lunedì 31 ottobre 2011

LA CARICA DEL RINOCERONTE




di Costanzo Preve

 
Non ho mai lavorato come “cacciatore bianco” in Africa, ma ho visto abbastanza film e letto abbastanza libri per sapere che quando un rinoceronte carica la sua carica non può essere arrestata in alcun modo, per cui o ci si toglie dalla sua traiettoria o ti travolge inesorabilmente. Il popolo italiano (ripeto, il popolo italiano nel suo insieme, non solo le sue classi più svantaggiate o la sola classe operaia) è di fronte a una vera e propria carica di un rinoceronte, il commissariamento europeo per conto degli interessi strategici della riproduzione complessiva del capitalismo finanziario globalizzato. O riesce a togliersi collettivamente e comunitariamente dalla sua traiettoria o ne verrà inevitabilmente travolto.
C’è consapevolezza di questo, al di là di piccoli gruppi politici e intellettuali non solo non rappresentati in parlamento, ma non rappresentati neppure nelle nicchie elettorali e giornalistiche della cosiddetta “sinistra extraparlamentare”? Ma neppure per sogno! Se potessi, non vorrei affatto occuparmi di queste cose, ma dedicare gli anni di vita che mi rimangono a occuparmi di filosofia, e solo di filosofia. Purtroppo, ho preso da giovane il “viziaccio” dell’intervento politico, e allora farò alcune osservazioni politiche di “congiuntura”.


1. I sorrisini di Merkel e di Sarkozy e il coro di risate del giornalismo internazionale sull’Italia di Berlusconi (giornalisti niente affatto “comunisti”, come direbbe Berlusconi, ma embedded dalle oligarchie capitalistiche finanziarie globalizzate) hanno sancito plasticamente il totale commissariamento economico dell’Italia. Le opposizioni PD e terzo polo se ne compiacciono, perché il loro orizzonte strategico è inesistente, e quello tattico è limitato allo “scarico” di Berlusconi.
Con il termine “sviluppo” è passato che l’idea dello sviluppo abbia come presupposti l’aumento dell’età pensionabile (per ora 65 anni, ma in realtà ben presto 67 e addirittura 70), la liberalizzazione delle professioni, la privatizzazione di tutto ciò che è privatizzabile (per ora solo l’acqua, ma arriverà anche l’aria, eccetera). Gli eventuali colpi di coda di Bossi o del “cerchio magico” non sono che folklore padano, il tentativo di fermare la carica del rinoceronte sventolando fazzoletti e bandierine. E’ bene allora cercare di ragionare sul “medio periodo”, e fare alcuni ipotesi.


2. Prima ipotesi. Si conferma l’ipotesi per la quale Berlusconi non sarà rovesciato da magistrati, dipietristi urlanti e sostenitori di leggi speciali, poeti pugliesi sognanti, scandali sessuali, conflitti di interesse, eccetera, e cioè dalle stupidaggini che ci hanno imbonito per un ventennio, ma per il fatto che la macelleria sociale è incompatibile con il metodo delle maggioranze elettorali, e deve avvenire per ricatto, ultimatum e commissariamento. Berlusconi sarà laido finché si vuole (e infatti lo è), ma in definitiva per governare deve essere eletto. Ora, nessuno può essere eletto e nello stesso tempo distruggere la propria base elettorale, sia quella economica che quella ideologico-simbolica. La compatibilità della riproduzione non tanto del capitale in generale, ma di questo specifico capitale finanziario globalizzato neoliberale non possono passare attraverso l’assenso elettorale volontario, ma solo attraverso ultimatum stranieri (lettera Draghi-Trichet, eccetera).
Naturalmente, il circo anti-berlusconiano non può permettere che una simile presa di coscienza superi i limiti ristrettissimi di alcuni osservatori politicamente e militarmente impotenti. L’attenzione delle plebi babbionizzate e manipolate deve essere portata sulle puttane e puttanelle, sulle ruberie della casta, sui faccendieri più luridi e pittoreschi, eccetera. E ciò che è più triste è che queste strategie di diversione sembrano riuscire, e anzi do per scontato che nel breve e forse anche nel medio periodo riescano molto bene.


3. Seconda ipotesi. Non posso sapere se il prossimo governo risulterà da un colpo di stato “tecnico” o da vere e proprie elezioni, e neppure se sarà possibile o meno un’alleanza di coalizione fra Bersani e Casini; a occhio e croce credo di sì, ma non si sa mai. In realtà non m’importa molto, e non certo perché “non sono un bravo cittadino”, pensoso delle “sorti della Repubblica” (intesa come stato e/o come giornale), ma perché in ogni caso la carica del rinoceronte non può essere arrestata da chi non si toglie dalla sua traiettoria, che si chiami Fini, Rutelli, Casini, Bersani, Veltroni, Di Pietro, Vendola, Camusso, Landini, Ferrero o Diliberto.
Occuparsi di politica parlamentare o governativa ha infatti soltanto senso nella misura in cui questa politica è almeno in parte sovrana, non se la sovranità è limitata a fenomeni di costume, tipo il matrimonio gay. E questo del tutto indipendentemente da cosa ne pensiamo in termini culturali complessivi.


4. Tutti coloro che propongono di votare l’attuale opposizione (non faccio qui distinzioni fra i “grossi”, Bersani, Di Pietro e Vendola, e i “piccoli” ansiosi di essere presi a bordo, Diliberto, Ferrero e Vinci) hanno dalla loro un solo argomento razionale, che Vinci ha avuto il merito di esplicitare in un intervento sul “Manifesto” di polemica con lo stesso Ferrero. In breve, si afferma che il nuovo governo non potrebbe in alcun modo continuare sulla linea di massacro e macelleria sociale , e bisogna consapevolmente “scommettere” (in senso pascaliano, e cioè di scommessa razionale) sul fatto che non proseguirebbe la macelleria sociale.
Ci si può chiedere: in base a cosa si può pensare che non lo farebbe? Si può rispondere in molti modi. Primo, non lo farebbe perché avrebbe la “autorevolezza” di contrattare con i poteri internazionali (BCE, FMI, governi tedesco, francese, eccetera) condizioni migliori, laddove lo sputtanato Berlusconi (che definì telefonicamente la Merkel una “culona intrombabile”) non potrebbe farlo. Secondo, perché sarebbero i suoi stessi elettori e i loro movimenti organizzati, in primo luogo i sindacati, a impedirglielo, anche se per caso i “politici” lo volessero. Oppure per una combinazione dei due elementi e dei due fattori.
Bisogna prendere molto sul serio questa argomentazione, soprattutto se non ci si crede, come è il mio caso. Se essa infatti fosse corretta e metodologicamente non lo si può escludere, allora i vari astensionisti e non-votanti avrebbero torto, e i vari Diliberto, Ferrero, Giacché, Vinci, eccetera, avrebbero ragione. Anzi, avrebbe addirittura più ragione Vinci di Ferrero, che afferma che si può addirittura entrare in un governo di coalizione di centro-sinistra, per poter “contare” ancora di più. Che cosa rispondere?


5. Se la politica economica europea non fosse eterodiretta dalla più complessiva riproduzione del capitalismo finanziario globale (vedere in proposito l’eccellente e recente Enigma del Capitale di David Harvey) allora Diliberto, Ferrero, Giacché e Vinci avrebbero ragione, o almeno in parte ragione. In caso contrario hanno torto, e proseguono nella linea politica suicida del portare acqua al mulino del re di Prussia. Un governo di sinistra, o di centro-sinistra sarebbe altrettanto commissionato di quello di Berlusconi, e sarebbe unicamente un commissionamento senza escort e conflitti di interesse, cose prive di interesse per i pensionati e i giovani senza lavoro che sono stati e che sono state artificialmente gonfiate a forza dalla strategia babbionizzante di “Repubblica” e del “Manifesto”.




6. Che fare? Non lo so. Non sono mica Marx o Lenin!!! A me basta e avanza essere preso sul serio e letto come filosofo, non certo come politico dilettante da bar dei pensionati. Ma in prima battuta credo che non ne usciremo senza porre almeno il problema dell’uscita dall’euro, del ristabilimento di una moneta nazionale, di una uscita dall’organizzazione criminale NATO, di un riorientamento geopolitico strategico, e della rinegoziazione radicale del debito.
Si dirà: ma sei matto! Ma non sai che non ci sono le condizioni, non solo a breve termine, ma anche a medio termine? Ora, si fa poco onore alla mia scarsa intelligenza politica se mi si considera talmente cretino e talmente “sulle nuvole” (come si sa, i filosofi abitano sulle nuvole, come i piccioni) da non saperlo. Ma appunto perché lo so, rivendico il vecchio diritto di ogni pensatore, quello di porre problemi strategici e non solo soluzioni tattiche.
Non faccio parte per mia fortuna del jet-set degli intellettuali di sinistra con accesso ai media politicamente corretti. Ma per ragioni biografiche conosco bene il greco moderno, e posso fare citazioni di prima mano da riviste di cui sono anche membro della redazione, come il settimanale greco “Sinistra”, Aristerà. Cito il più grande filosofo greco vivente, Eutichis Bitzakis (15 ottobre 2011): “Bisogna creare un fronte popolare di salvezza nazionale; un movimento anticapitalista che leghi insieme il patriottismo e l’internazionalismo. Nel corso di questa alleanza potremo sciogliere i problemi delle finalità strategiche attraverso la creazione di alleanze più larghe e di azione comune”. Ed afferma l’economista Flora Papadede: “Il rifiuto del pagamento del debito e l’uscita dall’euro con la ricostituzione di una moneta nazionale non è per nulla una richiesta di sinistra che deriva da qualche considerazione ideologica. E’ l’elemento fondamentale perché possa sopravvivere il Paese e il suo popolo”. E ancora aggiunge la Papadede: “Non basta oggi riaffermare davanti al popolo che le cose vanno male e che diventeranno ancora peggiori. Il popolo lo vede ogni giorno al lavoro, a scuola, a casa, negli ospedali. Bisogna che veda come ci sono prospettive fondate e organizzate, in modo da riprendere coraggio e convincersi che un’altra strada è possibile”.
Ho citato Bitzakis e la Papadede perché sono pubblicati da un periodico della cui redazione faccio parte. Ma qui mi interessa riaffermare che in Italia siamo ancora lontani dalla chiarezza, contestabile fin che si vuole, di queste affermazioni. Cerchiamo di enuclearne il centro motore.


7. Contestare Bersani, Di Pietro e Vendola, e persino contestare Diliberto, Ferrero e Vinci è del tutto inutile, e anzi addirittura controproducente, se non si mostra almeno una prospettiva di salvezza nazionale di questo paese. Spagna e Italia non sono certo nelle condizioni della Grecia, ma non facciamoci illusioni. E’ solo questione di tempo, prima che la carica del rinoceronte non arrivi anche da noi: l’adattamento al modello anglosassone di capitalismo globalizzato neoliberale, appoggiato dall’insieme delle classi dirigenti europee senza alcuna differenza fra centro, destra e sinistra, è incompatibile con il salvataggio di un secolo di conquiste del movimento operaio organizzato e dello stesso modello europeo (di origine tedesca) di capitalismo sociale.
Ciò che dice per la Grecia Flora Papadede non sembra ancora attuale in Italia. Ma lo sarà fra un breve lasso di tempo. O si pensa forse che il PD è più “a sinistra” del PASOK greco, oppure è più influenzabile “a sinistra” da Vendola e Landini? Ma per favore!!


8. E arriviamo finalmente al dunque. Quello che voglio dire è che le proteste di tipo strettamente “classista”, non importa se con o senza black bloc, con muggiti di tori o con belati pecoreschi, eccetera, non sono, e non possono essere, all’altezza della sfida che le oligarchie ci hanno rivolto. Da simili sfide si esce in modo nazionale , vedi l’Argentina, o non si esce. I gruppetti estremisti di estrema sinistra o di estrema destra, non c’è differenza, hanno perduto da decenni qualunque dimensione nazionale; e l’idea di poter essere affidabili presso il popolo normale con le loro urla rauche di contestatori “classisti” è del tutto fuori di ogni credibilità. Il popolo normale non li voterà neppure, fino a che “spererà” che Bersani lo possa tirare fuori dal fango in cui siamo caduti. Che non è il fango delle irrilevanti puttane di Berlusconi, ma è il fango della mancanza di ogni sovranità politica, economica e militare.
E voglio qui chiarire un malinteso. Io appoggio interamente gli argomenti politici del recente convegno di Chianciano (Mazzei, Pasquinelli, più vari estremisti di gruppetti ultra-comunisti e intellettuali indipendenti). La mia obiezione non deve essere intesa come indiretto appoggio ai “compatibilisti” tipo Diliberto, Giacché, Ferrero e Vinci. Anzi, proprio perché appoggio il loro porre problemi strutturali e strategici, non sopporto il solito modo settario e veteroclassista con cui li pongono. Un buon modo per seguire l’esempio del notabile sardo un po’ coglione Mariotto Segni, che prima vince alla lotteria e poi perde il biglietto vincente. Credere di poter sollevare problemi del genere, di portata storica ed epocale, con sostenitori della dittatura del proletariato (CARC) e della rivoluzione trotzkista (Ferrando) significa esattamente questo.
Verrò ascoltato? Ma certamente no! Ma sicuramente no! Conosco infatti molto bene i miei polli, provenienti dalla diaspora del vecchio estremismo di sinistra sedimentato dal riflusso del ventennio 1990-2010. Costoro non capiscono neppure che cosa voglia dire una “questione nazionale”, ed è come parlare in turco a un black bloc di Benevento che studia a Chieti e devasta Roma. Oppure alla signora Rossanda, che sul “Manifesto” del 23 ottobre 2011 non trova una sola parola di pietà per il “dittatore” Gheddafi e se la prende invece con i dittatori “antimperialisti” (persino Fidel Castro è sporcato dalla anziana signora), che non avrebbero nulla a che fare con il suo “socialismo” da salotto parigino: en passant, se la prende addirittura “da sinistra” con la sua creatura “Il Manifesto” affermando di rifiutare il “socialismo di mercato”. Sono stati questi i maitres a penser della sinistra più stupida d’Europa, priva di qualsiasi dimensione patriottica e nazionale, quella che si è spinta a consigliare la formazione di “brigate internazionali” in Libia a fianco della NATO, dei tagliagole sodomizza tori e delle bande di assassini linciatori di Gheddafi.
Su queste basi, la carica del rinoceronte non solo non potrà essere arrestata (nessuno la arresterebbe!), ma non riusciremo neppure a scansarci in tempo. E’ molto triste esserne consapevoli, e non vedere al presente nessuna via d’uscita, almeno per ora.


Torino, 27 ottobre 2011

domenica 30 ottobre 2011

 

Gli scenari politici internazionali della crisi sistemica 

 



Intervento di Piero Pagliani  all’assemblea sul debito e sull’euro di Chianciano Terme sabato 22 ottobre.

Piero Pagliani

1. Capitale e Potere: l’origine della crisi 1
2. Politica e finanza: tra storica collaborazione e storico conflitto 4
3. Capitale e Potere: i paradossi politici della loro aggiunzione 8
4. Ipotesi di resistenza all’autocolonizzazione dei Paesi europei 11
Serie economiche 18

1. Capitale e Potere: l’origine della crisi

Poche settimane or sono, in pieno attacco all’euro, “La Repubblica” mentre
da una parte terrorizzava i suoi lettori parlando della caduta nell’abisso delle
borse e persino dell’oro, dall’altra li invitava surrettiziamente ad investire in
titoli a lungo termine del debito pubblico della Germania e degli Stati Uniti,
ultimi rifugi al riparo dalla bufera planetaria.
Ma come? D’accordo la Germania, ma gli Stati Uniti? Il Paese più indebitato
del mondo da che mondo è mondo?
D’acchito la perplessità è d’obbligo. Eppure, per lo meno sul breve periodo
(ma difficilmente sul medio e a maggior ragione sul lungo - e qui sta una
parte del trucco degli imbonitori) i titoli di debito pubblico di questi Paesi
potrebbero veramente essere un affare sicuro.

Fino a quando?

Fino a quando regge la credibilità degli Stati Uniti come superpotenza
dominante sul piano militare, politico e diplomatico mondiale, anche se non
sul piano economico, dato che è dalla fine degli anni Cinquanta del secolo
scorso che gli USA hanno perso questo primato (o, come si diceva una volta,
non sono più l’opificio del mondo). I Paesi dominanti sul piano economico
devono allora essere “contenuti” o associati all’impero come viceré sub
dominanti, come nel caso, per l’appunto, della Germania.
Questa frattura tra il dominio economico e il dominio politico-militare è poco
comprensibile se ci si attiene alla divisione meccanica strutturasovrastruttura.
E’ molto più comprensibile se invece si assume l’ottica leninista dell’analisi dell’intreccio 
tra le contraddizioni sociali e quelle intercapitalistiche.
A quel punto la rinnovata lente analitica ci permette di scoprire un ulteriore
problema: il predominio economico e quello sui mezzi di pagamento mondiali,
entrambi appannaggio della Cina, oltre a non coincidere col predominio
politico-militare non coincidono nemmeno col predominio finanziario. Le
principali piazze finanziarie del mondo rimangono infatti la City di Londra, a
due passi da Downing Street, e Wall Street che sta a quattro ore di macchina
dalla Casa Bianca1. In altri termini la finanza internazionale più che la sirena
dei cosiddetti “fondamentali economici” sembra stare ad ascoltare quella del
potere territoriale. Non è un problema da poco per chi non riesce ad affrancarsi 
da una visione meccanica del rapporto tra la cosiddetta “struttura” e la cosiddetta “sovrastruttura”.

1 Detto incidentalmente, può sembrare un mistero la stessa importanza attuale della City di
Londra, a più di un secolo abbondante da quando la Gran Bretagna perse il titolo di “opificio
del mondo” e a sessant’anni dalla perdita di ogni supremazia territoriale e finanziaria a favore
degli Stati Uniti. Un mistero che non si risolve con gli “zurück zu Marx” e nemmeno con i
ritorni fideistici a Lenin, ma che obbliga a rinnovare gli strumenti analitici. Ovviamente
esistono anche le scorciatoie sciagurate e spesso repellenti che risolvono tutto coi complotti:
della massoneria, degli ebrei, della massoneria giudaica, della massoneria britannica, della
massoneria giudaica britannica, e via intrecciando combinazioni di idiozie che a volte non si
vergognano nemmeno di citare i rettiliani o i Protocolli dei Savi di Sion, per poi dire che è vero
che sono tutte scemenze, per carità di Dio, ma che in fondo in fondo sono segnali di qualcosa
di vero. Ma quel che è peggio è che ci sono persone per bene che ci mettono un po’ troppo a
capire che questi signori bisogna accompagnarli gentilmente alla porta.


Segue: http://www.comunismoecomunita.org/?p=2847

lunedì 24 ottobre 2011

Della misura
Potrà anche contraddittoriamente fregiarsi dell’etichetta di “marxista”, ma l’economista opererà sempre in un recinto chiuso, limitato e concavo. L’economista non può illudersi di ampliare i propri striminziti orizzonti semplicemente grazie a una tardiva, autodidattica lettura di “Leggere il Capitale” o di una eccellente “Storia critica del marxismo”. Dunque, per quanto le argomentazioni per partizioni abbiano sempre evidenti limiti intrinseci, ritengo che nei dintorni della “totalità” l’economista può solo apprendere, silente, dal filosofo.
Laddove tuttavia si entri nel ristretto novero della “misura”, la prospettiva sia pure in parte cambia. Il 5% gettato li’ da Preve è una espressione retorica, e sarebbe meschino poggiare una critica su di esso. Tuttavia credo sia utile informare che le condizioni di riproducibilità del capitale sono realmente misurabili, e che alle dinamiche inflazionistiche degli anni ’70 si può scientificamente attribuire il carattere della insostenibilità sistemica. Quelle dinamiche erano generate da vari ordini di conflitti, sociali e geopolitici. Ma una parte rilevante delle medesime può essere agevolmente ricondotta a una dinamica senza precedenti dei salari nominali e della spesa pubblica nominale destinata alla produzione di merci salario.
Detto ciò, reputo anche io la vulgata operaista per altri versi fuorviante, ed evito ormai di partecipare alle cosiddette “discussioni della sinistra”. Convinto che Preve e La Grassa abbiano fornito in questi anni contributi che personalmente non ho condiviso ma che sono stati di estrema rilevanza per liberarmi da alcune desuete incrostazioni “ortodosse”, porgo i miei saluti a loro e a tutti.
Con stima, 

Emiliano Brancaccio.


COMMENTO AL TESTO “DELLA MISURA” DI EMILIANO BRANCACCIO



di Costanzo Preve

Ringrazio Emiliano Brancaccio per almeno due ragioni. In primo luogo per le parole di cortesia verso il mio testo “Storia critica del marxismo” (ed. Città del Sole) definito eccellente. Si tratta di un testo che ha già avuto un’edizione greca e una francese, ed è in gara per il premio del testo meno recensito in Italia negli ultimi anni. In secondo luogo, per la forma urbana, cortese, sintetica e chiara dei suoi rilievi. Pur sapendo di non poter competere con lui sul piano della brevità, ritengo opportuno fare alcuni rilievi.

1. Credo che ci sia una piccola contraddizione tra l’affermare che nei dintorni della totalità l’economia può solo apprendere, silente, dal filosofo, e poi dire poche righe sotto che le condizioni di riproducibilità del capitale (inteso evidentemente come totalità dinamica riproduttiva) sono misurabili. Se questo è vero, come Brancaccio afferma, allora è il filosofo che deve apprendere, silente, dall’economista, non viceversa.
Ora, il problema non è certo personale, e cioè se debba essere Brancaccio o Preve, silenti, ad apprendere dall’altro. Il senso comune direbbe giustamente che entrambi possono imparare qualcosa dall’altro. Vale invece la pena chiarire meglio quale sia l’oggetto specifico della filosofia quando pretende di interrogare criticamente la totalità; pretesa come è noto, contestata da gran parte delle scuole filosofiche oggi accademicamente riconosciute, dal neokantismo all’ermeneutica, dal positivismo alla filosofia analitica, eccetera. La filosofia ha come oggetto solo il qualitativo, e di fronte al quantitativo deve cedere il passo alla cosiddetta “scienza moderna”, sul cui modello a fine Settecento è stata costruita anche l’economia politica, e poi la sociologia, eccetera. Di fronte a questo fatto ci possono essere solo due soluzioni fondamentali.
La prima, che è anche la mia, dopo aver preso atto senza contestazioni che la filosofia ha come solo oggetto il lato qualitativo della totalità, ne rivendica tuttavia fortemente il carattere conoscitivo e addirittura veritativo, rifiutando la limitazione del sapere filosofico al campo della logica generale e/o della epistemologia. Fra i giovani studiosi, segnalo il nome di Diego Fusaro, ma per fortuna ce ne sono anche molti altri.
La seconda, che per esempio è dei dellavolpiani e degli althusseriani (ad esempio La Grassa) rivendica il fatto che l’unica e sola ideazione conoscitiva è la scienza moderna, non ce ne sono altre, e la filosofia è poco più di una chiacchiera esistenziale a ruota libera sul senso soggettivo della vita, o al massimo un “servizio epistemologico di controllo” delle scienze naturali e sociali. Io mi oppongo con tutte le mie forze a questa concezione, e quindi prego di non confondermi con l’amico La Grassa, con il quale il conflitto su questo punto è irriducibile. Io rivendico una interpretazione idealistica, umanistica e dialettica dell’eredità di Marx (cosa distinta dalla filologia marxiana e anche ovviamente dalle ortodossie marxiste), e questo è sufficiente per provocare a La Grassa tre consecutivi attacchi di orticaria.

2. Concordo con Brancaccio che la mia espressione del 5% a proposito delle lotte operaie fordiste è un’espressione retorica “a ruota libera” gettata lì, e ringrazio Brancaccio per non avere “infierito”. Premettendo che non sono un economista, ma un filosofo e uno storico della filosofia, avevo appena letto il saggio di Harvey L’enigma del Capitale (qualcosa il povero non-specialista deve pur leggere!), in cui non c’è la minima traccia della “risposta” del capitale al ciclo di lotte operaie, e quando ho letto Ferrero ho avuto un piccolo sussulto di irritazione. Tutto lì. Il 5% è solo una dilettantesca battuta per “torcere il bastone dall’altra parte”, e non vuole essere nient’altro.

3. Brancaccio ritiene utile “informare” che le condizioni di riproducibilità del capitale sono realmente misurabili (tesi I) e che alle dinamiche inflazionistiche degli anni Settanta si può scientificamente attribuire il carattere della insostenibilità sistemica (tesi II, che però discende dalla tesi I).
Lo ringrazio sinceramente dell’informazione, e non intendo affatto scherzare. Se però Brancaccio ha ragione, devo mettermi io silente al suo magistero. Non avrei certo nulla in contrario. Qui non ci stanno di mezzo vanità personali, ma l’accertamento della realtà.
Dal momento che negli USA negli anni Settanta non si era di fronte a un ciclo sistemico di lotte operaie, e tantomeno a una insostenibilità dell’assente welfare state, si può dubitare della tesi di Brancaccio. Negli USA non si poneva nessun problema di “riportare l’ordine nella produzione di fabbrica”, tipo marcia dei 40.000 a Torino, e neppure in Inghilterra o in Giappone, salvo errore. Qui cade la tesi operaista della “risposta del capitale alla insubordinazione operaia”, come se il mondo intero fosse una unica grande Mirafiori.
Se quanto dico è vero, passa in primo piano l’ipotesi del mutamento di ciclo di accumulazione, non certo la risposta alla soggettività proletaria, e su questo punto di fatto Giovanni Arrighi e Gianfranco La Grassa diventano addirittura compatibili.

4. Distinguerei due diversi problemi, quello della misurabilità delle condizioni di riproducibilità del capitale, e quello, da tenere distinto, del concetto di insostenibilità sistemica.
Ammetto apertamente di non avere le idee chiare e di non essere portatore di posizioni personali in proposito. Spero che Brancaccio apprezzi questa ammissione “scientifica”, essendo la scienza il regno del dubbio metodico e delle ipotesi. Proprio perché rivendico il carattere conoscitivo e addirittura veritativo della filosofia nel campo della totalità qualitativa (peraltro in buona compagnia, con Aristotele ed Hegel e, credo, anche di Marx), proprio per questo ho molto rispetto per il campo del pensiero scientifico. Ciò che segue è soltanto l’esplicitazione di due opinioni rivedibili, e sostenute senza arroganza e iattanza.
A mio parere le condizioni di riproducibilità del capitale non sono misurabili. Lo sarebbero, se ci fosse soltanto uno ed un solo modello di “capitale” inteso come rapporto sociale di produzione. Ma se la logica di allargamento del rapporto di capitale è data dall’estensione del processo di mercificazione, allora vi sono molti scenari possibili distinti di queste “alternative di mercificazione”, non una sola. Se è così, ci sono distinti scenari capitalistici, ognuno dei quali dà luogo a scenari plurali di misurabilità delle condizioni di riproducibilità.
Se questo è vero, allora ne consegue che ci sono anche diversi scenari di “insostenibilità sistemica”. Ma vorrei saperne di più.

5. E’ possibile che in Italia, a metà degli anni Settanta, si sia verificata una dinamica senza precedenti dei salari nominali e della spesa pubblica nominale destinata alla produzione di merci salario. Se è così, la politica di “austerità” di Berlinguer è economicamente giustificata ex post, e fu un errore “estremistico” criticarla. Ma la stessa cosa si può dire per il mondo intero?
Non credo. In gran parte del mondo intero non c’era affatto questo abnorme aumento dei beni salario, diretti o indiretti (welfare). Se è così, risale in primo piano la tesi di Harvey (e di Giacché, al netto delle sue conclusioni compatibilistiche con la linea di Diliberto) sulla logica di allargamento finanziaria globalizzata del capitale, del tutto indipendente dalla cosiddetta “risposta” alla Ferrero-Negri. In quanto alla quantificazione, concedo ancora che il 5% era una semplificazione da bar, frutto di una reazione poco meditata alla ormai per me insopportabilità della vulgata di “sinistra”.

6. Un’ultima segnalazione, per chiarire ulteriormente il mio punto di vista. Le ragioni per cui non sopporto il modello operaista in tutte le sue varianti (faccio eccezione per Raniero Panzieri, che considero però un semplice geniale ricercatore, troppo presto mancato) non sono assolutamente “economiche”, ma sono esclusivamente filosofiche.
Il paradigma operaista è una forma di soggettivismo che pretende di essere “costituente” (addirittura una ontologia biopolitica costituente, nel linguaggio onirico di Hardt e Negri), e si oppone frontalmente alla eredità della grande filosofia classica tedesca di Fichte, Hegel e Marx, alla quale invece io mi ricollego. Non c’è qui lo spazio per chiarire, ma l’ho fatto ampiamente altrove, come io rifiuti radicalmente l’interpretazione del pensiero di Nietzsche data da Foucault (e da Vattimo), e il rifiuto della dialettica sviluppato da Negri e dai suoi seguaci, per cui la fuga in avanti del “comune” è a mio avviso un alibi grottesco per rifiutare la riqualificazione del “pubblico” e della sovranità monetaria dello stato nazionale.
Vorrei segnalare questo con forza a Brancaccio, dato che non è uno specialista in filosofia e potrebbe pensare che le mie obiezioni all’operaismo siano soltanto “economiche”. Non solo non è così (così è semmai per il solo La Grassa), ma per me questo è solo un dato minore. L’operaismo è un “capitalismo rovesciato”, e in quanto tale innocuo per le oligarchie al potere.
Ringrazio Brancaccio e gli altri eventuali lettori per la pazienza di una lettura critica.
Torino, 18 ottobre 2011
Brevi considerazioni dopo la morte di Muammar Gheddafi



  Costanzo Preve

Il coro mediatico di oscena gioia dopo la morte di Gheddafi (ucciso come un topo nascosto in una fogna, eccetera) deve essere per noi motivo di insegnamento. Fra pochi giorni il circo mediatico se ne dimenticherà, come è sua consolidata abitudine, ma è bene fissare subito sulla carta alcuni elementi di riflessione.

1. Prima di tutto, onore ad un leader politico che, al di là delle sue stranezze poco rilevanti, è caduto combattendo con onore contro l’aggressione colonialista ed imperialista e contro i suoi fantocci locali.

Il bilancio storico complessivo di Gheddafi è positivo, perché si iscrive nel ciclo di lotte nazionaliste panarabe, a fianco di personaggi altrettanto positivi come Nasser, ed aggiungerei anche Saddam, se non avesse intrapreso l’ingiustificato attacco all’Iran. Comunque, anche Saddam si è riscattato con la sua resistenza contro l’aggressione americana del 2003.

2. Deve essere chiaro che sono stati i criminali della NATO, e solo la NATO, ad uccidere Gheddafi, e non i miserabili straccioni tribali in festa, che hanno dato solo il colpo di grazia. E’ stata la NATO a bombardare la colonna militare di Gheddafi in uscita da Sirte, bloccarla e distruggerla. In caso contrario, gli straccioni miserabili non sarebbero riusciti a fare quello che hanno fatto, e cioè il vergognoso linciaggio. Questo è stato un salto di qualità storico ed epocale. La NATO è sempre stata una strumento dell’egemonia USA e dell’asservimento dell’Europa (non a caso il solo grande patriota europeo del dopoguerra, Charles De Gaulle, ne era uscito appena ha potuto), ma ora c’è stato un salto strategico. La NATO è direttamente uno strumento dell’egemonia mondiale USA contro la Russia in Europa Orientale e nel Caucaso, e contro la Cina in Asia Centrale ed in Africa.

3. Lo sporco lavoro non è finito. Non a caso il giornalista embedded dei servizi segreti americani Maurizio Molinari (cfr. “La Stampa”, 21 ottobre 2011) scrive “Prossima Tappa Damasco” in un editoriale del giornale a mezzadria fra sionismo, FIAT e nuova classe dirigente torinese (Novelli, Castellani, Chiamparino, Fassino). E veramente nel piano strategico americano i prossimi obbiettivi sono Damasco e Teheran (si veda l’incredibile provocazione del narcotrafficante iraniano in Texas). Questo dovrebbe far riflettere gli “anti-imperialisti” che hanno appoggiato i ribelli anti-Gheddafi ed appoggiano ora i ribelli anti-Assad, ed hanno sempre visto con favore i giovani “anti-Ahmadinejad” (che Allah lo protegga!) in Iran. Ma è impossibile far riflettere chi si muove in base a schemi astratti invecchiati o addirittura sulla base degli input del circo mediatico corrotto.

4 . Coloro che fanno l’apologia della “democrazia” dovrebbero ricordare che per mesi il governo libico di Gheddafi ha proposto elezioni libere in tutta la Libia sotto supervisione ONU o Unione Africana, con la proposte di mediazione dello stesso Sudafrica. Queste proposte sono sempre state respinte da USA e NATO, che ovviamente miravano ad una vittoria geopolitica globale, e non certo ad un “ristabilimento” delle procedure democratiche. Sono sicuro che questo sarà nel prossimo futuro uno degli elementi su cui si stenderà un velo di oblio.

5. La guerra civile in Libia è durata otto mesi, e l’intervento NATO sette mesi. Non si è mai trattato di una “sollevazione unanime” dell’intero popolo contro un dittatore. Si è trattato di un conflitto civile che Gheddafi avrebbe vinto in due mesi senza 1′intervento NATO. E’ passato il principio dell’intervento della Santa Alleanza del 1815 (Spagna 1820, Italia 1821, eccetera). Il circolo mediatico si è distinto per servilismo e corruzione. Elezioni sotto controllo internazionale, come quelle proposte dall’Unione Africana, avrebbero probabilmente portato ad una vittoria di Gheddafi, ed in ogni caso erano inservibili per una occupazione geopolitica USA-NATO della Libia.

6. L’Italia si è distinta per opportunismo, viltà e servilismo, in tutti i suoi schieramenti (destra, centro, sinistra). Il commissariamento geopolitico è passato soprattutto attraverso la persona di Giorgio Napolitano, che il popolo-babbione PD considera “garante della costituzione”. L’abolizione della categoria di imperialismo, sostituita da succedanei impotenti come il pacifismo generico e l’altermondialismo moralistico, e favorita dal mainstream culturale egemone a sinistra (“Manifesto”, Bertinotti, Vendola, Casarini, chiacchere sulle “moltitudini” negriane, eccetera) ha dato l’ultimo colpo di grazia ad una identità culturale già debolissima ed in via di accelerata corruzione.

7. Il mito di Obama si è rivelato essere appunto soltanto un mito per dominati politici, militari e culturali. La sua politica estera è persino riuscita a superare “da destra” quella di Bush. Il compromesso politico che ha portato alla sua elezione all’interno del partito democratico USA ha appaltato la politica estera al gruppo sionista-imperialista Clinton-Brzezinski , verificando così ampiamente le ipotesi di chi non ha mai avuto illusioni su di una “evoluzione” pacifica della politica americana. Gli USA sono un impero mondiale, e si muovono in base a pure considerazioni geopolitiche. Se ci fosse ancora un briciolo di onestà, si dovrebbe ammettere a proposito di Libia e Siria la vittoria tennistica di “Eurasia” e del blog di La Grassa-Petrosillo sulla cultura del “Manifesto”, dei trotzkisti, dei gruppi alla Pasquinelli e di tutta la banda colorata rosa, viola, a pois, eccetera.

8. La prima pagina della “Stampa” 21/10/2011 ci dà preziose indicazioni sul profilo culturale del nuovo colonialismo imperialistico. Un titolo dice: “Le tane dei dittatori”, e sotto scrive: “Rintanato come Saddam ed irriducibile come Hitler”. Come si vede, 1′ immaginario antifascista del 1945 si è riciclato al di fuori del contesto storico che lo aveva prodotto. Ormai, persino la menzogna dei “diritti umani” è sempre meno impiegata. Se si fosse prestato attenzione ai “diritti umani”, si sarebbe favorita una soluzione pacifica di compromesso con elezioni garantite dall’Unione Africana. Ma non la si è voluta, perché si è voluta la vittoria geopolitica completa.

9. Gheddafi, con tutti i suoi errori precedenti, è morto eroicamente come un grande combattente anti-imperialista. Egli deve essere onorato come onoriamo il Che Guevara, anche se non avrà la sua fortuna come icona pop nelle magliette. In questo modo andiamo contro-corrente nel senso comune di “sinistra”. Viviamo in tempi di paradossi surreali. Il 21/10/2011 i soli giornali che hanno condannato apertamente l’osceno spettacolo del massacro di Gheddafi sono stati il “Giornale” e “Libero”, cioè berlusconiani puri. Naturalmente, lo hanno fatto perché, del tutto interni al mondo dei cannibali imperialisti, sanno bene che si tratta di una vittoria delle ditte americane e francesi contro quelle italiane. E’ ovvio che il nostro punto di vista non può essere questo. Il problema è allora quello di maturare un vero punto di vista alternativo.

domenica 23 ottobre 2011

Il concetto di nazione nella teoria marxista
da Gramsci a Frantz Fanon


''Il popolo è deciso a offrir la propria vita per dare ai propri figli un tetto e da mangiare, per dare soprattutto a chi verrà domani la patria non più schiava dei nordamerìcani'' Proclama di Camilo Torres ''Se eliminaste l'esercito inglese domani e si issasse la bandiera verde in cima al Castello di Dublino, a meno che non si disponesse l'organizzazione della Repubblica Socialista i vostri sforzi sarebbero inutili. Il Regno Unito vi governerebbe comunque: Lo farebbe tramite i suoi capitalisti, i suoi coloni, i suoi finanzieri, attraverso l'intera massa di istituzioni commerciali e individualiste che ha piantato nel paese abbeverate con le lacrime delle nostre madri e il sangue dei nostri martiri'' James Connolly " Amo il mio secolo, perchè è la patria che posseggo nel tempo. L'amo già perchè mi permette di allargare di molto i limiti della mia patria nello spazio. Io amo la mia patria nel tempo, questo ventesimo secolo nato tra tempeste e procelle. Esso reca in sè possibilità illimitate. Il suo territorio è il mio mondo'' Leon Trotsky 1. I colpi di coda dell‟imperialismo il quale a suon di bombardamenti al fosforo, e con i suoi mercenari islamisti, cerca di chiudere il ciclo delle rivoluzioni panarabe in Nord Africa, per poi allungare i tentacoli nel Medio Oriente, ha posto una serie di problemi che i marxisti non possono lasciare indefiniti. I movimenti di liberazione nazionale hanno ancora un carattere progressivo e antimperialista? Quale posizione deve assumere un (neo)marxista davanti il concetto di „‟nazione‟‟? Lasciando stare la squallida „‟sinistra colta‟‟, ormai cagnolino da guarda dell‟imperialismo yankee, ed occupandomi solo delle posizioni marxiste, devo dire che il dibattito è tutt‟altro che „‟pieno di certezze‟‟. In questo intervento, cercando di rispolverare qualche contributo teorico originale (e purtroppo messo in cantina), proverò a rispondere a queste domande. Se non ci riuscirò, spero almeno di spingere chi legge a fare qualche riflessione, anche solo per respingere.



Segue: http://www.comunismoecomunita.org/?p=2802

venerdì 21 ottobre 2011

Gheddafi, capo di Stato resistente




Siamo così giunti all’epilogo simbolico della più recente vergogna colonialistica targata occidente: la conquista armata della Libia camuffata dalle consuete scuse umanitarie. Il copione era scritto, i protagonisti noti ed è tanto lo sdegno e la vergogna di appartenere a questo angolo prepotente e nichilista di mondo, che quasi si fa fatica a commentare la morte di Muammar Gheddafi. Verrebbe infatti da starsene in silenzio e tacere decorosamente, perché i fatti, per chi li vuole comprendere, e la verità, per chi la vuole vedere, parlano da sé. Il silenzio, però, è assieme alla confusione, il migliore alleato della menzogna e della barbarie. Pertanto, è doveroso parlare, ricostruire il filo della verità, smascherare la menzogna ed esprimere sdegno. Sdegno e distanza dalla misera compiacenza degli agenti politici del capitalismo occidentale che agiscono per conto terzi e per conto terzi si addolorano, si compiacciono, parlano di diritti umani, democrazia e libertà e gioiscono per la morte di Gheddafi, per la morte cioé di uno dei tanti e fragili ostacoli posti al dominio assoluto (e grazie al cielo in via di lenta, ma inesorabile decadenza) dominio dell’occidente.

Muore Muammar Gheddafi trucidato dalle bombe Usa-Nato e poi finito dagli ascari in servizio (i cosiddetti ribelli). Muore nella città più fedele al governo, nella sua Sirte, ultimo baluardo della resistenza contro l’occupazione straniera. Muore da capo di Stato fiero che ha deciso di non lasciare la propria patria pur avendo avuto numerose occasioni per farlo uscendo silenziosamente di scena e lasciando che il proprio paese fosse spartito dagli avvoltoi.

Non ci interessa parlare di Gheddafi, della sua linea politica perseguita negli ultimi anni, delle sue storiche glorie di anticolonialista, delle sue politiche attive recenti per l’unità panafricana, per l’indipendenza del terzo mondo e per la sovranità del popolo libico e la sua relativa prosperità, nonché naturalmente dei suoi errori, dei suoi eccessi, delle sue recenti capitolazioni (parziali) all’imperialismo e al capitalismo. Non ci interessa parlarne adesso.

Farlo significherebbe cadere nel tranello imposto dalla dittatura dei diritti umani per cui i cattivi della favola meritano la morte e la distruzione del proprio paese (non importa se con lo sterminio di centinaia di migliaia di persone e l’abbattimento di una nazione, e non importa se con l’ausilio alternato di tagliagole fondamentalisti islamici o di giovani ribelli libertari).

Ci interessa parlare del Capo di Stato che muore resistendo fino all’ultimo all’invasore. Ci interessa puntualizzare per l’ennessima volta i ruoli. Chi è l’aggredito e chi l’aggressore. Chi è il resistente e chi l’impostore. Chi è il capo legittimo (che piaccia o no e indipendentemente dai suoi pregi e difetti) e chi il fantoccio manipolato e usato per conto terzi.

L’occidente capitalistico e imperialista mostra ogni giorno il proprio volto di giustiziere sterminatore, posto al di là della legge positiva e naturale. Un giustiziere travestito da buon padre di famiglia che dispensa buoni consigli e buone pratiche in giro per il mondo spiegando ai poveracci della terra come si conquista la civiltà liberal-capitalistica di mercato, come si annullano gli ostacoli per realizzarla, come si debbano annichilire le culture devianti, le politiche sovrane e il dominio della politica sull’economia. Che lo faccia con la carota o con il bastone il risultato non cambia ed è l’omologazione e la sottomissione del pianeta terra alla volontà di dominio della civiltà Euro-americana contemporanea (con all’interno i noti rapporti gerarchici tra gli stessi dominatori).

Alla Libia è toccato il bastone. Un bastone pesante costato la vita a migliaia di civili, costato la distruzione delle principali infrastrutture di un paese prospero e indipendente, costato la sovranità di un popolo non del tutto piegato alle direttive imperiali…e costato infine la morte fisica e simbolico del capo. Milosevic lasciato morire nelle carceri dei padroni del mondo; Saddam impiccato dal tribunale dei fantocci dell’impero; Gheddafi bombardato dal cielo e giustiziato da un manipolo di servi.

Come ha affermato il nostro goffo e squallido presidente del consiglio: “sic transit gloria mundi”. Sì, passerà come il vento, cancellata dall’inesorabile scorrere del tempo, la vanagloria meschina degli oppressori che ordinano di lanciare missili contro le città esotiche dei “barbari”. Ma il tempo non cancellerà, invece, il coraggio e le idee di chi alla vera barbarie resiste.

Maurizio Neri

domenica 16 ottobre 2011

Note su Rifondazione comunista



di Costanzo Preve



1. Quelle che seguono sono alcune note non sistematiche di commento al documento congressuale del prossimo congresso 2011 di Rifondazione Comunista. Sebbene abbia letto tre diversi documenti, commenterò solo quello maggioritario, che mi dicono alcuni "interni al giro" essere stato scritto dall'ex-cossuttiano Grassi e dall'ex-bertinottiano Ferrero. Se è così, si tratta di un miracolo della clonazione biologica, perchè ha permesso dopo la loro morte il matrimonio postumo fra Giuseppe Stalin e Rosa Luxemburg.



2. Ci si chiederà a quale titolo faccio questo commento, visto che non sono né un iscritto né un simpatizzante né tantomeno un potenziale votante di Rifondazione. Da almeno quindici anni non faccio neppure più parte dell’estrema sinistra né tantomeno del pittoresco e multicolore "popolo di sinistra". Direi che le ragioni possono essere compendiate in due principali. In primo luogo sono fra l'altro autore di una Storia Critica del Marxismo (Città del Sole, Napoli) che recentemente un autore come Samir Amin ha definito una "superba discussione dei marxismi storici" dopo aver letto la traduzione francese. Questo mi abilita a qualche commento sulla linea politica e culturale di un partito che si definisce pur sempre marxista e comunista. In secondo luogo, non ho bisogno di autodefinirmi, perchè mi definiscono i miei scritti editi ed inediti ed i miei comportamenti privati e pubblici, totalmente trasparenti ( il che non si può dire di tutti). Ma se proprio mi devo definire, mi definirei un comunista indipendente, o ancor meglio un allievo critico indipendente di Hegel e di Marx. Ho scritto di Hegel e di Marx, e non del solo Marx, perchè a mio avviso il pensiero di Marx è un episodio terminale e coerentizzato del grande idealismo classico tedesco, che si è mascherato da materialismo scientifico, troppo spesso di fatto un positivismo di estrema sinistra per classi subalterne ed intellettuali marginali e confusionari. Da circa cinquanta anni ho fondato un partito comunista nella mia coscienza di cui sono sempre rimasto l'unico iscritto, e di cui non ho mai cercato aderenti, o seguaci. Un tempo questo atteggiamento critico ed indipendente, il solo adatto ad un allievo critico di Marx, era diffamato e colpevolizzato come "individualismo piccolo-borghese", cui contrapporre un proletariato inesistente caratterizzato dall’obbedienza gregaria fatta passare per "vero spirito proletario". Ma oggi la piccola borghesia si è sciolta nella galassia dei ceti medi subalterni e chi colpevolizzava il pensiero critico si è riciclato a berciare dalle tribune elettorali del PD in appoggio ai bombardamenti USA e NATO ed ai provvedimenti finanziari di bilancio FMI e BCE. Sono allora queste le mie credenziali.



3. Il documento ammette (sia pure alla fine, dopo una generica pappa sulla attualità del comunismo e la non riformabilità del sistema capitalistico) che “la rifondazione comunista, a vent’anni dalla nostra nascita, non è stata risolta positivamente". A mio avviso non è stata mai neppure vagamente impostata, perchè non poteva farlo sulla base di una linea politica di truppe ausiliarie e subalterne caramellate del serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD. In tutto il documento non sono mai neppure menzionati i nomi dei Gramsci e dei Togliatti di questo partito, e cioè Armando Cossutta e Fausto Bertinotti. Eppure costoro non sono nomi qualunque. Il primo ha simboleggiato la linea di "unità", e cioè di fiancheggiamento amministrativo del PCI-PDS-DS-PD ed il secondo una linea di rottura aperta, (tipo cultura del "Manifesto" Ingrao-Rossanda) con la tradizione di tutto il comunismo storico, e non solo dello stalinismo, che ha infine prodotto il poeta pugliese Vendola, che copre il fiancheggiamento cammellato del PD con una vuota ed insopportabile retorica.

Come è possibile fare un bilancio di vent’anni censurando proprio i vent'anni della propria esistenza?

4. Apro una parentesi da riconosciuto studioso di storia del marxismo e del comunismo. Il documento Grassi-Ferrero segue una gloriosa e secolare schizofrenia di documenti di questo tipo, che fanno coesistere affermazioni innocuamente estremistiche (attualità del comunismo, irriformabilità del capitalismo, eccetera) con conclusioni pratiche opportunistiche (le sole che contino praticamente) per farsi caricare a bordo da Vendola e Bersani e non toccare le ferree incompatibilità necessarie per farsi appunto caricare a bordo. La storia è vecchia di almeno un secolo, ed è proprio contro questa storia che si sono mossi più di un secolo fa sia il "partitista” Lenin sia la "movimentista" Rosa Luxemburg. A partire da Kautsky questi documenti identitari della "predica della domenica" (superamento comunista del capitalismo, dato sempre per moribondo) hanno fatto coesistere una "ortodossia dei fini" (il comunismo, appunto) con una tattica opportunistica della manovra elettorale. Questo da parte di persone che illudevano i loro militanti con la famosa marxiana "unità di teoria e di prassi". La storia dura da più di un secolo, e mi chiedo come si possa rifondare sulla schizofrenia. Bertinotti è già stato un maestro della rifondazione schizofrenica, massimalismo irresponsabile a parole e presidenza della Camera nei fatti.


5. La mano di Grassi si vede soprattutto in alcuni stilemi: per uscire dalla crisi, oppure uscita a sinistra dalla crisi. E' così che dicevano lutti i documenti PCI non ancora PDS-DS-PD. Iniziavano dalla situazione internazionale, poi dalle forze reazionarie italiane, poi "dal sovversivismo delle classi dominanti" (prima fasciste, poi democristiane, poi craxiane, poi berlusconiane, domani chissà), ed infine si usciva dalla crisi con il PCI candidato al governo. Ed io pensavo che le crisi fossero dovute a cicli della accumulazione capitalistica, e non al "malgoverno" di alcuni intercambiabili fantoccioni!



6. La storia d'Italia è riscritta ad uso e consumo del manipolatore politico di turno. Il craxismo è definito in termini di espressione della "controffensiva del capitale", confondendo l'effetto con la causa. La controffensiva del capitale, per usare questo termine improprio, è un fatto mondiale che parte intorno al 1978 in America, ed innesca una nuova fase dell'accumulazione capitalistica. Il cosiddetto "malgoverno" craxiano è dovuto al fatto che il PSI non disponeva di quelle due idrovore succhiatrici che erano l'industria di stato (per la DC) e le cooperative rosse (per il PCI, dopo 1a fine del finanziamento sovietico). Craxi dovette costruirsi una sua idrovora artigianale, attraverso le pittoresche "dazioni" alla Chiesa. Il documento, in modo onirico, afferma che "Berlinguer denuncia coraggiosamente la corruzione dilagante ponendo al paese la questione morale". Qui siamo lontanissimi dalla stessa critica marxiana delle ideologie. Berlinguer non poteva denunciare la questione morale perchè il suo stesso partito c'era dentro fino al collo. Sembra che Greganti e Penati vengano da Marte. La questione morale è stata storicamente una forma ideologica di "riciclaggio simbolico” dalla vecchia via italiana eurocomunista al socialismo, incompatibile con l'accettazione dell'ombrello della NATO, alla nuova "superiorità morale" dei comunisti. Un cambio di etichetta, o di brand per dirla in linguaggio USA-NATO.



7. Ogni tanto il documento ha degli sprazzi di inconsapevole e involontaria lucidità, quando afferma che è stato il PCI ( travestito da PDS, ma solo un ingenuo in male fede non vede il travestimento) a determinare la distruzione del sistema proporzionale che reggeva la rappresentanza nella Prima Repubblica (assai migliore della Seconda). Ma se è così, come si può fare un "fronte democratico" con una forza anti-democratica, che ha sostenuto il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla governance post-democratica?

Misteri della logica che soltanto il desiderio di essere imbarcati da Vendola e Bersani possono spiegare. Ma il "rientro parlamentare" non può essere fatto passare per "rifondazione comunista", e questo non in nome di Marx, ma del vecchio comune senso del pudore.



8. Il berlusconismo è definito surrealmente come "un vero e proprio inveramento del craxismo". Ora, è vero che la storia non è una scienza esatta come la chimica o la fisica, ma ci sono limiti al delirio storiografico. Il berlusconismo è l'effetto non voluto di Mani Pulite, un colpo di stato giudiziario extraparlamentare che ha sostituito la obbligatorietà dell'azione penale alla rappresentanza “proporzionale”, pur corrotta, della prima repubblica. I giudici di Mani Pulite sono stati gli (involontari) sponsor di Berlusconi, che con il suo denaro ha recuperato l'immenso parco elettorale cui Mani Pulite aveva tolto la rappresentanza (DC e PSI, in primo luogo) . L'unica categoria politica che il documento sembra conoscere è quella del "populismo" . Si tratta proprio della categoria politica usata oggi nel mondo intero dalla classe politica della governance capitalistica. Incredibile che si usino a casaccio categorie politiche coniate per altri scopi. Ma che cosa aspettarsi da gente che aveva abolito la categoria di "imperialismo" e che non fa nessuna autocritica per questa incredibile bestialità del dilettante presenzialista Bertinotti?



9. Un' osservazione solo apparentemente marginale. Al tempo di Stalin per essere comunisti bisognava anche condividere l'ideologia del materialismo dialettico. Ora sembra che per essere comunisti si debba ad ogni costo condividere il femminismo. Ma il femminismo non si identifica affatto con i legittimi interessi collettivi del sesso femminile. I1 femminismo è una ideologia differenzialista di genere di origine universitaria americana, ed è americana come il Rock, il McDonald e Halloween. In quanto ideologia differenzialistica di genere ci sono uomini che la condividono per convinzione o opportunismo politicamente corretto (il sostituto post-moderno del materialismo dialettico) e ci sono donne che si guardano bene dal condividerla.



10. Si parla continuamente di contraddizioni fra il "popolo di sinistra" votante PD e la dirigenza politica del PD. E’ la vecchia solfa del Manifesto e di Lotta Continua, già falsa quando c'era il vecchio PCI. Ma oggi che c'è il nuovo serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD questo è puro delirio. In venti anni il vecchio popolo-PCI si è interamente riconvertito in una amorfa massa giustizialista anti-berlusconiana, che ha scaricato qualsiasi residuo anti-capitalistico, che certo resta ancora per fortuna latente in molta gente, ma non passerà certamente mai più per una "ricostruzione della sinistra" che conosciamo, ma che prenderà altre inedite strade, per il momento non prevedibili. Il PD è del tutto irriformabile, perchè è un partito di governance capitalista (FMI e BCE) ed imperialista (USA e NATO). Non a caso il documento finge che non ci sia un signore chiamato Giorgio Napolitano, che le masse PD applaudono come difensore della costituzione, e che ha addirittura premuto su Berlusconi per la guerra anti-costituzionale in Libia.



11. Già', la Libia. Da gente che ha appoggiato il dilettante Bertinotti che affermava che non esiste più 1'imperialismo non si possono certo aspettare analisi serie sulla Libia e sulla Siria. Bene, io le ho fatte. Discutibili, contestabili, ma le ho fatte. Personalmente, ho appoggiato interamente il governo di Gheddafi in Libia ed ora appoggio interamente il governo di Assad in Siria. Vergogna a chi non riesce neppure a capire che cosa sta capitando in questi paesi.



12. Il documento afferma solennemente che "l'Europa è il terreno sovranazionale indispensabile sul quale realizzare scelte di politica economica finanziaria e sociale alternative alle politiche liberiste". C 'è da trasecolare. In altri contesti il documento afferma il contrario, e cioè che l'Europa è stata proprio la sede principale dell’imposizione del liberismo in tutti i paesi europei. Ma a questo porta la frenesia di farsi prendere a tutti i costi a bordo da Vendola e da Bersani. Non sto sostenendo che sia già all'ordine del giorno l'uscita dall'euro e la ricontrattazione del debito. Ma almeno devono essere politicamente ipotizzate. Qui, invece, per essere presi a bordo da Vendola e Bersani non se ne parla neppure.



13. Il documento dimentica la cauta posizione di Togliatti verso la Chiesa cattolica e dichiara guerra al cattolicesimo italiano organizzato, legando insieme cattolicesimo, omofobia e patriarcato. E' esattamente la linea dei laici di "Repubblica" e della coppia sionista spiritata Bonino-Pannella. Qui di comunista non c'è proprio niente. I comunisti non dividono le masse fra laici e credenti, e non sposano ideologie che dividono il popolo su questioni di coscienza religiosa e filosofica.



14. Alla base di tutto, ovviamente, è la strategia del1'alleanza elettoralistica per cacciare Berlusconi, in un momento in cui Berlusconi sta già per essere cacciato dai gruppi dirigenti delle oligarchie capitalistiche italiane (Marcegaglia, Montezemolo, Draghi, Napolitano, eccetera). Ma per cacciare Berlusconi non c'è nessun bisogno di un corteo urlante di ausiliari cammellati. Bersani ha già la scelta di optare per Casini oppure per Vendola e Di Pietro, e lo farà non certamente perchè l'inesistente popolo PD preme, ma solo sulla base esclusiva della convenienza dei sondaggi elettorali. Far dipendere la rifondazione comunista in Italia dai voleri di Bersani e di Vendola è un fatto talmente vergognoso che lascia addirittura allibiti.

Rifondazione ha molto da farsi perdonare, in primo luogo l'espulsione del deputato Turigliatto per non aver votato i crediti di guerra e l'aver permesso al picconatore Bertinotti di distruggere per anni lo stesso partito in cui era stato chiamato come manager esterno cooptato dai due cinici politicanti Magri e Cossutta. Così com'è, non serve assolutamente a nulla, se non al suo ceto politico professionale. Se invece cambia linea di 180 gradi, magari potrà ancora servire a qualcosa. Ma non lo farà. Conosco troppo bene i miei polli.

giovedì 13 ottobre 2011




Riunione del Comitato promotore dell'appello

Il comitato promotore del'assemblea del 1° ottobre, si è riunito martedì 11 ottobre per fare un primo bilancio dell'assemblea e indicare una prima tabella di marcia del percorso avviato.
Le valutazioni sull'assemblea al teatro Ambra Jovinelli sono state tutte positive sia per la partecipazione numerica che per lo spirito unitario dell'iniziativa. E' un segnale di controtendenza importante che ben si coniuga con i contenuti dell'incontro e del percorso messosi in moto con l'appello "Dobbiamo fermarli".
Che la prima assemblea sia andata molto bene è un punto di partenza incoraggiante ma non sufficiente.
Per questo motivo è indispensabile avviare il percorso sui passaggi indicati e condivisi nel documento finale approvato dall'assemblea del 1° ottobre.

Il comitato promotore invita tutte e tutti gli aderenti all'appello Dobbiamo Fermarli a:

- rispettare lo spirito unitario che anima il comitato promotore nazionale anche a livello locale, cercando in tutti i modi di far convergere le/i singoli, le forze organizzate e i soggetti che hanno condiviso l'appello e i cinque punti del programma. E' un passaggio un po' più difficile in alcune realtà ma che va esperito con convinzione a tutti i livelli;

- convocare entro il 20 novembre le assemblee locali dei firmatari dell'appello e di quelli che via via ne stanno condividendo il progetto. La costruzione dei coordinamenti locali, è un passaggio fondamentale.
Le assemblee locali dovranno approfondire la discussione e l'elaborazione sui cinque punti del programma e cominciare a immaginare l'articolazione locale del lancio della campagna nazionale “Noi il debito non lo paghiamo”. A tale scopo è stata approntata una bozza di testo di una petizione popolare, come strumento per i banchetti e il lavoro di massa sulle parole d'ordine della campagna. L'approvazione definitiva del testo è in via di discussione ma è a buon punto

- per sabato 17 dicembre sarà convocata una nuova assemblea nazionale nella quale le/i portavoce designate/i dai coordinamenti locali relazioneranno sui risultati delle assemblee e dei coordinamenti locali. Al termine dell'assemblea verrà lanciata la campagna nazionale vera e propria in tutti i suoi aspetti.
- tra il 15 e il 30 novembre verrà organizzato un seminario di approfondimento con esperti (economisti, giuristi) sulle proposte che verranno avanzate nella campagna (sul non pagamento del debito, sul referendum contro i diktat della Bce, ecc.)

- sono stati creati tre gruppi di lavoro: uno che preparerà il seminario con gli economisti (F. Russo, M. Casadio, P. Pagliani); uno che curerà l'organizzazione (F. Burattini, E. Papi); uno che curerà la comunicazione (S. Bianchi, J. Venier, G. Chiesa, S. Cararo).




                                              Relativamente alla manifestazione del 15 Ottobre

Il comitato promotore valuta positivamente che l'indicazione di contestazione della Banca d'Italia e della Bce messa in campo già dal 26 settembre con la conferenza stampa di presentazione dell'assemblea del 1° ottobre e della campagna “Noi il debito non lo paghiamo” realizzata proprio a ridosso della sede della Banca d'Italia, sia diventata una indicazione di massa e condivisa da settori crescenti dei movimenti sociali, sindacali e giovanili.
L'assemblea del 1° Ottobre ha deciso la partecipazione alla manifestazione del 15 Ottobre contro quello che ha definito il “governo unico delle banche” sia a livello nazionale che europeo. Ritiene che la piattaforma della manifestazione sia inadeguata rispetto alla realtà del conflitto sociale e alle responsabilità della crisi. La mobilitazione europea del 15 Ottobre ha infatti un chiaro segno anticapitalista che nella convocazione italiana è venuto attenuandosi in modo evidente.
Staremo in piazza con un nostro spezzone unitario e rappresentativo di tutte le realtà che hanno aderito all'appello con un camion con amplificazione e con lo striscione: “Contro l'Europa delle banche – Noi il debito non lo paghiamo – Dobbiamo Fermarli”.



L'appuntamento è alle ore 12.30 davanti al museo di Palazzo Massimo (angolo tra Piazza dei Cinquecento e Piazza della Repubblica - vedi foto-mappa qui sotto).
Il nostro striscione sarà nel corteo fino alla sua conclusione in piazza San Giovanni ma sosterremo le iniziative che intenderanno dare forza, conflittualità e continuità alla giornata di mobilitazione europea del 15 Ottobre.

martedì 11 ottobre 2011

La resistenza venezuelana fra ratti e corvi imperialisti



di Stefano Zecchinelli

’’Trionfi, la Rivoluzione nazionale sarà socialista; arrestino il suo slancio, la borghesia colonizzata prenda il potere, il nuovo Stato, ad onta d’una sovranità formale, resta nelle mani degli imperialisti’’ Jean-Paul Sartre

‘’I fascisti non sono esseri umani. Un serpente è più umano di un fascista’’ Hugo Chavez

‘’La misura della menzogna è il fattore decisivo per farla credere, poichè le grandi masse di una nazione sono, nel profondo del cuore, più facilmente ingannate, piuttosto che consapevolmente e intenzionalmente cattive. La primitiva semplicità delle loro menti le rende facile preda di una bugia grande, anzichè di una piccola, anche perchè esse stesse spesso raccontano piccole bugie, ma si vergognerebbero di raccontare grandi bugie'' Adolf Hitler



1. Un recente intervento del compagno Riccardo Achilli prende in esame, a mio avviso molto bene, l’attuale situazione del Venezuela chavista spiegando, con puntualità, meriti e debolezze della, così detta, ‘’rivoluzione bolivariana’’. L’articolo di Riccardo critica prevalentemente le contraddittorie posizioni interne alle varie anime di sinistra, sostenendo (a ragione) che il motivo della debolezza di queste critiche risiede nella vergognosissima compromissione della sinistra occidentale (per me schifosissima ‘’sinistra colta’’) con le oligarchie economico-finanziare, promotrici di un inedito cosmopolitismo hitleriano.

In questo articolo non farò una analisi della situazione politica e sociale del Venezuela (a parte un paragrafetto introduttivo), anche perché Achilli è un bravissimo economista e potrebbe fare ciò un milione di volte meglio di me, ma (cosa che più mi compete) cercherò di spiegare come gli sgherri del Gran Capitale cercano di creare l’opinione pubblica adatta per rovesciare ‘’Stati canaglia’’ tipo il Venezuela. Dirò subito, senza ipocrisie, che davanti i colpi di coda dell’imperialismo americano, queste brevi note vogliono prendere le parti del modello bolivariano, a cui va dato un sostegno critico (un po’ come fece il MIR con Allende), ma di certo da difendere in tutti i modi dalle minacce dell’imperialismo.

2. Prima di affrontare il problema della disinformazione di regime, dirò due cose – direi che sono obbligato ad introdurre così la questione – sulla natura sociale del Venezuela. Di mio tendo a definire i regimi nazional-progressisti (dal ‘’socialismo arabo’’ al bolivarismo) come ‘’Dispotismi sociali’’ (formula che mi sembra più corretta rispetto a ‘’capitalismo di stato’’) dove le borghesie nazionali, per fronteggiare l’imperialismo, fanno ‘’blocco sociale’’ con il ‘’proletariato’’. La fragilità della società civile (l’abbiamo visto con la Libia o con l’Irak) comporta il passaggio dal ‘’centralismo democratico’’ al conseguente ‘’centralismo burocratico’’, in pratica ciò che Gramsci chiamò ‘’statolatria’’. Non è casuale che nel Nord Africa il Partito Ba’th abbia strozzato (usando anche la legge islamica che vieta l’usura) le borghesie mercantili, creando un forte ‘’blocco sociale’’ (rapporto di produzione + ideologia) a suo sostegno.

Una notevole studiosa, eroica figura del movimento operaio cileno fuggita al regime di Pinochet, come Marta Harnecker (di scuola althusseriana), nonostante queste contraddizioni ha individuato nel progetto di Chavez una possibile alternativa al neo-capitalismo. Dalla rivoluzione politica a quella sociale? Speriamo, staremo a vedere.

Adesso posso affrontare il problema delle strategie di controllo usate dall’impero, partendo, in primis, da una analisi dello scontro fra le potenze che è in atto, e poi inquadrando il ruolo dei mass media. Mi metto al lavoro con la speranza di dare a chi legge una idea chiara della situazione.

3. Un importante teorico marxista come James Petras ha delineato questa gerarchia imperiale (con cui mi sento di concordare in buona parte):




''I. Gerarchia dell’Impero (dall’alto verso il basso)
A. Stati Centrali Imperiali (CIS)
B. Potenze Imperiali di recente Emergenti (NEIP)
C. Regimi Vassalli Semi-autonomi (SACR)
D. Regimi Vassalli Collaboratori (CCR)


II. Stati Indipendenti:
A. Rivoluzionari
Cuba e Venezuela
B. Nazionalisti
Sudan, Iran, Zimbabwe, Corea del Nord


III. Aree di contrasti e Regimi in Transizione
Resistenze armate, regimi eletti, movimenti sociali''.

A me interessa principalmente approfondire il secondo punto, quello sugli Stati indipendenti, mentre sul primo e sul terzo punto segnalo subito alcune cose di particolare interesse.
All’interno di questa carneficina planetaria Istrale, lo Stato assassino e terrorista di Istraele, è una anomalia, perché da una parte è una potentissima forza neocoloniale, e dall’altra, tutto questo arsenale omicida fa capo ad un piccolo stato con una popolazione (che promuove campagne di boicottaggio interne contro le sue borghesie imperialistiche) molto modesta, almeno come densità demografica.
Ciò significa, o almeno potrebbe significare, che siamo oltre alla involuzione nazionalistica descritta da Lenin nei testi sull’imperialismo; comunque l’argomento è complesso e meriterebbe un saggio a parte, non posso di certo argomentare in questa sede.
Per ciò che riguarda il terzo punto la mia posizione è sempre stata chiara: i movimenti di liberazione nazionale vanno sostenuti, senza se e senza ma, perché al momento sono i soli in grado di infligge dei colpi mortali all’impero centrale, marcato Usa-UE.

4. Passo al secondo punto per poi arrivare al Venezuela.

Petras dice:


‘’ Sfide al sistema imperiale arrivano da due fonti: gli stati relativamente indipendenti e i movimenti forti socialmente e politicamente.
Gli stati “indipendenti” sono regimi che si oppongono e per questo sono presi di mira dagli stati imperiali. Questi “indipendenti” includono il Venezuela, Cuba, l’Iran, la Corea del Nord, il Sudan e lo Zimbabwe. Quello che caratterizza questi regimi come ‘indipendenti’ è la loro volontà di respingere le politiche delle potenze imperiali, e in particolar modo gli interventi militari imperiali. Inoltre respingono le pretese imperialiste di accesso incondizionato ai mercati, di risorse e di basi militari.
Questi regimi si differenziano notevolmente in termini di politiche sociali, dall’entità del sostegno popolare, dalle loro identità secolari-religiose, dallo sviluppo economico e dalla consistenza nell’opporsi alle aggressioni imperialiste’’.

James Petras è fra più bravi marxisti che ci sono in circolazione e i suoi testi mi sono sempre di grande aiuto, però questa volta non sono d’accordo con lui. Diffido fortemente dalle ‘’rivoluzioni su base religiosa’’ tanto più che le ideologie pre-industriali hanno spesso nascosto il volto dell’imperialismo, sia da parte delle borghesie compradore, che da parte delle borghesie nazionali in espansione.
Le classi dominanti fanno in modo che le masse sfruttate si difendano dall’alienazione coloniale esasperando l’alienazione religiosa, e cumulando le due alienazioni; l’una si rafforza con l’altra.
A riguardo ci sono delle bellissime pagine di Jean-Paul Sartre e Franz Fanon i quali, non si limitano all’analisi del neo-colonialismo, ma colgono anche il movente psicologico del ‘’nazionalismo anti-coloniale’’.
Petras mi scuserà ma l’Iran è un baluardo dell’anticomunismo (cosa che lui sicuramente sa, ma nel testo che menzionerò nelle note non ne fa cenno), dove i comunisti del Tudeh o del Partito comunista operaio dell’Iran sono fuorilegge dal 1988, e che ora fa la parte dell’ ‘’antimperialista’’ solo perché si sta scontrando con gli interessi degli Stati Uniti in una geo-zona (Medio Oriente) importantissima.
Considerazioni non da poco dato che l’Iran è uno dei maggiori partner commerciali del Venezuela, ma, dall’altra parte, questa politica estera (molto cinica, si pensi ai rapporti con Cina e Russia) ha permesso a Chavez di concludere accordi vantaggiosi (tenere lontani gli Usa) e fare una ottima redistribuzione della ricchezza.
Prendendo in esame la politica internazionale degli ‘’Stati indipendenti’’ ci sono forti analogie con il ‘’Movimento dei non allineati’’ di Tito e Nasser, con condizioni differenti, basi ideologiche molto distanti, e soprattutto una situazione geo-politica mono-centrica e priva di bilanciamenti (conseguentemente drammatica).
Utilizzando il metodo di chi aderisce alla Sinistra Comunista dovrei bollare il tutto come ‘’formazione del mercato nazionale’’, senza considerare i rapporti di forza internazionali, e le spinte interne che questi governi ricevono da una base sociale certamente anticapitalista (si pensi al carattere di classe dell’indigenismo). Sono convinto che bisogna uscire dal mono-centrismo e se questi accordi ‘’compromettenti’’ possono indebolire Washington che ben vengano. Ogni tanto ci vorrà anche un po’ di cinismo, non siamo mica ad un ‘’pranzo di gala’’.
Chiarita la mia posizione sulla politica estera, esaminerò alcuni cavalli di battaglia dell’ ‘’impero’’ per destabilizzare la Repubblica bolivariana.

5. Primo punto: il pluralismo. Per pluralismo in questo caso si intendono le libertà economiche, e quindi all’autoritarismo di uno Stato che controlla sempre di più l’economia si contrappongono le ricette neo-liberali. Il pluralismo è un eufemismo utilizzato dagli intellettuali filo-imperialistici perchè, in realtà, i partiti in regime capitalistico, complessivamente, rappresentano, nessuno escluso, gli interessi della classe borghese. Il fatto che nessuno metta in dubbio il dogma del mercato (come negli Usa o in Europa) ne è la prova.

Secondo punto: la centralizzazione del credito bancario. In questo caso si fa riferimento alla nascita del Banco del Bicentenario del Venezuela. Le banche centrali negli Usa e in Europa seguono gli spostamenti dei capitali finanziari, distruggendo le sovranità nazionali, e macellando i ceti più deboli con la questione del debito pubblico. Marx nel Capitolo 24 del primo libro di ‘’Il Capitale’’ chiama questo sistema ‘’bancocratico’’.
La centralizzazione del credito bancario, nel caso venezuelano, risponde alle necessità di incentivare la democrazia partecipativa, e il controllo sociale della ricchezza.
Non amo mitizzare il marxismo, ma Marx nel Manifesto dice chiaramente:

‘’ Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo’’.

Le critiche dei liberali si dimostrano debolissime.

Terzo punto: le politiche aperte. Questa è una vecchia storia: gli Usa finanziano le Organizzazioni non governative, le reti studentesche, i movimenti colorati, per rovesciare Stati che fanno una politica interna ed estera a loro avversa. Ne ho già parlato altrove quindi non ritorno sull’argomento.

Petras pone l’accento sulla nozione gramsciana di ‘’società civile’’. La società civile per Gramsci ha certamente le divisioni di classe, ma la borghesia imperialistica parla (al contrario) di ‘’società civile organizzata’’ (termine caro a Gene Sharp) interpretandola come amalgama sociale. Quindi la storia è sempre la stessa: da una parte il dittatore cattivo e dall’altra il popolo che vuole libertà democratiche.

L’eufemismo più importante è economia di mercato. Un marxista sa che le economie capitalistiche necessitano di un mercato ideologico e di un mercato politico, e questo fa si che il dissenso venga fatto fuori direttamente dai monopoli informativi. La forza del capitalismo sta nella sua flessibilità cosa capita molto bene da Marcuse che parlò di ‘’tolleranza repressiva’’ e da Lukàcs che parlò di ‘’democrazie manipolate’’.
E’ triste vedere come certe critiche sono fatte proprie anche dalla sinistra socialdemocratica, dai ‘’comunisti per bene’’, e dalla sinistra libertaria. I tentacoli dell’impero sono più insidiosi di quello che si possa credere.

6. La strategia imperialistica in Venezuela si basa sulla creazione degli ‘’Angoli americani’’. Questi angoli sono delle piccole ambasciate di Washington sparse in tutto lo Stato preso di mira. La ex Jugoslavia ne aveva 22 (di cui 7 in Serbia), l’Ucraina 24, la Bielorussia 11, la Russia 20, e l’Irak 11. I più importanti si trovano nelle ex Repubbliche popolari, e se noi pensiamo che quegli Stati sociali hanno funzionato fino all’ultimo, capiamo il movente interno che ha portato alla attuale catastrofe.
In Venezuela ci sono 4 ‘’Angoli americani’’ che gli Usa finanziano spendendo circa 5 milioni dollari all’anno (Jim McIlroy & Coral Wynter, "Eva Golinger: Washington's 'three fronts of attack' on Venezuela," Green Left Weekly, 17 November 2006).
Pascal Fletcher, molto ben documentato, dimostra come gli Usa abbiano affidato la destabilizzazione del Venezuela a Robert Helvey che già addestrò attivisti e studenti filo-Usa per il rovesciamento di Milosevic. Abbiamo tutti presente il ruolo dell’OTPOR, esperienza che si è replicata in tutto il mondo, e che le mafie di Miami hanno riproposto anche a Cuba. La ‘’sinistra colta’’ ovviamente si gusta il feticcio della democrazia.
Neil Foley, professore in Texas di storia, ha fatto in Venezuela e Bolivia, non molto tempo fa, seminari sulla ‘’cultura americana’’. Il punto centrale del suo insegnamento – ovviamente lui ha fatto questi seminari abbondantemente pagato da Washington – è che se un Paese non corrisponde ai parametri di ‘’democrazia e dialogo americani’’ deve essere rovesciato. Insomma, c’è un triste filo nero che collega Foley a Gene Sharp, per poi arrivare ai loro emuli italioti, delinquenti come Don Ciotti e Marco Travaglio.
Infine ci sono gli immensi monopoli mediatici, si pensi alla RCTV, controllati dal Condor, cosa che ricalca la tragedia serba, dove l’informazione era in mano agli yankee e alle massonerie franco-tedesche (altro che Milosevic dittatore!).

7. La mia analisi si ferma qui. Il bolivarismo nasce come ideologia anticolonialista, ha un carattere autoctono (si parla di ‘’socialismo latino-americano’’), presenta certamente delle ambiguità di fondo, ma la difesa delle conquiste fino ad ora ottenute dai movimenti che ne fanno capo è il punto di partenza per sfondare le roccheforti del neo-capitalismo imperante.

Note:

1) James Petras ‘’Analisi sull’Impero: gerarchie, architetture, clientele’’, Global Research, 19 marzo 2007

2) James Petras ‘’ Venezuela: dizionario degli eufemismi della sinistra progressista’’

3) Chris Carlson ‘’ La nuova strategia imperiale di Washington in Venezuela’’
Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1830

Stefano Zecchinelli

venerdì 7 ottobre 2011

Le tesi di Emiliano Brancaccio sulla crisi del debito pubblico europeo 



Emiliano Brancaccio, partendo da un punto di vista eterodosso, analizza la crisi del debito pubblico europeo con ben altri esiti rispetto agli economisti del mainstream. Egli parte dal presupposto che sia in corso in Europa una competizione tra capitali, competizione che rischia di smantellare l’assetto dell’UE, assetto sovrastrutturale e quindi del tutto dipendente dalle dinamiche economiche in atto. I capitali tedeschi, detenenti alti tassi di produttività, hanno un alto coefficiente di penetrazione negli altri paesi europei. Questo è il frutto della politica economica tedesca che ha, nel corso dell’ultimo decennio, privilegiato le esportazioni, mantenendo fermi i salari interni. Questa politica ha generato grossi squilibri nelle bilance commerciali di altri paesi europei, quali Spagna, Portogallo e Grecia (Brancaccio inserisce in questo discorso anche l’Italia).




 Il deficit commerciale di questi paesi compromette la crescita di questi ultimi e la mancanza di crescita genera la sfiducia sulla possibilità di questi paesi di rimborsare il proprio debito pubblico. In questo modo gli speculatori vendono titoli di stato di queste nazioni perché puntano sul default del loro debito pubblico e sullo sganciamento dall’unione europea. La crisi del debito pubblico mette in difficoltà anche le banche dei paesi colpiti che hanno tra i loro crediti gli stessi titoli del debito pubblico. Ciò comporta difficoltà nei patrimoni di queste banche che sono viepiù costrette ad aumentare il proprio capitale con il rischio di scalate da parte di capitali stranieri (Brancaccio pensa soprattutto a capitali tedeschi. L’esito finale potrebbe essere una elevata mortalità delle imprese dei paesi periferici ed ad una desertificazione produttiva di questi ultimi.
Brancaccio ha anche ragione a criticare le politiche economiche che, secondo l’ortodossia liberista, dovrebbero contribuire a sanare il debito pubblico a rischio di insolvenza di questi paesi periferici. I prestiti rinviano soltanto il problema e l’austerità, comprimendo i consumi interni, abbassa il reddito nazionale lordo e riduce la capacità di rimborso dei prestiti, scatenando ulteriori crisi di fiducia nei mercati finanziari. Per Brancaccio un possibile rimedio sarebbe lo standard retributivo europeo, cioè una politica che obblighi i paesi dell’UE a garantire una crescita delle retribuzioni almeno uguale alla crescita della produttività del lavoro in modo da interrompere la caduta ormai trentennale della quota salari in Europa e di eliminare la tendenza recessiva che da essa consegue. Al di sopra di questa crescita minima dei salari, lo standard retributivo europeo legherebbe la crescita delle retribuzioni reali agli andamenti delle bilance commerciali allo scopo di favorire il riequilibrio tra paesi in surplus e paesi in deficit con l’estero. I paesi caratterizzati da surplus commerciale sistematico dovrebbero essere indotti ad accelerare la crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita della produttività al fine di contribuire all’assorbimento degli avanzi con l’estero. In questo modo se in Germania si aumentano i salari relativi, i lavoratori tedeschi possono aumentare le importazioni e ridurre il disavanzo commerciale delle nazioni europee che esportano verso la Germania. Senza una politica di questo tipo, gli squilibri commerciali rimangono e i salari dei paesi in deficit tenderanno a ridursi con effetti ulteriormente recessivi.
Negli ultimi articoli Brancaccio ha sottolineato la necessità di un maggiore controllo sulla circolazione dei capitali e sulla possibilità che questo controllo venga effettuato dai singoli stati membri dell’UE. Brancaccio ha anche criticato il libero-scambismo di sinistra che tende ad escludere tale controllo dalle proprie proposte di politica economica.

Le tesi di Brancaccio sono complessivamente convincenti e tuttavia sono possibili due osservazioni:

1. Non ha senso per i comunisti dichiararsi libero-scambisti, ma bisogna essere consapevoli, con Marx, che il libero scambio è una delle caratteristiche dell’espansione del capitalismo nel mondo e dunque non si può facilmente rimuovere senza che ci siano conseguenze ancora più conflittuali tra gli Stati. Le politiche protezionistiche hanno maggiore senso quando vogliono tutelare un’industria o un settore produttivo nascente, ma difficilmente possono essere messe in atto in chiave difensiva a tempo indeterminato. Né si può trascurare il fatto che questo tipo di politiche più facilmente si può collegare ad ideologie politiche nazionalistiche e dunque a conseguenze molto meno condivisibili. La strada maestra per la sinistra è, in presenza di circuiti economici e di zone di scambio che travalicano l’ambito nazionale e rendono più difficili politiche economiche tese alla redistribuzione del reddito verso i ceti meno abbienti, quella di rafforzare istituzioni politiche il cui intervento sia possibile a livello più esteso in modo da riattivare il controllo dei capitali a tale livello. Quindi la sinistra deve lavorare perché sia possibile una politica fiscale europea, uno standard retributivo europeo, la nascita dei titoli di debito pubblico europei, il sistematico investimento pubblico europeo, una imposta sulle transazioni finanziarie a livello europeo. Ovviamente la difficoltà sta nel fatto che l’assenza di strumenti politici adeguati limiti la possibilità per una forza comunista di incidere nell’elaborazione di riforme politiche di tale estensione. Ma a livello sindacale si può spingere per iniziative sindacali coordinate a livello europeo, in quanto solo se le forze del lavoro si uniscono ad un livello più grande, è possibile un vero contraltare alla libera circolazione dei capitali nel nostro continente e nel mondo. Un altro punto è che un eventuale sganciamento o allentamento dai vincoli europei non può e non deve sfociare in forme di protezionismo angustamente nazionalistiche, che potrebbero avere vita breve (e di questo ne è consapevole lo stesso Brancaccio). Forse da questo punto di vista è più interessante l’ipotesi di Leonardo Amoroso, per il quale potrebbe essere necessaria un’area di Stati europei periferici del mediterraneo, con una moneta comune e la possibilità di più libero scambio all’interno. In questo modo una politica economica più autonoma sarebbe una opzione più forte ed anche più ragionevole.
2. Un’altra osservazione che può essere fatta sulle tesi di Brancaccio è quella relativa al fatto che la crisi del debito pubblico italiano si possa collegare anch’essa fortemente agli squilibri della bilancia commerciale. Tuttavia tali squilibri non sono marcati come quelli di Portogallo, Spagna e Grecia. Da un lato si deve maggiormente valorizzare il ruolo della speculazione finanziaria che può essere considerata come un bastone volto a costringere gli Stati a ridurre ulteriormente il grado di protezione del lavoro e le politiche di redistribuzione del reddito (in Italia l’obiettivo che si vuole raggiungere è l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, l’emarginazione definitiva della Cgil o la sua normalizzazione ed infine la privatizzazione delle municipalizzate, delle risorse naturali e delle quote azionarie detenute dallo Stato). D’altro canto un criterio da cui deriva la fiducia dei mercati finanziari sulla solvibilità del debito pubblico dei singoli paesi può essere il rapporto tra interessi del debito pubblico e tasso di crescita del Pil: in Grecia ed in Portogallo l’interesse del debito pubblico è eccessivo, mentre per ciò che riguarda l’Italia è il tasso di crescita del Pil ad essere troppo risicato. Ma questa ipotesi andrebbe comunque perfezionata. In realtà infatti l’interesse del debito pubblico si innalza anche per effetto della speculazione per cui tale rapporto non inquadra uno stato di cose reale, ma uno stato di cose costituito dalla speculazione stessa. Le intenzioni degli speculatori sono implicite nell’atteggiamento delle agenzie di valutazione nei confronti degli eurobonds, atteggiamento che nasconde l’avversità pregiudiziale della speculazione verso ogni soluzione che possa favorire un maggior equilibrio economico tra gli Stati membri dell’UE, dal momento che questo equilibrio potrebbe contrastare la svendita del patrimonio pubblico dei paesi periferici e della maggioranza azionaria delle imprese di tali paesi.

Il Pensatoio