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martedì 9 ottobre 2012

PER UN NUOVO MOVIMENTO ANTICAPITALISTA





Costruire le Consulte Popolari


di Francesco Salistrari*


«Il riformismo, come movimento filosofico, politico e culturale, ha esaurito la sua funzione storica. Il fatto che la sinistra mondiale, in quanto espressione culturale e politica generale, abbia completamente abbandonato la propria prerogativa anticapitalista per “approdare” a posizioni uniformemente e sostanzialmente liberal-liberiste, dopo la caduta del cosiddetto “socialismo reale”, rappresenta una delle ragioni principali e fondamentali della deriva che il mondo oggi sta vivendo. La messa al bando, da parte di quasi tutte le formazioni politiche del mondo, di un progetto e di un programma anticapitalistico, se ha rappresentato per molti aspetti un qualche vantaggio nel rimuovere l’egemonia che di questa prerogativa ideologica avevano usufruito e abusato le formazioni degenerate del socialismo reale, dall’altra parte sono stati derubricati dall’agenda politica di tutte le formazioni, un’analisi e una proposta di soluzioni alternative per la costruzione di un modello sociale ed economico sostanzialmente diverso da quello capitalista.

Il fatto che dopo il crollo del socialismo reale, tutti i partiti comunisti si sono dissolti insieme al “monolite” sovietico o hanno cambiato pelle riciclandosi nell’agone elettorale (soprattutto in occidente), non ha comunque esentato le formazioni politiche e sociali che si presuppongono un miglioramento delle condizioni di vita nel mondo, dal proporre un modello ed un progetto di alternativa al capitalismo. Il venir meno del comunismo come base teorica e politica per un modello alternativo di società e di economia, non ha significato altresì il venir meno anche della necessità di un progetto di cambiamento delle basi socio-economiche del sistema vigente e questo per ragioni che non hanno nulla a che fare con le idee, ma molto con la prassi e la vita degli uomini, la sostenibilità ambientale del sistema, la sua tenuta dal versante energetico.

Il Sud America è vero, sperimenta situazioni diverse e potrebbe rappresentare un esempio su molte questioni, ma nè l'Argentina nè il Brasile, per fare due esempi, possono dirsi paesi non capitalisti. Il welfare e il keynesianesimo che praticano e predicano NON è anticapitalismo, ma forme di sviluppo sociale che in Europa e nel resto del mondo occidentale sono già state attuate e superate dal neoliberismo dominante. Il problema è che alla lunga anche i paesi del Sud America dovranno fare i conti con la caduta della domanda aggregata mondiale, con la recessione e con la crisi economica, che riproporranno in maniera violenta le dinamiche più cruente della lotta di classe.

Bisogna rendersi conto che è necessario creare i presupposti per un'elaborazione cosciente di modelli nuovi di produzione e distribuzione, utili a creare le condizioni che favoriscano l'unità dei popoli intorno a tali progetti. Abdicare a questo compito che la storia impone, vuol dire arrendersi al "modello unico dominante", al dogma del mercato e dei suoi strumenti e iniquità sistemiche, alla schiavitù perpetua della maggioranza a favore di una esigua minoranza di potenti che governano il pianeta, che detengono il controllo dell'energia, della produzione alimentare, degli apparati militari e industriali, il comparto farmaceutico, l'accesso alle risorse (acqua, petrolio, gas naturale, materie prime).

E' questo il punto NODALE che va compreso! La politica compromissoria di partiti, movimenti e organizzazioni sociali che dovrebbero porsi come catalizzatrici di un nuovo progetto politico, con tutte quelle forze reazionarie e liberiste (esemplificate dall'esempio italiano del PD) sarà l'ulteriore pietra tombale sulle aspirazioni sociali a venire a galla, a diventare proposta politica ed il cambiamento sarà una chimera inseguita piegando il capo alle imposizioni e ai diktat di un potere sempre meno democratico e sempre più dispotico.
In questo contesto, la politica attuale (dal 1989 ad oggi) della sinistra mondiale diventa, consapevolmente o inconsapevolmente, un potente aiuto alla vittoria definitiva di quella Neoaristocrazia che governerà il pianeta per il prossimo secolo.

I pericoli insiti in questa nuova conformazione sociale che sta emergendo, sono immani. E le convulsioni di questa crisi sono essenzialmente determinati dalle forze vive in campo che spingono verso l'affermazione definitiva di questa nuova conformazione sociale che vede, indubbiamente, nella democrazia in quanto tale solo un ostacolo e un impedimento.
La compressione degli spazi democratici e lo spostamento dei centri decisionali di rappresentanza democratica verso nuove istituzioni oligarchico-tecnocratiche, sono un aspetto non marginale delle dinamiche in corso e si collegano strettamente alla questione delle sovranità nazionali. L'erosione della base democratica dei vari contesti nazionali, diventa strumentale al funzionamento dei meccanismi economici e finanziari, alla gestione e allocazione delle risorse, alla circolazione e accumulazione monetaria (capitali). La messa in discussione della modellistica dello Stato Nazione, assume così un aspetto inquietante.
La costruzione economica Europea, sotto il vessillo della moneta unica, ne è l'esempio più lampante. Ma tali dinamiche si affermano su scala globale attraverso tutta una serie di organismi sovranazionali il cui potere decisionale (non democratico) negli ultimi decenni si è enormemente accresciuto. Parlo dell'FMI, del WTO, del OMS, dell'ONU, delle Banche, delle Corporations, ognuno nei propri ambiti di intervento.

E' per questo che la discussione intorno alla conquista democratica della sovranità nazionale da parte dei popoli, particolarmente in quei contesti dove la questione appare più urgente e gigantesca (paesi della cintura mediterranea, Medio Oriente, Sud America, Russia, Cina, Africa Centrosettentrionale, Sud Est Asiatico), diventa il punto iniziale dal quale procedere al fine di favorire la formazione di un movimento internazionale (e internazionalista) capace di mettere al centro l'essere umano e la dignità umana, proponendo soluzioni alla questione sociale e democratica, ambientale, dei diritti sociali.
E' in questo contesto che i termini della questione sono totalmente mutati rispetto al passato, anche recente. Oggi la nazione, la sovranità nazionale, si pongono nei confronti dei processi economici, politici e sociali in atto, come una difesa, come un baluardo, nei confini del quale proteggere tutta una serie di interessi sociali, di diritti e di tutele, che vengono pesantemente ridimensionati e messi in discussione.

E' dunque a partire da una battaglia democratica nei vari contesti nazionali che si costruisce il cambiamento più generale del sistema socio-economico che veda la reimpostazione dei criteri con i quali si affrontano la questione ambientale, i problemi economici; gli obiettivi produttivi e di consumo; l'accesso alla e la redistribuzione della ricchezza; la stratificazione sociale; la divisione mondiale del lavoro.
Bisogna pertanto partire dall'esistente e costruire aggregazione sociale intorno a tutte quelle realtà associative, ai movimenti, ai partiti, alla società civile nel suo complesso, che si pongono come obiettivo principale il cambiamento.

E' dunque necessario creare unione intorno ad alcuni punti fondamentali e che si esca fuori dagli schemi classici della rappresentanza propriamente partitica. E' chiaro che non si possono inventare forme nuove di aggregazione dal nulla, così come per esempio nel caso italiano, ha fatto il Movimento 5 Stelle e che da questo punto di vista pagherà scotto in un prossimo futuro. Alcuni principi di organizzazione, figli della “tradizione” partitica vanno comunque salvati, ma è necessaria una elaborazione collettiva innovativa.
Infatti, intorno ad un nucleo valoriale e di idee fondamentali, è possibile creare attraverso l'attivismo sociale una “rete” tra tutte le associazioni e i movimenti emergenti (o già esistenti e pienamente radicati) in modo tale da favorire la nascita di embrioni territoriali (“Consulte Popolari”) che ad ogni livello elaborino e discutano l'azione politica. Queste unità territoriali, legate tra di loro in tutte le forme possibili, potrebbero contribuire alla nascita di un movimento nazionale con un programma centrale, una struttura democratica definita, un radicamento sociale che rappresenti gli interessi primari della maggioranza delle popolazioni di tutti i contesti nazionali.

L'indizione di quelle che potrebbero essere definite “Assemblee Costituenti” che vadano in questa direzione, appaiono oggi, più che mai irrinunciabili.

E' da qui che si parte per creare i presupposti di un vero cambiamento radicale delle forme di convivenza su questo pianeta. Un cambiamento che presuppone la messa al bando di divisioni razziali, religiose, ideologiche e sociali artificiali, artificiose e controproducenti.
Aldilà di qualsiasi schema culturale, appare evidente che dinnanzi alle sfide che l'umanità ha oggi di fronte, sia urgente mettere al centro della discussione e dell'azione politica cosciente della società nel suo complesso, i bisogni e le esigenze dell'uomo, attraverso la condivisione di una serie di valori universali incontestabili che faccia perno sui principi della conservazione, del rispetto, della qualità e della dignità della vita umana».
dell'ONU, delle Banche, delle Corporations, ognuno nei propri ambiti di intervento.

E' per questo che la discussione intorno alla conquista democratica della sovranità nazionale da parte dei popoli, particolarmente in quei contesti dove la questione appare più urgente e gigantesca (paesi della cintura mediterranea, Medio Oriente, Sud America, Russia, Cina, Africa Centrosettentrionale, Sud Est Asiatico), diventa il punto iniziale dal quale procedere al fine di favorire la formazione di un movimento internazionale (e internazionalista) capace di mettere al centro l'essere umano e la dignità umana, proponendo soluzioni alla questione sociale e democratica, ambientale, dei diritti sociali.
E' in questo contesto che i termini della questione sono totalmente mutati rispetto al passato, anche recente. Oggi la nazione, la sovranità nazionale, si pongono nei confronti dei processi economici, politici e sociali in atto, come una difesa, come un baluardo, nei confini del quale proteggere tutta una serie di interessi sociali, di diritti e di tutele, che vengono pesantemente ridimensionati e messi in discussione.

E' dunque a partire da una battaglia democratica nei vari contesti nazionali che si costruisce il cambiamento più generale del sistema socio-economico che veda la reimpostazione dei criteri con i quali si affrontano la questione ambientale, i problemi economici; gli obiettivi produttivi e di consumo; l'accesso alla e la redistribuzione della ricchezza; la stratificazione sociale; la divisione mondiale del lavoro.
Bisogna pertanto partire dall'esistente e costruire aggregazione sociale intorno a tutte quelle realtà associative, ai movimenti, ai partiti, alla società civile nel suo complesso, che si pongono come obiettivo principale il cambiamento.

E' dunque necessario creare unione intorno ad alcuni punti fondamentali e che si esca fuori dagli schemi classici della rappresentanza propriamente partitica. E' chiaro che non si possono inventare forme nuove di aggregazione dal nulla, così come per esempio nel caso italiano, ha fatto il Movimento 5 Stelle e che da questo punto di vista pagherà scotto in un prossimo futuro. Alcuni principi di organizzazione, figli della “tradizione” partitica vanno comunque salvati, ma è necessaria una elaborazione collettiva innovativa.
Infatti, intorno ad un nucleo valoriale e di idee fondamentali, è possibile creare attraverso l'attivismo sociale una “rete” tra tutte le associazioni e i movimenti emergenti (o già esistenti e pienamente radicati) in modo tale da favorire la nascita di embrioni territoriali (“Consulte Popolari”) che ad ogni livello elaborino e discutano l'azione politica. Queste unità territoriali, legate tra di loro in tutte le forme possibili, potrebbero contribuire alla nascita di un movimento nazionale con un programma centrale, una struttura democratica definita, un radicamento sociale che rappresenti gli interessi primari della maggioranza delle popolazioni di tutti i contesti nazionali.

L'indizione di quelle che potrebbero essere definite “Assemblee Costituenti” che vadano in questa direzione, appaiono oggi, più che mai irrinunciabili.

E' da qui che si parte per creare i presupposti di un vero cambiamento radicale delle forme di convivenza su questo pianeta. Un cambiamento che presuppone la messa al bando di divisioni razziali, religiose, ideologiche e sociali artificiali, artificiose e controproducenti.
Aldilà di qualsiasi schema culturale, appare evidente che dinnanzi alle sfide che l'umanità ha oggi di fronte, sia urgente mettere al centro della discussione e dell'azione politica cosciente della società nel suo complesso, i bisogni e le esigenze dell'uomo, attraverso la condivisione di una serie di valori universali incontestabili che faccia perno sui principi della conservazione, del rispetto, della qualità e della dignità della vita umana».

* Fonte: memorandum di uno smemorato

venerdì 6 maggio 2011

Editoriale – Comunismo e Comunità n° 5



Il quinto numero di Comunismo e Comunità è in uscita in versione cartacea. Presentiamo qui, come anticipazione, l’editoriale, sicuri che tutti gli amici ed i compagni rinnovino i propri abbonamenti e ne procurino degli altri, visto che si tratta di una rivista totalmente indipendente ed autofinanziata.


La Redazione



UI
(urla) Sangue! Ricatti! Furti ed assassinii! Arbitrii! Sparatorie in piena strada! Uomini che si recano al lavoro, cittadini pacifici che vanno in municipio per testimoniare, uccisi in pieno giorno! E cosa fa, io domando, il Consiglio comunale? Nulla! Perché codesti valentuomini debbono progettare certi affari poco puliti, e denigrar la gente onorata, invece di adottare delle misure!

Bertold Brecht, “La resistibile ascesa di Arturo Ui”.

Per l’ennesima volta in un paio di lustri l’Italia si è impegnata in una guerra di aggressione imperialistica.
Dopo l’attacco alla Serbia in cui la nostra aviazione fu seconda solo a quella statunitense per missioni di attacco, dopo il corpo di invasione spedito in Afghanistan, dopo quello inviato attorno ai pozzi di petrolio a noi magnanimamente assegnati in Iraq dal nostro “maggior alleato” ora stiamo attaccando la Libia appena un anno dopo aver siglato con questo Paese un patto di amicizia e di reciproca non-aggressione. Giuda non avrebbe potuto fare di meglio.
Non staremo a ripetere i perché della nostra avversione agli innumerevoli “bombardamenti umanitari”. I membri del nostro laboratorio politico li hanno discussi nel sito e su altre testate online, come Megachip.
Ciò su cui occorre invece riflettere è la tripla peculiarità di questa nuova impresa imperialistica.

1. La prima, di carattere internazionale, è che all’interno del fronte degli aggressori si sono sperimentati litigi rilevanti. La constatazione empirica è che nell’attacco alla Libia siano schierati in prima linea le vecchie potenze coloniali in Africa: Francia, Gran Bretagna e Italia, che insieme possono vantare il massacro di milioni di Africani (con record francese: quattro milioni di morti) mentre nella sola Libia il nostro Paese può rivendicare con orgoglio lo sterminio di un paio di generazioni (con orgoglio: infatti chiedere scusa di ciò, coi fatti e non con le parole, è stato considerato un atto di “incivile cortigianeria” da un ampio schieramento trasversale di forze politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra – con pochissime eccezioni – passando per quello che una volta si sarebbe definito “arco costituzionale”, e su ciò ritorneremo).
La Germania nelle avventure coloniali in Africa c’era e non c’era e ad ogni modo durò poco (ciononostante si fece notare dai patiti del massacro coloniale per il quasi totale sterminio degli Herero nell’attuale Namibia). E anche adesso la Germania c’è e non c’è, sottoposta a pressioni di vario tipo per dare il proprio contributo all’aggressione, pressioni tra le quali spiccano quelle politiche dei Verdi tedeschi e di alcuni settori della Socialdemocrazia. E anche su questo ritorneremo.
Gli USA in Africa invece non c’erano e anche oggi dopo che “il presidente Obama ha lanciato sulla Libia più missili di quelli lanciati da tutti i precedenti premi Nobel per la Pace messi assieme” (come è stato detto ad una radio statunitense) si sono messi a tirare le fila della vicenda da una posizione più decentrata lasciando il gioco sporco ai Paesi contractor europei e agli ascari mediorientali capeggiati dall’Arabia Saudita. Già il Segretario alla Difesa, Robert Gates, aveva infatti avvertito che avrebbe considerato demenziale un terzo maggior coinvolgimento diretto degli USA dopo l’Afghanistan-Pakistan e l’Iraq. Su questa prudenza comunque non ci giureremmo, perché ci sono variabili troppo importanti da controllare.
Ritorniamo ai litigi interni alla coalizione dei volenterosi. La Francia in questa vicenda ha giocato il ruolo di prima donna isterica. Il lato isterico gliel’hanno fornito due dame di compagnia dell’interventismo umanitario, cioè Bernard-Henri Lévy, un filosofo famoso non si sa per che cosa, ma comunque obbligatoriamente famoso per i media occidentali, e Bernard Kouchner che fu leader del Maggio Francese assieme a Daniel Cohn-Bendit, anch’egli ex contestatore libertario e da tempo embedded come i suoi amici nelle truppe della NATO e di Tsahal.
Ma se il lato isterico è questo, quello ragionato rivela almeno due cose: la volontà di neutralizzare la preferenza della Libia per l’italiana ENI nello sfruttamento degli idrocarburi fossili e quella più generale di ritornare nel gioco geopolitico africano e mediorientale da dove, assieme alla Gran Bretagna, fu brutalmente cacciata a calci nel sedere dagli USA durante la crisi di Suez del 1956.
Tutta la disquisizione NATO sì-NATO no nascondeva la volontà della Francia di avere mano libera e non essere irreggimentata dal patron dell’Alleanza Atlantica, cioè gli USA (una pretesa ragionevole dato che la Francia se la sta cavando bene nell’ingerenza omicida negli affari interni della Costa d’Avorio). In questa battaglia, così come in tutta la vicenda, è presumibile che sia la Francia sia la Gran Bretagna abbiano stretto speciali accordi con Israele per poter forzare i tempi e la mano di Obama. Formalmente la Francia ha perso la contesa e così oggi siamo di fronte ad una NATO che apparentemente stenta a capire come muoversi.
Di sicuro c’è un gran lavorio di servizi segreti, di mercenari, di forniture di armi. Occorre vedere dove si sta puntando.
Per andare avanti le potenze imperialistiche sembrano quindi costrette a ripercorrere vecchie strade. Se c’è un segnale di grossa novità in questa crisi è, paradossalmente, proprio la riesumazione del passato.
La Storia si ripete (e purtroppo non in farsa), una ripetizione che è idealmente iniziata con il ritorno di Sarajevo al centro di un conflitto europeo quasi novant’anni dopo l’attentato all’Arciduca d’Austria.
E 100 anni dopo anche noi ritorniamo all’avventura della “quarta sponda” festeggiata come evento umanitario dal Capo dello Stato e delle Forze Armate, come una sorta di appendice ai festeggiamenti dei 150 anni di unità d’Italia. Per ironia della sorte sul ponte di comando della Difesa abbiamo persino un ministro fascista. Il cerchio sembra chiudersi.
Nell’ambito del litigioso schieramento imperialistico, al lato opposto della superinterventista Francia troviamo la non-interventista Germania. Meno interessata direttamente al business del petrolio libico, la Germania prosegue nella sua Ostpolitik verso la Russia testimoniata dal gasdotto Northstream e dalla sua voglia di compartecipare anche al Southstream capeggiato da ENI. Forse l’entrata dei Tedeschi potrebbe sbloccare una situazione che sembra incartata. E qui siamo arrivati alle debolezze italiane.

Segue: http://www.comunismoecomunita.org/?p=2518

lunedì 15 novembre 2010


COMUNITARISMO E UNIVERSALISMO: PROSPETTIVE DI ALTERNATIVA E DI RESISTENZA ALL'IMPERIALISMO AMERICANO




Intervista con il Prof. Costanzo Preve: a cura di L.Tedeschi (tratto da ITALICUM, numero 9-10 settembre-ottobre 2004)


D.Gli elementi caratterizzanti l'attuale fase storico politica dominata dall'impero americano e conseguentemente dal capitalismo, non sono più costituiti dalla dicotomia destra/sinistra, bensì dalla contrapposizione tra gli USA e i popoli e le nazioni che si oppongono al dominio americano.
Al modello capitalista si vuole contrapporre il comunitarismo, quale "difesa dello stato-nazione indipendente concepito in modo nazionalitario e non nazionalista, razzista e imperialista". Dato l'attuale "nichilismo nazionale" e la quasi assenza di valori e costumi identitari specialmente in Europa, quali sono i fondamenti filosofici e politici di un comunitarismo inteso quale modello politico e culturale diverso e migliore dell'individualismo liberale?

R.Mentre 1'impero americano ed il tipo di "turbocapitalimo" che esso sostiene ed organizza sul piano geopolitico esistono e sono corpose realtà storiche e politiche, un "comunitarismo" che sappia essere ad un tempo anti-imperialista e democratico non esiste invece ancora, ed in questo momento resta ancora in larga misura un orizzonte astrattamente possibile. Vi è qui dunque una dolorosa asimmetria.
Così come la conosciamo storicamente la dicotomia Destra/Sinistra non è affatto universale come si pensa, ma è prevalentemente europea e latino-americana. In estrema sintesi essa e già passata attraverso tre fasi storiche fondamentali. In una prima fase (I789-1914 circa) questa dicotomia si è sovrapposta al conflitto sociale, politico ed economico fra democratici prima e socialisti poi (sinistra) ed un fronte vario e nobile di conservatori e di liberali (destra). In una seconda fase (1914-1991 circa) questa dicotomia si è sovrapposta allo scontro, prima soltanto sociale e poi geopolitico, fra il comunismo storico novecentesco ed i suoi alleati (sinistra) ed un fronte vario e mobile che ha visto a volte in conflitto ed a volte alleati i fascismi storici ed il liberalismo capitalistico (destra). Siamo però ormai in una terza fase storica, in cui si è formato un "pensiero unico" capitalistico ed imperialistico, cui il "politicamente corretto" di sinistra è quasi completamente subordinato ed asservito. Il vettore culturale e giornalistico principale di questo asservimento, che non è ancora purtroppo colto come tale da gran parte delle classi e dei gruppi dominati, è stato la trasformazione metabolica della sciagurata generazione del Sessantotto. La critica originariamente di "sinistra" al socialismo autoritario, burocratico e gerarchico di tipo sovietico si è dialetticamente rovesciata in appoggio culturale di "destra" all'impero americano, visto come società libertaria e multiculturale delle sconfinate possibilità individuali. La connessione fra queste due posizioni unilaterali rovesciatesi l'una nell'altra è evidente per una coscienza filosofica dialetticamente bene educata, ma non lo è per gli incoscienti educati ai miti operaistici del monoclassismo sociologico proletario rovesciatosi oggi in sciagurato mito imperiale messianico armato e bombardatore. Il "nichilismo nazionale" denunciato nella domanda è reale, ed è a sua volta frutto della confluenza di due componenti, la componente di "destra" del capitalismo cosmopolitico e senza patria rivolto unicamente ai profitti e particolarmente agli interessi erogati dal capitale finanziario transnazionale, e la componente di "sinistra" critica dello stato borghese nazionale in nome di una sintesi di monoclassismo sociologico proletario globalizzato (il che spiega il perché della facile riconversione di questa componente al mito della globalizzazione) e di critica anarchica della morale borghese tradizionale, particolarmente familiare e sessuale (il che spiega perchè costoro stiano oggi in prima fila nell'imporre a colpi di bombardamenti strategici i costumi sessuali occidentali alle renitenti società "musulmane". La Francia (ed in parte i paesi scandinavi) è oggi il solo paese europeo che resiste, sia pure debolmente, al nichilismo nazionale europeo. Dio la benedica. In questa sacrosanta e benemerita resistenza è troppo debole e residuale per innescare oggi una vera inversione di tendenza su scala europea. E qui, in poche parole, risiede il 70% del dramma storico di oggi.

Segue: http://comunitarismo.it/comu_univ.htm