lunedì 14 maggio 2012


Elezioni in Francia e in Grecia. L’Europa, la sinistra e il neo-liberalismo; l’estrema destra e il fenomeno Marine LePen (alcune note critiche in risposta alle recenti valutazioni di Costanzo Preve sulle elezioni francesi) 

 

la Redazione

Due importanti momenti elettorali si sono susseguiti nel volgere di pochi giorni in Europa. Le elezioni presidenziali francesi e le elezioni politiche greche. Si aggiungono poi le regionali tedesche (limitate però allo Schleswig-Holstein) e le amministrative italiane, che commenteremo però a parte in altra sede.
Occupiamoci pertanto di Francia e Grecia approfittando dell’occasione per dare una risposta esauriente ed argomentata alle recenti considerazioni espresse da Costanzo Preve in relazione alle elezioni francesi.
In Francia al secondo turno delle presidenziali vince di misura François Hollande. E’ probabile che si tratti del male minore, non perché siamo di fronte ad un candidato autocertificato socialista o di sinistra (le distinzioni autocertificate in quest’Europa di servitori del neo-liberalismo bipolarista in salsa pesante valgono meno di zero), ma perché potrebbe (usiamo il condizionale per precauzione) smuovere di qualche centimetro la linea filo-UE e filo-USA suicida (e omicida verso gli altri paesi) che Sarkozy ha pedissequamente seguito nel suo mandato. Probabilmente Hollande smuoverà di pochissimo gli equilibri, ma, almeno sulla carta, alcune sue dichiarazioni di critica dell’assetto europeo, (ad esempio dello scellerato patto fiscale) se non restano pure parole, trattandosi la Francia di un paese di un certo peso, potrebbero scuotere minimamente le strutture della tecnocrazia di Brussels. Non c’è tuttavia da sperarci troppo! Sappiamo bene chi siano i socialisti francesi, quale sia stato il loro percorso storico verso la piena adesione al neo-liberalismo, al filo-europeismo di Maastricht e di Lisbona e alle guerre NATO-USA-UE. Tuttavia entro il PSF, vi sono componenti meno prone a tali dogmi che, forse, potrebbero trovare qualche spazio. Si vedrà.

Segue:   http://www.comunismoecomunita.org/?p=3221

venerdì 11 maggio 2012

 La natura delle destre sociali




La natura delle destre sociali (o con un termine più onnicomprensivo e ancor più vago “destre estreme”), è, ed è stata, dal dopoguerra ad oggi, una natura non sempre facile da indagare, poiché si è trattato e si tratta di un enorme calderone di istanze poco definite in cui si alternano elementi ultra-capitalistici (tipico il caso delle destre xenofobe liberali e liberiste di diversi paesi europei), ad elementi di critica delle dinamiche più distruttive del sistema capitalistico, in alcuni casi in nome di una concezione puramente nazionalistica di difesa dell’interesse nazionale (spesso di carattere aggressivo, ultra-identitario, esclusivista e financo razzista), in altri casi in nome di istanze più universali, fino a casi di realtà che si autocertificano oltre alla destra e alla sinistra. Si tratta, in quest’ultimo caso, se vogliamo, proprio di quella galassia di rossobrunismo, genericamente intesa (su cui abbiamo recentemente discusso in risposta ad un articolo diffamatorio di Daniele Maffione), che cavalca confusamente istanze sociali forti spingendosi a reclamare forme di socialismo, di radicale riacquisizione del controllo del sistema economico sotto la sfera politica, di redistribuzione del reddito a favore dei salariati e dei ceti più deboli; in alcuni casi, peraltro, senza la tipica vocazione imperialistica e colonialistica espressa dai fascismi storici e dai neofascismi sorti nel dopoguerra.

Se, per ipotesi, una “destra” sociale vicina ad istanze “socialistiche” e libera da razzismo ,identitarismo esclusivista e vocazione suprematista e imperialista esistesse, essa si identificherebbe di fatto, concettualmente, con una sorta di social-democrazia economica a vocazione però conservatrice e tradizionalista nei tratti culturali e di costume e quindi apertamente polemica con il progressismo culturale della sinistra. Il punto di divario tra una destra sociale e una sinistra sociale (non rivoluzionaria), entro tali ipotesi, starebbe nell’orizzonte culturale e simbolico progressista o tradizional-conservatore

Mettiamo poi anche da parte (non certo per “non rilevanza”, ma per comprendere la natura profonda del fenomeno) il ruolo oggettivo svolto dalle destre estreme “sociali” reali dal dopoguerra ad oggi (collusione con i poteri forti capitalistici, ruolo di stampella della strategia della tensione atlantica fino allo stragismo per conto terzi). Sforziamoci di rimanere nei termini puramente ideali. In questi termini si potrebbe dire che il tratto determinante di tutte le destre sociali e socialisteggianti (laddove, sempre per ipotesi, libere ed estranee alla triade razzismo-autoritarismo-imperialismo) è in ogni caso la refrattarietà verso una chiara comprensione della centralità degli aspetti marxianamente strutturali della società. Se il rischio di una tendenza ad esasperare la univoca centralità di questi aspetti è un tratto e difetto tipico di un determinato marxismo (difetto di economicismo), il rischio opposto è tipico proprio di tutti quei pensieri (entro cui vi sono anche le estreme destre sociali, ma anche molte altre correnti di pensiero, opposte per altri versi, ivi incluse le sinistre post-moderne) che spostano l’ago della bilancia verso un’integrale sottovalutazione della forza sistemica delle strutture economiche, fino all’estremo di una prevalenza assoluta del volontarismo politico-culturale. Da tale aspetto nasce spesso una forte contraddittorietà scivolosissima che in molti casi si rovescia in tragedia storica, come nel caso del fascismo e del neo-fascismo stampella del capitalismo; in altri casi si rovescia in depotenziamento o tragica farsa storica, come nel caso delle furono-sinistre social-democratiche convertitesi in forze al servizio del grande capitale.

Se poi, per assurdo, una destra “socialista” (libera dalla triade razzismo-autoritarismo-imperialismo) abbracciasse una schietta analisi strutturale dei rapporti di produzione e aderisse all’idea di un superamento del sistema capitalistico in tutti i suoi aspetti, e continuasse a definirsi “destra” solo nella misura in cui si presenta come forza culturalmente tradizional-conservatrice (in opposizione al progressismo-libertarismo-scientismo acritico della sinistra), allora semplicemente smetterebbe de facto di essere una “destra” e andrebbe identificata semplicemente come una forza socialista e anticapitalista di carattere filosoficamente non progressista (cosa ben diversa dalla “destra sociale”). Ma la storia ci dice che questo non è mai accaduto. La destra sociale non ha mai espresso concretamente istanze universalistiche ed egualitarie di superamento o forte trasformazione del modo di produzione capitalistico.





Il terreno di scontro culturale tra progressismo e tradizionalismo è quindi un terreno che si muove parallelamente e diversamente rispetto al terreno di scontro tra egualitarismo e anti-egualitarismo economico-sociale. Una destra tradizionalista ed egualitarista non è mai esistita: non perché una cultura “tradizionale” (nel senso di non immersa nel mito, peraltro tutto borghese, del progresso) non sia conciliabile con una critica radicale ed egualitaria del modo di produzione capitalistico (al contrario sarebbe del tutto conciliabile ed è tutto qui il problema fondamentale del profilo culturale di sinistra che è interno al progressismo capitalistico). Una destra tradizionalista ed egualitarista non è mai esistita perché semplicemente nel concetto e nell’immaginario “di destra” non può rientrare per definizione l’egualitarismo socio-economico sostanziale inteso in maniera esaustiva e strutturale. E, nel caso in cui vi rientrasse, non si potrebbe più parlare di destra, perché si avrebbe una destra monca, con la tradizione, ma senza disuguaglianza gerarchica. D’altro canto i profili storici novecenteschi di destra e di sinsitra, si sono oggi dissolti, materialmente, nella generale adesione al liberalismo, che è progressista nei costumi, individualista, ed anti-egualitario (ma non gerarchico) e quindi per sua stessa natura né di destra, né di sinistra.

In definitiva, la destra sociale, è, nel suo aspetto ideale, un conglomerato ideologico che lascia ricadere l’insofferenza culturale verso il caos dissolutivo capitalistico e verso la disuguaglianza del denaro, entro modalità alternative fondamentalmente sistemiche incapaci di una reale rottura con gli aspetti strutturali del capitalismo stesso.