Le urgenze politiche italiane poste dalle rivolte arabe
Piero Pagliani
1. Parto dalle rivolte arabe per mettere sul tappeto un problema più generale.
Per quanto riguarda il mondo arabo ritengo che siamo di fronte a cose molto diverse.
In Egitto e Tunisia c'è il tentativo imperialista (USA) e subimperialista (UE) di mantenere il controllo della situazione cavalcando e indirizzando le rivolte popolari verso esiti rassicuranti e per certi versi preventivati, ovvero cambi delle guardia indolori, basandosi sui militari.
Non è per nulla detto che la cosa funzioni, ma se anche il movimento popolare non dovesse fermarsi qui, si deve dotare di una direzione e di un’organizzazione, altrimenti saranno guai. Non siamo noi a doverlo insegnare a nessuno: qui è la Storia che dà lezioni a tutti.
La Libia è invece oggetto di un tentativo di balcanizzazione basato sui conflitti interni al regime e alla stessa famiglia Gheddafi. Alcuni ex (da poco) membri del regime si sono recentemente espressi a favore di un "intervento umanitario" per “evitare la guerra civile”, come Mahdi el-Arab, il capo di stato maggiore aggiunto dell’esercito libico. Se ci fosse stato bisogno di una riprova ce l’abbiamo.
I militari si corrompono con i loro giocattoli preferiti, cioè con le armi. Non è azzardato vedere in quel che sta succedendo anche un side-effect della massiccia vendita di armi moderne alla Libia da parte degli USA.
Infine fonti diplomatiche ad Islamabad hanno riferito che gli USA, la Francia e la Gran Bretagna hanno già inviato centinaia di “consiglieri militari” ai rivoltosi.
2. Bisogna capire che la caduta di Gheddafi porterà alla destabilizzazione di tutta la zona subsahariana, che ha grosse riserve petrolifere, in primis Sudan, Ciad e Nigeria. Sono sicuro che si userà questo fatto anche per cercare di contenere la penetrazione della Cina in Africa (paradigmatico è l'abbandono della Libia dei tantissimi cinesi).
Per non contare la volontà-necessità imperialista di controllare Paesi dell'area che non sono ostili ma nemmeno ciechi servitori, come la Siria e il Libano (dopo che la carta dei fedeli di Hariri si è rivelata non vincente). Ovviamente c'é poi sempre l’Iran.
Ricordo allora che questa, come ha rivelato il Generale Wesley Clark, ex comandante supremo della NATO, era più o meno la sequenza prospettata da Dick Cheney, l’indimenticabile Segretario alla Difesa di Bush: invasione di Afghanistan, Iraq, Libia, Libano, Sudan, Somalia, Siria e infine Iran.
Il Nobel per la Pace Barack Obama ha evidentemente aggiornato la lista, dato che dopo l’attentato-bufala del volo Amsterdam-Detroit del Natale 2009, ha immediatamente parlato oltre che di Somalia anche di Yemen (Paesi entro cui, guarda caso, si adagia il Golfo di Aden, passaggio obbligato delle petroliere sulla rotta da e per Suez); e, inoltre, ha aggiunto i bombardamenti sul Pakistan.
3. Insomma, siamo in piena Terza Guerra Mondiale e bisogna partire da questa constatazione per capire cosa sta succedendo.
Bisogna ad esempio prepararci a capire cosa dire e cosa fare se per caso all'Italia venisse la brillante idea di inviare un “corpo di pace” in Libia esattamente a 100 anni dall’inizio della colonizzazione sotto Giolitti.
Purtroppo in Libia non c'è nessuna forza democratica e popolare di riferimento. E questo rende più difficile capire come opporsi ad un’eventuale spedizione (forse UE, forse NATO), senza con ciò lasciare il campo agli USA. Intendo dire che non basta opporsi a una spedizione europea (che probabilmente sarebbe principalmente composta da Germania, Francia, UK e Italia, come chiede Obama), non basta opporsi al nostro coinvolgimento, ma occorre opporsi a tutte le mire imperialistiche sulla Libia, pur in mancanza di un interlocutore politico sulla sponda opposta del Mediterraneo, cosa che rischia di trasformare quella opposizione in un favore a quelle potenze che nella Libia “liberata” stanno già mettendo buone radici.
Occorre premere perché l’Europa esprima una volontà e una capacità politica di essere una potenza autonoma e non un esecutore degli ordini statunitensi.
Ma ciò comporta automaticamente una lotta per una ridefinizione di tutta la politica estera europea, in senso unitario, neutrale e a-imperialista (antimperialista mi sembra troppo) e per una ridefinizione radicale della politica interna, in senso antiliberista e antimonetarista.
4. Tutte e tre le cose, cioè a-imperialismo, sovranità e neutralità in politica estera (e quindi anche energetica) e infine antiliberismo/antimonetarismo sono intrecciate strettamente e presumo che saranno temi che gli effetti delle rivolte arabe metteranno all’ordine del giorno.
Se non si riesce a creare un fronte di Paesi europei di peso che vada in quella direzione bisognerebbe allora essere pronti a chiedere che l'Italia si dissoci dalla UE, anche per quanto riguarda la politica monetaria (accordi di Maastricht, etc), altrimenti il rischio serio è che ci potremmo ritrovare a casa degli altri con truppe in Africa, in Kosovo, in Libano e in Afghanistan e a casa nostra con uno smantellamento selvaggio di ciò che resta dello stato sociale. I 150 anni dell’unità d’Italia verrebbero così festeggiati con un ritorno alle peggiori abitudini, una sorta di politica imperiale senza nemmeno il welfare fascista, il tutto però benedetto in modo bipartisan.
Non è per nulla facile, ma occorre essere preparati a contrastare queste possibilità e per di più in poco tempo.
I partiti della sinistra su questo non ci seguiranno, è inutile illudersi. Anzi è certo che ci contrasteranno, chi direttamente chi facendo confusione alla ricerca di alleanze incoerenti.
E’ invece necessario unirsi con chi concorda su pochi principi base di azione politica e su alcuni punti chiave di carattere generale che occorre definire per abilitare le lotte che saranno obbligatorie.
E’ un compito urgente perché le cose rischiano di precipitare da un momento all'altro.
Megachip.
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