mercoledì 23 marzo 2011

Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia




Comunicato del laboratorio politico Comunismo e Comunità

Da ormai quattro giorni persiste l’attacco aereo contro la Libia ed i bombardamenti hanno già prodotto decine di morti e distrutto importanti infrastrutture del paese. L’aggressione, di pieno carattere neocoloniale e imperialistico, è stata avallata da un’opportunistica e ambigua risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU approvata dalla maggioranza dei membri con l’astensione di Russia, Cina, India, Brasile e Germania. Tale risoluzione, partendo dalla declamata esigenza di creare una zona di interdizione aerea sui cieli libici, sta avallando di fatto (anche se formalmente non li prevede) i bombardamenti condotti dalla coalizione delle potenze imperialistiche “volenterose”: Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti in primis con l’ausilio di altri paesi, tra cui l’Italia, che ha concesso le proprie basi militari ed inviato suoi aerei da combattimento.


Ancora una volta, con la scusa grottesca dell’intervento umanitario, i paesi occidentali violano militarmente un paese sovrano. La scusa questa volta è stata una ribellione di gruppi dissidenti interni alla Libia da sempre ostili a Gheddafi, circoscritti peraltro alla regione della Cirenaica. Una ribellione almeno in parte foraggiata fin dal principio con armi, denaro e appoggio logistico dagli stessi paesi oggi in prima fila nel lanciare bombe sulla Libia. Questa ribellione armata, che ha ovviamente anche le sue componenti endogene, è stata tuttavia presentata falsamente come rivolta popolare generalizzata, alla stregua delle rivolte popolari avvenute in Tunisia ed Egitto. Per giorni i media al fine di preparare l’opinione pubblica ad accettare la soluzione “inevitabile” dell’intervento armato hanno insistentemente descritto uno uno scenario inesistente: quello cioé di una massa inerme rivoltosa e di un regime spietato che bombarda la folla e il suo stesso popolo. Fonti numerose, analogamente a quanto accadde in Jugoslavia, hanno poi smentito molte delle immagini e dei racconti ad alto impatto emotivo che venivano riportati.


Lo scenario reale interno, va detto, non é di immediata e semplice comprensione e probabilmente sarà conoscibile pienamente quando gli eventi prenderanno una direzione più chiara. Tuttavia a grandi linee si può dire che vi sia stata ed è in corso una ribellione armata relativamente ristretta e territorialmente limitata, di cui non è affatto chiara la composizione sociale e che non ha mai esplicitato con chiarezza quali siano i suoi obiettivi politici (salvo il generico rovesciamento di Gheddafi) e i suoi riferimenti (salvo esporre a più riprese la bandiera della Libia monarchica e filo-coloniale del Re Idris, rievocando così il passato di avamposto dell’imperialismo). A tale ribellione armata il governo libico ha reagito duramente (se la reazione sia stata più o meno sproporzionata o totalmente fuori misura e criminale è assai difficile saperlo) . E’ cosa certa, tuttavia, che alle armi si è risposto con le armi e che, come sarebbe avvenuto in qualsiasi altro paese del mondo, un esercito armato ha risposto ad una ribellione armata. Negli ultimi giorni degli scontri tra truppe governative e ribelli, l’esercito aveva recuperato gran parte del territorio libico finito sotto il controllo dei rivoltosi e la situazione sembrava volgere al termine (vi era stata anche una proposta governativa di cessate il fuoco e amnistia generale per i ribelli). Nel frattempo i paesi sudamericani dell’ALBA avevano proposto una soluzione diplomatica di mediazione congiunta di tutti i paesi per favorire il cessate il fuoco.


Le potenze interventiste, consce del rischio di una situazione che andava normalizzandosi poco a poco), avevano fretta di entrare in scena, determinare per vie dirette la caduta del governo libico (evidentemente fallita tramite la ribellione) e spartirsi le ingenti risorse energetiche del paese strappandole prima di tutto ai libici e in secondo battuta alle potenze concorrenti (tra cui l’Italia) che usufruivano di contratti in loco. E così in fretta e furia, facendo leva sulla cosiddetta “legalità internazionale” si sono adoperati per scatenare quella che si configura contemporaneamente come una guerra di aggressione neo-coloniale e una guerra “mondiale” tra blocchi geopolitici e tra potenze, dove da un lato vi sono gli Stati Uniti e i loro accoliti francesi e inglesi (dove i francesi guidati dal cinico Sarkozy, ormai padre consolidato dell’occidentalismo di regime, appaiono come i più determinati ad assumere un ruolo di spicco); dall’altro vi sono altri paesi emersi come potenze sempre più insofferenti verso la volontà di egemonia (ormai solo politico-militare, non più economica) del blocco occidentale. In proposito va sottolineata l’apparente stranezza del mancato veto posto da Russia e Cina che dall’alto del loro ruolo, avrebbero potuto bloccare la risoluzione ONU. Probabilmente, alla luce delle nette dichiarazioni di indignazione dei due paesi all’indomani dell’attacco si è trattato di un atteggiamento guidato dalla paura che la guerra sarebbe stata ugualmente scatenata, ma sotto l’egida NATO (quindi totalmente fuori dal loro controllo). Da sottolineare lo scontro interno (di cui da tempo vi erano segni premonitori di difficile interpretazione) manifestatosi in Russia tra Putin (cha ha usato parole coraggiose e chiarissime) e Medvedev (che le ha ufficialmente respinte e ridotte a opinione personale del presidente).


L’Italia si trova a giocare la parte più paradossale, imperialistica e insieme servile verso nazioni terze, in quanto paese legato da propri interessi consolidati con la Libia nonché da un trattato di amicizia e reciproco rispetto sovrano, avvenuto con tanto di risarcimento dei crimini coloniali. Il nostro paese si è lasciato vilmente trascinare nella criminale avventura bellica fondamentalmente per due ragioni: 1- ha subito pesantissime pressioni esterne poiché le sue basi mediterranee erano la condizione per un comodo attacco non basato soltanto sul dispiegamento di portaerei in mare; 2- ha ceduto vigliaccamente alle pressioni non solo per paura di ritorsioni, ma anche per sperare di ottenere le briciole della spartizione coloniale della Libia posto che probabilmente la guerra sarebbe stata scatenata ugualmente. Un atteggiamento dunque della peggior specie: prepotente, imperialista e servile.


Il governo (con l’eccezione delle Lega) e l’opposizione (quest’ultima con maggior convinzione e protervia umanitaria), (fatta salva l’IdV) hanno votato a favore del coinvolgimento del paese nell’attacco. Di rilievo la posizione quasi fanatica espressa più volte dal nostro presidente della Repubblica prodigo nel ribadire l’importanza dell’intervento umanitario, legandolo tra l’altro sciaguratamente alla celebrazione dell’unità d’Italia, scatenando quella nazionalizzazione imperialistica delle masse (oggi umanitaristica, ieri razzista, ma ugualmente suprematista) che è il vero scivolamento ed effetto collaterale principale verso cui precipita il senso di appartenenza nazionale (di per sé elemento di forza e solidarismo) quando egemonizzato da forze sistemiche.


Il governo ha mostrato e mostra tutt’ora un evidente imbarazzo nella gestione della vicenda, proprio perché stretto tra i due fuochi dei suoi stessi interessi energetici e geopolitici e della paura di emergenza immigrati di vaste proporzioni, da un lato, e delle pressioni ricevute dalle potenze protagoniste dell’attacco nonché dalla volontà di spartirsi le briciole del paese neo-colonizzato, da un altro lato. Di qui le posizioni di attuale prudenza che però, malgrado le spinte leghiste, non si traducono al momento in nessuna significativa scelta di ripensamento almeno neutralista (come ad esempio ha fatto la Germania fin dall’inizio, naturalmente per proprio interesse).


Siamo di fronte ad un vasto tentativo di riposizionamento strategico delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti (il cui ruolo è in apparenza mascherato dal protagonismo anglo-francese) che tramite le continue aggressioni belliche, le rivoluzioni colorate e le pesanti ingerenze negli affari delle nazioni sovrane tentano di mantenere la propria egemonia nel mondo arginando la forza e l’influenza delle nuove potenze emerse. Come in tutte le fasi di declino, lo scontro interimperialistico diventa diretto ed acceso e chi ne fa le spese sono i popoli e gli Stati che assumono posizioni scomode di autonomia decisionale magari optando per strategie geopolitiche indipendenti.


La Libia di Gheddafi, nel 2003, a seguito dell’invasione dell’Iraq fece scelte in chiave di “riappacificazione” con l’occidente e sottomissione ai voleri nord-americani ed Europei, in buona parte proprio per evitare di finire sotto i colpi assassini delle bombe umanitarie. Le privatizzazioni (parziali) e le liberalizzazioni dell’economia libica evidentemente non sono bastati per accontentare l’imperialismo USA e le scelte geostrategiche di Gheddafi favorevoli alla formazione di un accenno di asse geopolitico inedito (Italia, Russia, in parte la stessa Germania) gli sono costate care.


Inoltre l’Africa, come il MedioOriente e l’Asia centrale è un continente che fa gola alle potenze imperialiste (tra i paesi europei spicca la Francia che ha sempre mantenuto il suo legame post-coloniale), sia come “discarica” delle scorie radioattive, sia come sorgente di rifornimento energetico ed infine come asse geografico di scontro con l’espansione commerciale cinese.


Non possiamo che denunciare con fermezza l’ennesima guerra “umanitaria” devastatrice ribadendo il principio di sovranità degli Stati e dei popoli manipolato ancora una volta dalle Nazioni Unite tramite un vero e proprio colpo interno delle nazioni occidentali.


I problemi interni alla Libia sono e restano problemi della Libia, nei confronti dei quali l’unica ragionevole soluzione è quella di una mediazione diplomatica promossa da tutti i paesi di concerto al solo fine di evitare spargimenti di sangue da una parte e dall’altra (senza ingerenza alcuna nelle scelte politiche sovrane del popolo libico). Ma questo non è naturalmente l’obiettivo dei paesi che hanno scatenato la guerra, dal momento che mentre scriviamo la popolazione del Bahrein è sotto occupazione militare saudita e subisce i colpi della repressione del proprio governo; analoga repressione governativa avviene nello Yemen; la Costa d’Avorio è insanguinata da una nuova guerra civile, i palestinesi subiscono la quotidiana repressione dei corpi di sicurezza israeliani e rimangono imprigionati in uno Stato occupato senza sovranità. La sicurezza e la tutela dei civili privati di diritti e libertà non è evidentemente la preoccupazione delle potenze imperialiste.


La posizione da assumere in queste ore non può essere ambigua. Slogan opportunistici “né Gheddafi, né la guerra” non possono trovare spazio. I giudizi per certi versi anche negativi sul governo Gheddafi e le dinamiche, senz’altro complesse, interne al paese libico fanno parte di tutt’altro piano del discorso che non può essere confuso con le urgenze attuali. Se lo si fa si cade nella confusione interpretativa finendo per legittimare indirettamente l’ottica suprematista e la protervia interventista dei paesi occidentali.


Quello che oggi dobbiamo reclamare con urgenza qui in Italia é:


1-l’immediato ritiro dell’Italia dalla guerra d’aggressione.


2-la chiusura di tutte le basi militari alle forze armate aeree straniere.


3-l’assunzione esplicita da parte dell’Italia di una politica autonoma e sovrana di contrarietà all’aggressione militare e di riabilitazione del trattato di non aggressione e non ingerenza italico-libico.


Esprimiamo inoltre un messaggio di esplicita solidarietà alla Libia aggredita, rivendicandone il diritto naturale alla resistenza contro gli occupanti.


Ci sentiamo vicini a tutti quei comunicati che sono stati diffusi in questi giorni i cui contenuti e le cui priorità si accostano a quelle qui espresse. Ribadiamo inoltre la necessità di un coordinamento il più ampio e trasversale possibile di tutte le forze contrarie alla guerra e favorevoli all’assunzione da parte dell’Italia di una politica autonoma di pace.

La redazione, www.comunismoecomunita.org

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