulnus, se la questione sociale, del lavoro, del welfare, dell’equa ripartizione del prodotto è sempre centrale – ed è etica, prima ancora che economica – sembra logico che il potere, in tutte le sue diramazioni e sfaccettature, da quella politico-sistemica a quella mediatico-accademica, nasconda tale questione e operi sempre più spesso una “diversione”, spostando l’attenzione su questioni talora secondarie, talaltra addirittura inesistenti.

I “bombardamenti” di informazioni ai quali tutti sono soggetti ed i giudizi contraddittori servono in realtà ad operare questa diversione.

Ha scritto il filosofo americano Noam Chomsky, come esito della sua riflessione sulle strategie di manipolazione di massa, che un elemento fondamentale del controllo sociale è, appunto, distogliere l’attenzione dai veri problemi, quelli rilevanti per la maggioranza, e dai cambiamenti imposti dal potere elitistico a suo esclusivo vantaggio, utilizzando il “diluvio informativo” per la distrazione continua e la diffusione di informazioni insignificanti.

Lo possiamo notare ogni giorno, perché queste tecniche di distrazione compendiate dalla disinformazione continua sono applicate per nascondere le grandi questioni sociali, rendendo illeggibile la realtà per molti milioni di persone.

In ciò, non vi è sostanziale differenza fra l’agire del versante destro dell’unico Partito della Riproduzione Capitalistica, rispetto all’agire di quello sinistro, e per quanto riguarda nello specifico l’Italia, politica ufficiale, media e informazione, complici gli ambienti accademici e quasi tutti i sindacati, occultano sapientemente la questione sociale.

Se gli studenti e i precari della scuola insorgono in tutte le città italiane, occupando istituti e facoltà, bloccando il traffico, cercando di entrare nei palazzi del potere, scontrandosi con una polizia sempre più aggressiva, si diffonde ad arte la notizia che la riforma della scuola è ormai definitivamente passata in parlamento – cosa non vera – e che i dimostranti possono tornarsene a casa, perché ormai hanno perso la battaglia ed i massacratori della pubblica istruzione hanno trionfato.

In tempi recenti, le uova lanciate da operai esasperati contro le sedi dei sindacati “gialli” Cisl e Uil, e contro quelle di Confindustria, hanno fornito il pretesto non certo per informare sulla drammatica situazione del lavoro operaio e dipendente nella penisola, ma per poter accusare di “squadrismo”, colorato di rosso ma con tendenza al nero, i lavoratori a rischio di disoccupazione, spingendosi fino a paventare la ricomparsa di una nuova minaccia terroristica interna.

Al crepuscolo di Berlusconi, attaccato da più parti e non propriamente gradito all’amministrazione americana, come è messo bene in evidenza nei documenti di Wikileaks che lo riguardano, si sommano le faide politiche interne alla sua stessa maggioranza di governo, in via di progressivo sfacimento, ed un prolungato immobilismo nel governo del paese, se continuerà per molti mesi, rischierà di accentuare il rischio di un’implosione sistemica complessiva.

Intanto si cerca di far passare la riforma della scuola, in parlamento, e l’ugualmente perniciosa “riforma” del contratto nazionale di lavoro a livello sindacale, vincendo le forti resistenze Fiom all’interno della Cgil, passaggio fondamentale che nelle intenzioni flessibilizzanti di Confindustria e di larga parte dello spettro politico sistemico dovrebbe accompagnarsi alla demolizione dello Statuto dei Lavoratori.

Se Berlusconi nonostante la sua strenua resistenza cadrà nel giro di un paio di mesi, o addirittura entro la fine del 2010, un governo istituzionale o un nuovo governo uscito da elezioni che già si profilano con un esito incerto, porterà comunque avanti le politiche contro il lavoro, contro la scuola, contro la socialità, a tutto beneficio della finanza internazionale privatizzatrice, che vuole soddisfare anche in Italia i suoi inesauribili appetiti.

Che sia Montezemolo, oppure Casini, o Bersani, o Fini a sostituire Berlusconi, le criminose politiche economico-finanziarie antisociali rivolte contro gli interessi della maggioranza della popolazione, e perciò contro gli interessi del paese, non solo non cambieranno, ma si approfondiranno, perché l’obbiettivo sarà sempre quello di rivalersi sui redditi da lavoro dipendente, sulle pensioni e sugli “sprechi” dello stato sociale.

Nel frattempo, permane immutata l’incognita del debito pubblico [destinato ad approssimare e forse a superare i duemila miliardi di euro], e quella del peso degli interessi sul debito, fattori che possono scatenare la speculazione internazionale sempre in agguato, nonostante gli elogi rivolti a Tremonti per la sua azione di contenimento del debito.

Lo spread con il bund tedesco tenderà a lievitare, rendendo sempre più difficile e oneroso piazzare i titoli del debito pubblico.

Sono ipotizzabili fin d’ora la centralizzazione delle politiche economico-sociali degli stati “per difendere l’euro”, con una nuova e più stretta camicia di forza imposta alle economie europee più deboli, attraverso uno stringente patto di stabilità che è in cantiere, ed un presumibile aumento della spesa per interessi in un paese in bilico come l’Italia.

Sotto la vaga espressione di “Mercati ed Investitori”, infatti, si nascondono gli animal spirits dei globalisti necrofori, i quali attendono come avvoltoi che cadano una ad una le tessere meno solide del mosaico europeo, e meglio se si tratterà di un boccone grosso, ben più grande e succulento della piccola Grecia.

Far fuori Berlusconi, il PdL e [soprattutto] la Lega sono, in sé, cose buone e giuste, ma quello che ci attende, nel dopo, non è una liberazione da celebrare, come credono il Popolo Viola ed i supporters dell’Italia dei Valori, bensì il colpo di mannaia definitivo.

Il successore di Berlusconi, con buona probabilità, sarà un “Quisling” della classe globale americana ed opererà totalmente, sul piano interno come su quello della politica estera, per tutelarne gli interessi a scapito di quelli dell’intero paese.

Da quel di Soci, in Russia, il clownesco nottambulo ultrasettantenne di Arcore sembra ancora una volta blandire i “pettegolezzi” diplomatici che lo riguardano direttamente, resi pubblici dal sito Wikileaks, in quanto si tratterebbe del chiacchiericcio di funzionari dell’amministrazione americana da lui definti di secondo piano.

Secondo quanto dichiara pubblicamente Berlusconi, i giudizi fastidiosi dati sulla sua persona non devono essere enfatizzati e, soprattutto, non bisogna credere che il premier-nottambulo, oltre alle continue “feste selvagge” con droga e minorenni, sia rimasto invischiato in una sorta di tangentopoli internazionale, per quanto riguarda gli accordi energetici con la Russia, con la promessa a Berlusconi di una percentuale, a detta di Ronald Spogli [ambasciatore americano a Roma che riporta la “soffiata” dell’ambasciatore georgiano in Italia], per i gasdotti realizzati da Gazprom in collaborazione con Eni.

I funzionari americani “di secondo piano” che avrebbero sparlato di lui, avrebbero ricavato certe informazioni dalla solita stampa che denigra il cavaliere, quella di “sinistra” che lo tiene costantemente sotto tiro.

Se negli accordi energetici di lungo periodo l’Eni ha mostrato di avere un grande potere, anche sul piano politico, queste complesse trame si sono sviluppate con continuità durante il periodo dell’esecutivo di Romano Prodi [dal maggio del 2006 al maggio del 2008], quando Berlusconi non era al governo.

Va anche precisato, inoltre, che nonostante l’attivazione di partnership internazionali contrarie agli interessi strategici americani, nonostante l’intesa fra Eni e Gazprom e gli accordi del 2008 con la Libia, i benefici occupazionali millantati per i lavoratori dipendenti e i pensionati, per la maggioranza della popolazione perseguitata dallo spettro della precarietà, da costi della vita insostenibili in rapporto ai redditi – ivi compresi i costi dell’energia per il riscaldamento domestico e quelli della benzina alla pompa –, puntualmente non si sono visti ed il processo di impoverimento e de-emancipazione è continuato senza inversioni di tendenza.

Ciò che ha contato più di ogni altra cosa sono le imposizioni globaliste in materia economica, finanziaria e commerciale, filtrate attraverso il FMI, la BCE e la UE.

Nell'attesa del disarcionamento definitivo del cavaliere, che in questi ultimi mesi è sembrato più difficile del previsto nonostante la secessione finiana, dalla recente presentazione del 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese [2010] apprendiamo, grazie al sociologo Giuseppe De Rita, che leaderismo e carisma non seducono più le masse, e che gli italiani sono stanchi della personalizzazione della politica, con circa il 71% degli stessi che comincia ad accorgersi della gravità della situazione economica e non ritiene che sia il caso di ampliare i poteri del capo del governo.

Alla caduta di Berlusconi, che resiste caparbiamente nei palazzi pubblici e privati temendo di finire, una volta uscito da lì, fra le grinfie di una magistratura autoreferenziale e vendicativa, e di vedere il suo impero privato fatto a pezzettini, non farà certo seguito l’estinzione immediata del cosiddetto berlusconismo, poiché questa cancrena politica, culturale e sociale – che non è una forma nuova di populismo antagonista, ma soltanto un esito spregevole della liberaldemocrazia italiana – continuerà nella sua azione nefasta e con essa proseguirà la deleteria azione leghista nel nord della penisola.

http://pauperclass.myblog.it/ 

martedì 23 novembre 2010

Gli intrighi di palazzo e le sorti dell'Italia 



di Lorenzo Dorato

Pochi giorni fa il gruppo Fli (Futuro e Libertà per l’Italia) ha ufficialmente dichiarato che lascerà il governo una volta approvata la manovra finanziaria. La crisi politica è esplicitamente aperta. Il 14 Dicembre Berlusconi chiederà la fiducia alle camere, atto formale per sancire (salvo colpi di scena) la mancanza di numeri per governare con l’attuale compagine uscita dalle elezioni del 2008. Dopo due anni di campagne mediatiche scandalistiche, smarcamenti opportunistici e costruzione laboriosa di un gruppo “dissidente” interno, Fini e i suoi hanno realizzato l’intento (di cui non sono null’altro che gli esecutori) di mettere fuori gioco, salvo colpi di scena, Berlusconi e il suo attuale governo. Fin dall’inizio della legislatura Fini ha condotto un’esplicita azione di costruzione d’immagine, fabbricando il personaggio della destra “pulita”, istituzionale, europea, alla Aznar e Sarkozy (come recitano le parole della fondazione Fare Futuro). Di questa costruzione si è poi servito abilmente sia per giustificare (in termini di presunta coerenza morale) il suo distacco formale da Berlusconi, sia per lanciare una formazione elettorale autonoma post-berlusconiana (con altrettanto probabili alleanze centriste).

Ma cerchiamo di capire cosa realmente sta avvenendo consapevoli della difficoltà di un’analisi di questo tipo in una fase di rapidissimi e complessi cambiamenti. Anzitutto è giusto premettere che sarebbe sbagliato analizzare i fatti attribuendo ruoli certi ai singoli personaggi o gruppi di potere implicati. I ruoli cambiano, si alternano e poi ricambiano, secondo logiche e velocità spesso sfuggenti e difficilissime da determinare. Tuttavia alcuni movimenti di fondo possono essere colti e, in ogni caso, ciò che più importa ai fini di quanto scrivo, è comprendere la natura strumentale di alcuni epifenomeni di superficie che nascondono fenomeni guidati da logiche diverse da quelle apparenti.

Comprendere esattamente le ragioni per cui il governo è stato messo da tempo sotto ricatto tramite continue pressioni sul presidente del consiglio di certo non è cosa semplice. L’unica certezza (punto di partenza per ogni ragionamento non viziato alla base) é che, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, l’attuale instabilità politica non è affatto riducibile a scelte soggettive dettate da divergenze di punti di vista o valori (se così fosse stato gli odierni dissidenti avrebbero avuto mille altre ragioni in passato per smarcarsi dal premier), ma è legata all’esistenza di determinati interessi economico-finanziari interni e internazionali a loro volta legati a rappresentanze politiche che di volta in volta costituiscono fronti, alleanze e ordiscono tradimenti per conto terzi. E’ senza dubbio difficile orientarsi in questo marasma di interessi incrociati. Alcune osservazioni, tuttavia, possono essere fatte, ripercorrendo molto velocemente alcune fasi della recente storia italiana.

Berlusconi ha avuto fin dall’inizio della sua discesa in campo, avvenuta in un pauroso vuoto di potere conseguente alla fine della prima repubblica, importanti nemici interni “non ideologici”, legati al capitalismo italiano delle grandi famiglie storicamente dominanti. Precise vicende lo hanno visto in contrasto con magnati del calibro di De Benedetti (vicenda SME e Mondadori); ma più in generale si può dire che, in quanto politico, sia sempre stato sorvegliato con occhio vigile dagli ambienti imprenditoriali di peso in quanto parvenu troppo intraprendente e orientato a fare affari per proprio conto diretto evidentemente non del tutto compatibili con determinate posizioni di potere consolidate.

A questa particolare posizione interna si sono aggiunte frizioni internazionali a partire dalla legislatura 2001-2006. Campagne di attacchi sono state guidate da riviste come l’Economist, settimanale della finanza anglosassone seguito in breve tempo da giornali come il “New York Times” statunitense “El pais” e “El Mundo” spagnoli e diversi giornali tedeschi. Il tenore delle critiche mosse concernevano inizialmente le incompatibilità del profilo penale di Berlusconi (pluriprocessato) e imprenditoriale (padrone di un impero economico) con il suo ruolo di premier e poi (nell’ultima legisaltura e in forma ossessiva) le sue abituidini sessuali e mondane libertine (oltre che i comportamenti istituzionali poco consoni al proprio ruolo). Sembra difficile immaginare che una così concentrata e ripetuta sequela di attacchi unidirezionali sia esclusivamente frutto di divergenza di opinioni politiche e sincera preoccupazione per le sorti italiane. Almeno in buona parte essi non possono che spiegarsi con l’esistenza di conflitti di interesse materiali e di potere. Berlusconi, infatti, pur identificandosi nella strategia nord-americana bushiana della guerra permanente già dal 2001, assieme agli accoliti Blair e Aznar (con tanto di infame partecipazione alla carneficina irachena nel 2003) ha iniziato ad intessere rapporti, spesso per cointeressanza diretta, con realtà geo-politiche ostili al padrone d’oltreatlantico (in particolare asse nord-africano e Russia). Fu in quella fase che allo storico conflitto intercapitalistico interno (Berlusconi contro parte della vecchia guardia del capitalismo italiano) si aggiunge un conflitto di potere che concerne la scarsa affidabilità di Berlusconi nel gestire senza contraddizioni e imprevedibili salti in avanti gli interessi delle oligarchie capitalistiche europee e nord-americane da sempre capaci di influenzare pesantemente la politica italiana in ordine ai propri voleri. L’instabilità e la scarsa affidabilità di Berlusconi in questo senso, naturalmente, non implicano affatto che egli sia, per contrasto, un difensore degli interessi italiani, quand’anche capitalistici nazionali e che abbia quindi una supposta strategia politica coerente in questa direzione. Berlusconi si muove semplicemente con scarsa predisposizione alla disciplina dettata da determinati centri di potere alternando fasi di integrale sottomissione ad essi a momenti di diversione. Una diversione che, chiaramente, mai ha assunto i tratti di una politica di carattere quanto meno populista, nel senso letterale di “vicina a pur minime istanze popolari”, né si è mai tinta di attitudini realmente critiche verso quelle autorità (quali l’UE) che tengono gli Stati sotto scacco nella loro possibilità di implementare politiche sociali e fiscali realmente autonome. Una diversione, dunque, esclusivamente limitata a temporanee e blande scelte di campo nei confliggenti interessi capitalistici in termini geopolitici (terreno senz’altro importante che comunque non ha visto Berlusconi schierarsi con determinazione in particolari direzioni innovative). Sarebbe quindi un grosso errore vedere in Berlusconi un improbabile campione antiegemonico schierato contro le forze imperialiste occidentali più invasive. Tutt’altro! Il premier italiano è pienamente integrato nella sfera d’influenza occidentale a guida nord-americana e pienamente impegnato nei piani di politica-economica di carattere neo-liberista. Semplicemente svolge il proprio ruolo in maniera troppo ballerina ed eccentrica!

Oggi, un insieme di forze esterne e forze interne (a loro volta influenzate da quelle esterne) non semplici da determinare con esattezza, ma delineabili con approssimazione, hanno deciso che i tempi sono maturi per un cambio di rotta; che Berlusconi, pur avendo servizievolmente favorito i loro interessi a lungo, ha da tempo intrapreso strade non del tutto affidabili e che è ora di sostituirlo con un potere più consono ai propri obiettivi. Questi obiettivi, evidentemente, sono l’accelerazi0ne di processi di svendita del paese in una direzione che vada a favorire determinate cordate economico-finanziarie (e non altre).

Gli eventi correnti, dunque, si configurano come un vero e proprio intrigo di palazzo eterodiretto dagli esiti incerti, così come lo fu con ogni probabilità la caduta del governo Prodi nel 2008, anch’esso probabilmente reo di non aver seguito con alacrità e pienissima dedizione direzioni determinate (vuoi per la presenza di partiti meno allineati che rallentavano il processo, vuoi per iniziali e timide scelte geopolitiche analoghe a quelle in cui si è impantanato Berlusconi).

Simili dinamiche hanno segnato, d’altro canto, l’intera storia repubblicana. E’ noto il fatto che l’Italia é tra i paesi europei più fragili in termini di autonomia politica ed ha subito la pesantissima ingerenza di forze straniere, in primis gli Stati Uniti (che occupano il territorio nazionale con 113 basi militari) e in seconda battuta i paesi europei più influenti. Dalla fine della prima repubblica il restringimento degli spazi di autonomia è andato crescendo simultaneamente alla crescita dell’unipolarismo USA e al processo di integrazione del mercato europeo e la classe politica italiana, spazzata via la corrotta (e sul piano politico infinitamente migliore) classe facente capo alla prima repubblica, tanto nel blocco di potere di centrodestra che in quello di centrosinsitra si è totalmente allineata ai diktat nord-americani mediati quasi sempre dalle tecnocratiche istituzioni centrali europee.

Spesso, tuttavia, tale cieco allineamento cede di alcuni centrimetri, ed è lì che suona l’allarme e i cani da guardia pronti con dossier, scandali, cospirazioni e quant’altro vengono sguinzagliati in libertà, fortificati ovviamente dall’esistenza di concomitanti conflitti di potere interni e conseguenti parti politiche mandatarie cui appoggiarsi.

Affermare che siamo oggi di fronte ad un’infida manovra di palazzo per conto terzi, del tutto estranea a qualsiasi istanza espressa dal popolo sovrano è dunque semplice buon senso (che purtoppo anche le sparute forze politiche sedicenti anticapitalistiche non sanno o non vogliono usare).

Al momento non é chiaro quale sarà con esattezza l’evoluzione degli eventi. I poteri che hanno concorso al rovesciamento di Berlusconi, dapprima con pressioni continue ed ora con un ormai quasi certo rovesciamento, puntano ad un governo tecnico. Le elezioni infatti rischierebbero di riprodurre (anche se non è affatto certo) una situazione identica a quella attuale, o comunque di non configurare un governo “ideale” ai fini dei poteri di cui sopra, vanificando così il piano di sabotaggio. Un governo tecnico potrebbe invece avere un preciso mandato: attuare ulteriori riforme antipopolari favorevoli al grande capitale soprattutto tramite il completamento di alcune privatizzazioni di aziende strategiche in cui lo Stato mantiene ancora residuali posizioni di azionariato e controllo (come ENI, ENEL e FINMECCANICA) e -o liberalizzazioni di diversi comparti economici ancora minimamente protetti per consentire la penetrazione del grande capitale italiano ed estero. Vi è poi un ulteriore margine per il disfacimento del sistema pensionistico pubblico (eleminazione della pensione di anzianità) o della sanità, nonché ulteriori attacchi al diritto del lavoro. Infine in politica estera e commerciale, punto probabilmente importante nella vicenda, si tratterebbe di raddrizzare il bastone verso aperte ed esplicite posizioni estreme atlantiste, chiudendo ogni spiraglio ad accordi economici (in cui ad esempio sono coinvolte ENI e FINMECCANICA) alternativi e (chissà) partecipando a nuove avventure belliche o rafforzando quelle in essere (che recentemente forze come la lega hanno iniziato a trattare con insofferenza, seppur in maniera del tutto innocua). Un governo di questo tipo potrebbe naturalmente assumere diverse forme: presumibilmente potrebbe trattarsi di un centrodestra finiano senza Berlusconi riconfigurato e allargato al centro (UDC, API) e che riceva poi l’appoggio del PD nelle scelte fondamentali. Confindustria, Cisl, Fli, Udc, e Pd sono stati espliciti nel ritenere non auspicabile la soluzione elettorale. Tuttavia l’esito finale della crisi politica non è affatto certo. Non è del tutto escluso infatti che i fedeli berlusconiani e la lega riescano ad imporre, assieme a forze dichiaratesi ambiguamente a favore di questa soluzione (come l’IDV) lo svolgimento di nuove elezioni politiche.

L’unica certezza è che si sta giocando una partita importante e che pertanto interpretare il tutto come una tardiva presa di coscienza da parte dei finiani dell’orrore politico e morale berlusconiano è non soltanto assolutamente riduttivo, ma del tutto sbagliato e carico di gravide conseguenze. Non siamo infatti di fronte a semplice coincidenza tra una presunta volontà soggettiva autentica e una sovrapposta eterodirezione interessata da parte di poteri alieni. Siamo di fronte a un vile e meditato tradimento politico per conto terzi e per scopi completamente antipopolari (tanto antipopolari quanto, e forse più, di quanto sia già antipopolare nei fatti la politica di Berlusconi). Nascondere questo fango dietro l’antiberlusconismo militante è semplicemente indecente, o per lo meno incredibilmente ingenuo.

D’altra parte, una posizione inequivocabilmente contraria all’attuale governo (in primis per le sue scelte politiche in ogni campo ed in seconda battuta per i suoi effetti culturali devastanti) é del tutto compatibile con l’aperta denuncia della “rivolta” delle elites cui stiamo assitendo. Una posizione che sappia smarcarsi dalla presunta necessità di tifare (un tifo che infesta il paese da ormai 15 lunghi anni) tra berlusconismo e antiberlusconismo, tra centro-destra e centro-sinistra. Che sappia comprendere la sostanziale omogeneità politica nelle scelte fondamentali tra Berlusconi e i suoi oppositori. La stragrande maggioranza delle leggi votate dall’attuale governo in termini di politica economica, federalismo fiscale, politica estera (missioni all’estero) sono state apertamente appoggiate dalle opposizioni in parlamento. E queste stesse opposizioni sono le stesse che in una sola legislatura e mezzo (1996-2001), (2006-2008) sono riuscite ad attuare incredibili mutamenti dell’assetto economico-sociale della nazione, privatizzando (a prezzi di svendita spesso) la stragrande maggioranza delle imprese pubbliche, attaccando a più riprese lo Stato sociale, il contratto di lavoro subordinato, e inaugurando (Serbia 1999) la stagione delle nuove guerre umanitarie imperialiste.

Tutto questo, ovviamente, non impedisce di cogliere le peculiarità del potere berlusconiano (incluse le proprie scempiaggini morali che naturalmente disgustano), ma deve obbligare a leggere tali peculiarità all’interno di un contesto complessivo istituzionale, sociale, economico e politico che è stato stravolto, in senso regressivo, con pari responsabilità dalle principali forze politiche che hanno guidato il paese dal 1992 ad oggi.

L’accodamento dei partiti di sinistra (a sinistra del PD) all’accanimento antiberlusconiano infestato da gossip, puttane, moralismi e ipocrisie degne del puritanesimo anglosassone ormai dilagante in Italia, deve far riflettere sulla cronica incapacità di questi partiti di saper assumere una posizione che sia autonoma dal gioco degli specchi del bipolarismo, del progressismo contro il berlusconismo. Un gioco degli specchi che ha reso impossibile la formazione di una terza forza capace, come è oggi il KKE in Grecia, di rimanere su un terreno popolare indipendente dalle logiche di contrapposizione formale e di costume (che non signfica assolutamente disimpegno etico, ma anzi significa riportare l’etica e la morale su un terreno di sostanza liberandola dalla sua forma mediatica strumentale asfissiante).

Anche volendo stare al nucleo principale delle argomentazioni secondo cui Berlusconi rappresenterebbe comunque il male maggiore, è fondamentale impostare il discorso in termini di sostanza respingendo la parzialità con cui viene sempre presentato. Le quattro caratteristiche peculiari del berlusconismo, simulando di mettersi nell’ottica di chi lo ritiene comunque il male maggiore, sarebbero la propensione ad un maggiore sprezzo delle istituzioni e della Costituzione, una cultura ostentata della prevaricazione, dell’arroganza unita a volgarità e machismo, una maggiore tolleranza dell’illegalità ed infine il problema del conflitto di interesse tra la sua posizione di imprenditore e quella di uomo di Stato.

Per quanto concerne il primo punto, bisognerebbe chiedersi quale sia la sostanza della Costituzione italiana. Ebbene essa è l’unità di elementi regolatori istituzionali, politici, economici e sociali. Se la si vuole a tutti i costi limitare ai rapporti formali tra i diversi poteri dello Stato, si sta già accettando il campo di gioco di chi vorrebbe avere il terreno politico spianato per stravolgere il già ampiamente stravolto assetto complessivo dei rapporti economico-sociali del paese. Gli articoli che citano esplicitamente la dignità della remunerazione del lavoro, la limitazione dell’iniziativa privata secondo criteri di pubblica utilità (ovvero il 36 e il 41) sono stati ampiamente stravolti nella sostanza dalle iniziative legislative del centro-sinistra nei suoi catastrofici anni di governo 1996-2001, ad esempio tramite l’invenzione del precariato (legge Treu) e tramite la svendita di gioielli strategici di imprese pubbliche cedute al capitale privato (e spesso estero) in totale contrasto con qualsiasi criterio di pubblica utilità. Sempre l’articolo 36 ha subito una pesante ipoteca dalla rimessa in discussione del sistema pensionistico pubblico fino ad una situazione attuale drammatica in cui gli attuali lavoratori giovani avranno nei casi più fortunati il 40% dell’attuale retribuzione sotto forma di pensione da anziani. Parliamo poi dell’articolo 11 (che impedirebbe il ricorso alla guerra nelle controversie internazionali). Violato esplicitamente dal governo D’Alema ai tempi dell’aggressione con annessi bombardamenti contro la Jugoslavia sovrana (con la scusa della bufala mediatica di un inesistente genocidio di massa); violato ancora nell’ultima legislatura con la prosecuzione dell’illegale guerra in Afghanistan (lautamente rifinanziata) e con l’avallo all’embargo di Gaza, atto di guerra contro una popolazione incarcerata in un fazzoletto di terra.

Se accettiamo il terreno di lettura della nostra Costituzione in termini complessivi, ci accorgiamo facilmente che lo stravolgimento dei suoi cardini e dei cardini politici e sociali del paese è avvenuto in una fase storica con il concorso delle forze politiche eredi del periodo storico di Mani Pulite. Si può anzi dire che in alcuni ambiti fondamentali, quali la privatizzazione a prezzi di svendita del patrimonio pubblico (con veri e propri scandali e pratiche di malaffare) il centro-sinistra assieme ai governi di Ciampi , Amato e Dini, abbia giocato un ruolo preminente.

Veniamo ora al problema culturale. Senza negare i danni culturali del berlusconismo come approccio alla cosa pubblica e alle istituzioni, nonché all’etica collettiva, non si può assolutamente fingere di non vedere che la degenerazione di costume è un fenomeno complessivo che ha investito pesantemente l’intera Europa a partire dagli anni 70-80 con un’accelerazione spaventosa nei terribili anni ‘90. E per costume non ci si deve limitare moralisticamente ai reality show introdotti da Mediaset, alle ballerine e veline che infestano la televisione o alle prostitute del premier, ma ad un complessivo avanzamento delle logiche mercantili, commerciali a tutti piani della società, anche quelli un tempo maggiormente protetti da forme di socialità tradizionali o di gestione pubblica e comune, in un dilagante individualismo pervasivo presentato come unico orizzonte sociale possibile. La trasformazione della scuola avviata da Berlinguer tramite l’autonomia e l’imperversare di logiche di carattere pseudo-pubblicitario; la trasformazione delle USL in ASL (da unità ad aziende sanitarie locali) con conseguente parziale mercificazione della salute; l’aumento esponenziale della pubblicità televisiva e non solo in ogni angolo dello spazio vitale; la degradazione del corpo femminile e maschile ad oggetti di incitamento al consumo; la cultura dello sradicamento, della mobilità, della flessibilità e della competitività; la cultura della liberalizzazione e della privatizzazione come uniche possibili vie per regolare i rapporti economici con la parallela affermazione di una cultura individualistica di mercato.

Sono soltanto alcuni tra i molteplici esempi di fenomeni di devastazione culturale oltre che materiale non certo definibili in via d’esclusiva berlusconiani. Berlusconi, ne è semmai l’effetto grottesco, satiresco e volgare e, in una certa misura, proprio per questo più popolare. Ma la stessa cultura impregna tutte le classi sociali a livelli forse più sofisticati e moderni, ma ugualmente devastanti. E di questa cultura il centro-sinistra non solo è stato impregnato, ma se ne é fatto portatore massimo, apportando una vera e propria trasformazione anche simbolica in ogni ambito del politico, aggiungendo al tutto forti elementi anti-popolari come il disprezzo del proprio paese e la maniacale esterofilia (preferibilmente in direzione anglosassone). La sinistra sedicente anticapitalista ha finto di non vederlo per tanti anni ed anzi si è ritagliata un posto di nicchia in questa divisione dei compiti mercantile, andando a configurare la punta avanzata di una certa liberalizzazione del costume totalmente compatibile ed anzi integrabile nelle dinamiche capitalistiche.

Per ciò che concerne infine il terzo punto, quello della maggiore propensione all’illegalità del potere berlusconiano, ci sarebbe da chiedersi anche in questo caso cosa consideriamo legale (senza assolutamente per questo adottare un punto di vista di tipo estremistico per cui la legge é comunque legge borghese). E’ legale svendere sotto i prezzi di mercato fiori di aziende pubbliche, senza alcuna trasparenza, arricchendo la finanza straniera in un’operazione di proporzioni vastissime? E’ legale e trasparente riempire di denaro della collettività aziende come la Fiat per produrre all’estero? E’ legale sovvenzionare a costi altissimi centri sanitari privati, fondi pensione privati che potrebbero essere gestiti a costi nettamente inferiori dallo Stato? E’ legale la missione in Afghanistan e il sostegno all’occupazione israeliana? A tutti coloro che si occupano con alacrità di legalità, ivi compresi personaggi come Travaglio e Saviano, bisognerebbe chiedere a quale parte del concetti di legalità fanno riferimento.

Sul conflitto di interessi infine, tanto denunciato come anomalia italiana da commentatori anglosassoni ed europei, non si può certo negare che si tratti di un’indecenza. Ma è forse più decente il rapporto di diretta committenza che si instaura tra grande imprenditoria e alta finanza e potere politico nei sistemi capitalistici, rapporto ormai non più mediato da vent’anni a questa parte da forme di mediazione sociale? E’ forse più decente nella sostanza che Prodi abbia per anni servito come consulente la Goldman Sachs e che abbia poi gestito le privatizzazioni italiane, grosso affare in cui la grande finanza americana ha giocato un ruolo determinante?

In definitiva, le supposte peculiarità del berlusconismo, che ovviamente non vanno negate, non possono però condurre ad a-priorisitiche e spesso “estetiche-viscerali” (quando non interessate) teorie del male maggiore. Si tratta del tragi-comico errore politico (frutto di falsi identitarismi autoreferenziali) commesso dai partiti comunisti dopo il 1992, scusabile forse nel 1995-96, ma gravissimo oggi alla luce di quindici anni di esperienza. Un’esperienza che avrebbe da tempo dovuto mostrare come si sia di fronte ad un blocco di potere configgente al suo interno, ma accomunato da identici progetti di annichilimento della società, camuffato da contrapposizioni spesso esasperate proprio al fine di richiamare costantemente la tremenda logica del voto utile, contribuendo a far fuori le ali estreme dal gioco politico elettorale. Sentire oggi Ferrero che prega Nichi Vendola di riunirsi per poi rivolgersi alle altre forze politiche e Diliberto che prega il PD per un’ alleanza neo-ulivista é l’ennesima prova dell’inguaribile subalternità culturale e pratica dei partiti della sinistra a schemi di lettura del reale ridotti a formalismi ideologici o a puro elettoralismo di brevissimo periodo.

L’antiberlusconismo militante, vera e propria piaga culturale e politica, in Italia presenta due manifestazioni concrete: la prima è quella degli oppositori portatori di interessi capitalistici confliggenti con quelli del Cavaliere (antiberlusconismo materiale); la seconda è quella di tutti coloro che, disgustati (a ragione) da alcuni specifici aspetti della politica di Berlusconi, cadendo nella trappola propagandistica, hanno ormai da anni elevato queste specificità a metro di giudizio assoluto e dirimente per le loro scelte di campo: sempre e comunque contro Berlusconi in quanto pericolo autoritario, incarnazione della volgarità estremizzata, calpestatore delle istituzioni, artefice delle leggi ad personam. A tutto questo si aggiunge spesso una carica snobbistica estrema (supportata da vere e proprie centrali di propaganda come il quotidiano la Repubblica, diversi giornali stranieri che presentano macchiettisticamente la politica del belpaese, alcuni nostrani comici “di sinistra”, trasmissioni televisive etc etc). Carica snobbistica che ha stratificato nel tempo una vera e propria cultura soffocante della superiorità morale, che ha prodotto mostruosità concettuali come l’idea di un’Italia divisa in due tra buoni e cattivi, colti e rozzi, amanti delle regole e paraculi, decenti e indecenti; come se davvero lo scontro politico tra centro-sinistra e centro-destra fosse riducibile a queste categorie. Questo secondo tipo di antiberlusconismo di costume è un fenomeno di estrema importanza che ha culturalmente devastato il paese quanto il berlusconismo essendone in definitiva l’altra faccia della medaglia più sofisticata, ma non meno pericolosa. E’ stato cavalcato, per di più da personaggi che contribuiscono a confondere le acque puntando il dito contro fenomeni sì importanti, ma accuratamente selezionati all’interno della complessità dei rapporti sociali. Si tratta di un vero e proprio partito trasversale che é andato a riempire il vuoto lasciato dalle colpe dei partiti comunisti (che brancolano nel buio) e che, pur con tutte le specificità dei singoli, va dalle trasmissioni di Fazio fino a quelle di Santoro, passando per Saviano, Travaglio. Personaggi che al momento opportuno, costruitasi ormai l’immagine pubblica di “affidabili” rivelano tutta la loro integrazione nei peggiori crimini del sistema, mostrandosi (Travaglio e Saviano, non Santoro, su questo punto valida eccezione) complici delle campagne filo-sioniste o imperialistiche di odio contro gli Stati canaglia di turno (si vedano gli sproloqui di Saviano sul caso Neda nel 2009).

Alla luce di tutto questo, la posizione da assumere alla luce degli eventi politici italiani in continuo avvicendarsi, non può essere ipocrita. Per l’ennesima volta il mandato elettorale (di per sé già ridicolizzato a priori dall’oggettiva assenza di sovranità politica e dall’inesistenza di una vera informazione capace di dare minima sostanza alla democrazia) viene in questo paese calpestato a piacimento da poteri economici che se ne infischiano delle scelte popolari, così come se ne strainfischiano delle prostitute del premier, delle leggi ad personam e delle sue vicende giudiziarie. Rifiutandosi di accodarsi alla corte degli antiberlusconiani militanti (interessati, emotivi, viscerali, ipocriti che siano), non si può che denunciare con vigore quanto sta accadendo, senza nulla concedere in termini politici a questo ormai ex-governo di servitori di quello stesso capitalismo sfrenato e antipopolare che i congiurati vogliono servire a loro volta con maggior dedizione preparando nuove strategie di affossamento del paese e delle sue componenti più deboli.