Il comunismo? Ipotesi plausibile.
I comunisti? Dio ce ne scampi
di Costanzo Preve - 08/06/2006
La Storia Reale ed il Culto della Talpa
1. Mi è stato chiesto di aprire una discussione teorica e filosofica sul comunismo. L’ho già fatto in passato forse una decina di volte. E’ impossibile, e so bene, e lo dico in anticipo, che non serve assolutamente a niente. Anche questa volta, sarà come le precedenti. Non partirà nessuna discussione. E questo per una ragione strutturale e ben precisa. Le discussioni, per essere tali, e non essere solo ridicole caricature, devono essere senza rete, a 180 gradi, e porre quelli che Cartesio chiamava “dubbi iperbolici”, in quanto i soli dubbi metodici non sono veri dubbi, ma solo momenti fisiologici interni a qualsiasi ragionamento che non sia una rissa per ubriaconi. Chi vuole discutere sul comunismo senza mettere preventivamente anche in discussione l’opportunità nella presente fase storica di costituire un’organizzazione politica neocomunista, e dà invece per scontata e preliminare questa decisione, non può discutere sul comunismo. Ci sarà solo quella che il marxista tedesco Christoph Hein chiama la quinta operazione, quella che fissa il risultato ancora prima di effettuare il calcolo, a differenza delle quattro operazioni normali (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione).
Ho abbandonato da almeno un decennio il mondo della quinta operazione, che è sempre stata l’oggetto del primo esame di matematica cui dovevi sottoporti per laurearti in “intellettualismo organico”, la laurea degli intellettuali buoni, quelli “organici” al movimento operaio e comunista, da distinguere dagli intellettuali cattivi, quelli pagati dai padroni e/o in preda ad anarchismo piccolo-borghese o alla pretesa borghese di libertà incondizionata. Libertà, sia detto fra parentesi, che permise a suo tempo a Marx di scrivere quello che pensava, al di fuori della committenza di gruppi blanquisti o di gruppetti anarchici o bakuniniani.
Dunque, deve essere chiaro che discutere significa soltanto discutere senza rete, senza quinta operazione e senza predeterminazione in anticipo degli esiti. La discussione gruppuscolare neocomunista di nicchia non ha questi requisiti, perché il presupposto identitario di appartenenza, fatto passare per necessità di prassi di impegno “pratico”, lo impedisce. Fatta questa indispensabile premessa, fingiamo ancora una volta (ma sarà l’ultima) che una discussione sul comunismo sia possibile.
2. In un discorso tenuto a Milano il 14 maggio 1966 Pietro Nenni diede questa definizione geniale ed insuperabile: “La prova del movimento si dà muovendosi”. Ed infatti è proprio così.
Prima di definire nel 1875 in modo assolutamente vago e politicamente indeterminato il comunismo del futuro come la società in cui ognuno darà secondo le sue capacità e riceverà (da chi? - nota mia) secondo i suoi bisogni, nel 1844 Marx definì nennianamente il comunismo come quel movimento reale che aboliva lo stato di cose presenti. La definizione è talmente vaga che persino un presenzialista dilettante come Bertinotti ha potuto metterla sulle tessere del suo partitino. Tuttavia, assumiamola qui come la definizione classica di comunismo da cui partire. E’ infatti una buona definizione, perché inserisce il comunismo nel movimento temporale della storia reale, togliendolo dal precedente significato di progetto artificiale politico (Platone) o religioso (Gesù di Nazareth, Tommaso Moro, eccetera).
Bene, sono passati da allora quasi due secoli, e per ora questo movimento sembra entrato sottoterra come un fiume carsico. Alla superficie si vedono soltanto un 80% di movimenti capitalistici ed imperialistici di globalizzazione, ed un 20% di movimenti anti-globalizzazione (da Chavez ad Ahmadinejad), che non sembrano però avere nulla di comunista nel senso di Marx,
Insomma, può essere imbarazzante dirlo, ma se il comunismo è un movimento reale (Marx) e la prova del movimento si dà muovendosi, pare che il comunismo per adesso non si stia muovendo.
Partiamo allora da questo fatto, il lettore dovrà ammettere che si tratta di un fatto storico, e non di una opinione piccolo-borghese anarcoide di chi vuole usare la sua libertà di pensiero che la borghesia nega ai proletari (contributo dei CARC alla discussione sul marxismo).
3. I seguaci della religione totemica della Talpa, erroneamente confusa con il metodo di Marx, hanno però già pronta la loro risposta: in apparenza sembra che poco si muova, ma vediamo che la resistenza irachena continua a combattere, Hamas vince le elezioni in Palestina e Morales le vince in Bolivia, eccetera; ben scavato, vecchia Talpa!
La religione totemica della Talpa consiste in ciò, che le normali resistenze al capitalismo, all’imperialismo e alla globalizzazione vengono pensate in questo modo totemico-talpesco come momenti di avvicinamento al Grande Giorno del Comunismo. Allora, o ci poniamo un dubbio iperbolico o ci rifugiamo nel totemismo. Ora, essendo un sostenitore della permanenza antropologica del sacro, dei simboli e della religione, e quindi anche del totemismo, e ritenendo l’unificazione filosofica dell’intera umanità nel materialismo dialettico l’esito di una buona ubriacatura di vodka, non ho nulla contro il totem della Talpa, che anzi preferisco al totem dell’Orso degli speculatori di borsa, del totem del Lupo dei fascisti turchi o del totem della Pecora dei pacifisti salmodianti e belanti. Nello stesso tempo, il metodo critico di Marx deve essere applicato anche a se stesso, cosa che i gruppi religiosi marxisti non fanno.
Proviamo a farlo.
4. Mi spiace usare la paroletta “io”, che Gadda a suo tempo definì “il più odioso dei pronomi”, ma per chiarezza verso il lettore non mi nasconderò dietro il ridicolo e pomposo anonimato della terza persona, in cui empirici personaggi staliniani, trotzkisti o bordighisti, usando il linguaggio impersonale, si fingono (e si illudono grottescamente di essere) il corso maestoso della storia universale cosmopolitica. Preferisco che il lettore legga “io”, e relativizzando me che scrivo relativizzi anche di conseguenza se stesso. Se invece ritiene di incarnare il Proletariato allora è meglio che chiudiamo tutto e ci diamo ad una sana partita a carte.
Io penso, detto in breve, che la questione del comunismo non è chiusa, la storia ovviamente non è finita, le classi, i popoli, le nazioni e gli individui oppressi esistono sempre, la loro resistenza continua, sia sempre più giusto appoggiarla, e sia anche opportuno organizzarsi per farlo.
Considerandomi anche un allievo indipendente di Marx (non solo, ovviamente, guai all’uomo di un solo libro, sia esso la Bibbia, il Corano o Marx!), ritengo sempre aperta la questione del comunismo sia sul piano pratico, anticapitalista ed anti-imperialista, sia su quello teorico. Se qualcuno
pensa che io “sia passato dall’altra parte”, tipo Sofri o Ferrara, vada a sputare il suo veleno altrove, incrementando il ben noto settarismo suicida dei gruppetti paranoici della nicchia identitaria, che mentre si beccano come i capponi di Renzo Tramaglino pensano di essere agenti della storia universale.
Penso anche, però, ed ancora più decisamente, che oggi (e cioè nella nostra situazione storica presente) la formazione di gruppi politici neocomunisti (poco importa se si dichiarano ortodossi, eretici, eredossi o ortetici, eccetera) non sia opportuna, sia tempo perso, e sia non solo inutile ma anche dannosa. E per finire, il termine “eresia” è per me privo di significato, perché l’Ortodossia e l’Eresia vivono insieme, lottano insieme e muoiono insieme. Si può essere infatti eretici solo in presenza di ortodossi. Ma dove sono oggi gli ortodossi? Non li vedo più. Chi non si è accorto che gli ortodossi nel mondo intero sono morti nel decennio 1985-1995 è al di qua di qualunque seria discussione teorica, ed è dunque l’“eretico” di nulla, come avviene nelle comiche, in cui l’attore continua a litigare con veemenza e non si rende conto che l’altro è già da tempo uscito dalla stanza. Ma passiamo ora ad alcune considerazioni sull’attualità politica che possano sostenere almeno in parte quanto ho appena detto.
5. Facciamo una breve analisi politico-geografica delle forze che in questo febbraio 2006 si oppongono all’imperialismo americano, principale nemico del popolo e delle classi oppresse del mondo, e ci accorgeremo che il comunismo è inesistente, a meno che siamo seguaci del Culto della Talpa e siamo convinti che anche se non si vede, in realtà sta scavando sotto di noi, in compagnia di Maura Cossutta, Vladimir Luxuria e Vittorio Agnoletto:
(1) La resistenza irachena. Essa resta il principale fattore geopolitico internazionale di resistenza all’imperialismo americano. Senza di essa, la belva si sarebbe già probabilmente scatenata verso altri obbiettivi. In proposito, mi rifiuto di avere nei suoi confronti un approccio ideologico che sarebbe sempre una forma di presunzione occidentalistica. Essa può essere laica o religiosa, questo non mi riguarda. Si tratta di una resistenza nazionale, patriottica e popolare. Il “tifare per i nostri” è stato tipico dell’approccio di “sinistra” del periodo 1960-90. II “Manifesto” fa ancora così: noi siamo per Abu Mazen, perché è laico, e siamo contro Hamas perché crede in Dio, che notoriamente non esiste (ah!ah!), mentre solo il signor Ingrao e la signora Rossanda esistono.
(2) Gli stati “comunisti” tipo Cuba.
Essi devono a mio avviso essere sostenuti incondizionatamente (e non a condizione che permettano il boicottaggio interno che li distruggerebbe in sei mesi, come sostiene irresponsabilmente la bertinotteria politicamente corretta), ma non certo perché siano caratterizzati da un “inizio di comunismo” secondo Marx (il comunismo secondo Marx implica la massima libertà di opinione e di organizzazione politica), ma perché sono un baluardo della resistenza contro l’imperialismo. Introdurre il cosiddetto “pluralismo” sindacale e politico, come vorrebbe il teatro bertinottiano delle marionette, significherebbe ucciderli, perché il Dipartimento di Stato ci fionderebbe subito i suoi agenti. Chi non lo capisce o è in malafede (ceto politico, ONG corrottissime, giornalisti politicamente corretti, eccetera) o è un analfabeta politico, e dovrebbe essere invitato ad occuparsi d’altro.
(3) Movimenti populistici ispirati dal socialismo comunitario.
Ad esempio Chavez in Venezuela e Morales in Bolivia, eccetera. Sono da appoggiare incondizionatamente, ma non sono comunisti e non hanno bisogno di grilli parlanti di tipo “comunista”, che in nome di copioni tattici dogmatici stilati più di mezzo secolo fa li condurrebbero con il loro estremismo idiota alla peggiore rovina, dicendo che soltanto le classi esistono, mentre le nazioni, i popoli e gli individui sono solo mistificazioni piccolo-borghesi.
(4) Movimenti religiosi popolari.
Ad esempio Hamas in Palestina ed Ahmadinejad in Iran (Dio benedica entrambi!). Sono da appoggiare incondizionatamente, ma non c’entrano assolutamente nulla con il comunismo.
(5) Stati-nazione che hanno una funzione geopolitica positiva.
So che qui verrò insolentito dai puristi della rivoluzione classista immacolata, ma fra essi metto in parte la Russia di Putin (sempre meglio degli “arancioni” pazzi e filo-americani), la benemerita giunta militare del Myanmar, che Budda conservi a lungo, la Siria del benemerito Assad, e persino l’orribile Cina dell’accumulazione capitalistica selvaggia, nella misura in cui è pur sempre un fattore geo-politico indipendente dagli USA.
(6) La parte minoritaria anti-imperialista dei movimenti no-global, da cui escludo ovviamente tutti i pagliacci mediatico-parlamentari incorporati nei meccanismi occidentali politicamente corretti.
Segue 2
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