giovedì 10 marzo 2011

Libia e il Ritorno dell’Imperialismo Umanitario 

 

 
Il ritorno di tutta la vecchia gang

Di JEAN BRICMONT
da CounterPunch (trad. di Piero Pagliani)

Tutta la vecchia gang ritorna: I partiti delle Sinistra Europea (che raggruppano i partiti comunisti europei “moderati”), il “Verde” José Bové ora alleato con Daniel Cohn-Bendit che non c’è stata guerra USA-NATO che non gli sia piaciuta, vari gruppi trotzkisti e, ovviamente, Bernard-Henry Lévy e Bernard-Henry Lévy, tutti ad esortare a qualche tipo di “intervento umanitario” in Libia o ad accusare la sinistra latino-americana, le cui posizioni sono molto più ragionevoli, di essere degli “utili idioti” per il “tiranno libico”.
Dieci anni dopo siamo di nuovo al Kosovo. Centinaia di migliaia di Iracheni morti, la NATO bloccata in Afghanistan in una posizione impossibile, e non hanno capito nulla! La guerra in Kosovo fu fatta per bloccare un genocidio inesistente, la guerra afgana per proteggere le donne (andate a vedere la loro situazione ora) e la guerra in Iraq per proteggere i Curdi. Quando capiranno che tutte le guerre proclamano di avere una giustificazione umanitaria? Anche Hitler “proteggeva le minoranze” in Cecoslovacchia e in Polonia.
Dalla parte opposta, Robert Gates avverte che ogni futuro segretario di stato che consigliasse ad un presidente USA di inviare truppe in Asia o in Africa “dovrebbe farsi esaminare la testa”. L’ammiraglio Mullen, similmente, invita alla cautela. Il grande paradosso del nostro tempo è che i quartier generali del movimento pacifista devono essere cercati nel Pentagono o nel Dipartimento di Stato, mentre il partito della guerra è una coalizione di neo-conservatori e di progressisti interventisti di varia specie, inclusi guerrieri umanitari di sinistra, così come Verdi, femministe e comunisti pentiti.
Così ora tutti devono tagliare i loro consumi per via del riscaldamento globale, ma le guerre della NATO sono riciclabili e l’imperialismo è diventato parte dello sviluppo sostenibile.
Ovviamente gli USA andranno o non andranno ad una guerra per ragioni che sono del tutto indipendenti dai consigli offerti dalla sinistra guerraiola. Il petrolio non sembra essere uno dei fattori più importanti nelle loro decisioni, dato che ogni futuro governo libico dovrà vendere petrolio e la Libia non è sufficientemente grande per influire in modo significativo sul prezzo del greggio. Chiaramente i disordini in Libia danno il destro alla speculazione, che invece influenza i prezzi, ma questo è un altro paio di maniche. I sionisti hanno probabilmente due opinioni riguardo la Libia: odiano Gheddafi e lo vorrebbero vedere rimosso, come Saddam, nel modo più umiliante possibile, ma nemmeno sanno se la sua opposizione gli piacerà proprio (e dal poco che sappiamo, non sarà così).
L’argomento principale a favore della guerra è che se le cose andranno velocemente e facilmente gli interventi umanitari della NATO saranno riabilitati, dato che la loro immagine è ora appannata dall’Iraq e dall’Afghanistan. Una nuova Grenada o, al più, un nuovo Kosovo, è proprio ciò che ci vuole. Un altro motivo per intervenire è quello che così si controllano meglio i ribelli, poiché si arriva per “salvarli” nella loro marcia per la vittoria. Ma questo è proprio difficile che funzioni: Karzai in Afghanistan, i nazionalisti kosovari, gli Sciiti in Iraq e, ovviamente, Israele, sono perfettamente felici di ricevere l’aiuto americano, quando serve, dopo di che lo sono di seguire la loro proprio agenda. E un’occupazione della Libia a tutto campo dopo la sua “liberazione” sembra tutto tranne che sostenibile, cosa che ovviamente rende l’intervento poco attraente per gli USA.
D’altro canto, se le cose si dovessero mettere male, si tratterebbe dell’inizio della fine dell’impero americano; da qui la cautela della gente che è realmente in posizione di decidere e non solo di scrivere articoli su Le Monde o sbraitare contro i dittatori davanti alle telecamere.
E’ difficile per un normale cittadino conoscere esattamente cosa sta succedendo in Libia, dato che i media occidentali si sono completamente screditati in Iraq, Afghanistan, Libano e Palestina e le fonti alternative non sono sempre affidabili. Questo, chiaramente, non impedisce alla sinistra pro-guerra di essere assolutamente convinta della verità dei peggiori resoconti su Gheddafi, così come lo erano dodici anni fa riguardo Milosevic.
Il ruolo negativo della Corte Internazionale dell’Aja è di nuovo evidente in questo caso così come lo fu quello del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia per il caso del Kosovo. Uno dei motivi per cui c’è stato un relativamente modesto spargimento di sangue in Tunisia ed Egitto è che c’è stata una via d’uscita per Ben Ali e Mubarak. Ma la “giustizia internazionale” vuole assicurarsi che non ci sia una via d’uscita per Gheddafi e probabilmente per le persone vicine a lui, così da costringerli a lottare a tutti i costi.
Se un “altro mondo è possibile”, così come la sinistra europea continua a ripetere, allora anche un altro Occidente dovrebbe essere possibile e la sinistra europea dovrebbe lavorare in quel senso. Il recente incontro dell’Alleanza Bolivariana dovrebbe servire da esempio: la sinistra latino americana vuole la pace e vuole evitare ogni intervento da parte degli USA, poiché sanno che sono nelle mire degli USA e che il loro processo di trasformazione sociale richiede innanzitutto la pace e la sovranità nazionale. Per cui hanno suggerito di inviare una delegazione internazionale, possibilmente guidata da Jimmy Carter (difficilmente definibile un tirapiedi di Gheddafi) per iniziare un processo negoziale tra il governo e i ribelli. La Spagna ha espresso interesse per l’idea, che ovviamente è stata rifiutata da Sarkozy. Questa decisione può sembrare utopistica, ma non sarebbe così se fosse sostenuta da tutto il peso delle Nazioni Unite. Questo sarebbe il modo per onorare la propria missione, cosa che ora è resa impossibile dall’influenza statunitense ed occidentale. Tuttavia non è impossibile che oggi, o in qualche crisi futura, una coalizione di nazioni non interventiste, includente la Russia, la Cina, l’America Latina ed eventualmente altri, possa lavorare assieme per costruire alternative credibili all’interventismo occidentale.
A differenza della sinistra latino americana, la sua patetica versione europea ha perso ogni idea di cosa significhi fare politica. Non cerca di proporre soluzioni concrete ai problemi ed è solo capace di prendere posizioni morali, in particolare denunciando dittatori e violazioni dei diritti umani con tono magniloquente. La sinistra socialdemocratica insegue la destra se va bene con qualche anno di ritardo e non ha nessuna idea propria.
La sinistra “radicale” spesso riesce a denunciare i governi occidentali in ogni modo possibile e chiedere contemporaneamente che quegli stessi governi intervengano militarmente in tutto il globo per difendere la democrazia. La sua mancanza di riflessione politica la rende altamente vulnerabile alle campagne di disinformazione facendola diventare una passiva ragazza pon-pon delle guerre della NATO.
Questa sinistra non ha un programma coerente e non saprebbe cosa fare nemmeno se un dio la rimettesse al potere. Invece di “sostenere” Chávez e la Rivoluzione Venezuelana, una affermazione priva di senso che alcuni amano ripetere, dovrebbero umilmente imparare da loro e, prima di tutto, re-imparare cosa significhi fare politica.
Jean Bricmont insegna Fisica in Belgio ed è membro del Tribunale di Bruxelles. Il suo libro “Imperialismo Umanitario” è pubblicato dalla Monthly Review Press. Può essere contattato all’indirizzo Jean.Bricmont@uclouvain.be.

1 commento:

  1. E' un articolo estremamente interessante.
    La sintesi è che la sinistra di oggi, specialmente quella radicale, manca totalmente non solo di una visione politica ma anche GEOPOLITICA. Lungi da me prendere le difese di Gheddafi, ma non si può fare politica in modo maturo senza capire cosa significherebbe, anche per eventuali insurrezioni "pulite" di Tunisia ed Egitto, un'infiltrazione imperialista in Libia.

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