giovedì 20 gennaio 2011

LA PRODUZIONE LIBERATORIA DELL'INDIVIDUO SOCIALE

in Gilbert Simondon




di fabio Raimondi



Un sentiero di lettura sull'opera del filosofo francese a partire da due
volumi che pongono con forza il tema del rapporto tra tecnica e natura
umana. Una riflessione che rivela la sua capacità di cogliere i nodi
irrisolti della modernità e che pone con evidenza la necessità di una
concezione del «politico» come capacità del conflitto di trasformare il
legame sociale. E delle istanza di libertà e eguaglianza in un mondo che
le nega in nome della supremazia del mercato.

Come Thomas Hobbes costruì la sua scienza della politica basandosi sulla
fisica galileiana e come Immanuel Kant si appoggiò invece sulla fisica
newtoniana, così il tentativo del filosofo francese Gilbert Simondon è
stato di aggiornare la consapevolezza epistemologica della filosofia con
riferimento, in particolare, all'indecifrabile e amletica fisica
quantistica, che, diceva il fisico statunitense Richard Feynman,
«nessuno capisce». Un tentativo la cui ambizione epistemologica e
politico-sociale è ben evidenziata da due studi recenti, che pongono
l'accento sulla ridefinizione simondoniana del rapporto tra scienze
umane e scienze «dure» contro lo scientismo e l'utilitarismo
capitalistico delle merci.
Il primo è di Xavier Guchet - Pour un humanisme technologique. Culture,
technique et société dans la philosophie de Gilbert Simondon, Puf, pp.
278, euro 27 -, che insegue lo sforzo simondoniano di indicare un'altra
«modernità», legata alla tecnica intesa come «"supporto" e "termine di
riferimento reale" delle società umane». Il nucleo di tale operazione è
la problematizzazione dell'uomo, la costruzione di un «umanismo» fondato
sulla costituzione biologica e tecnica dell'umano, cioè sul «processo
d'individuazione» che, contro ogni essenzialismo antropologico sfociante
nell'illusione identitaria dell'individuo, mostri come l'umano si
costruisca attraverso l'oggettivazione tecnica della sua relazione
immediata col mondo.


Un dualismo da superare
Non si tratta più, dunque, di appoggiarsi sulla dicotomia tra «uomo
esteriore (sociale) e uomo interiore (mentale)», ma di sostituire al
dualismo sociologia-psicologia il rapporto complesso tra
psicosociologia, tecnologia e umanismo. Solo questa relazione, sempre
mutevole, può fornire il principio d'unità delle scienze sociali, contro
l'individualismo metodologico imperante. La tecnologia, infatti, «non è
solo lo studio del funzionamento delle macchine, ma anche l'analisi del
processo sociale per il quale il rapporto vitale tra l'uomo e la natura
si è progressivamente formalizzato, oggettivato come sistema di
operazioni coordinate». Tutto questo trova il proprio centro
nell'analisi della funzione simbolica dell'oggetto tecnico, veicolo di
una normatività che è promessa implicita di universalità: attraverso
l'oggetto tecnico, infatti, sono trasmessi «degli schemi operatori» in
grado mediare virtuosamente la comunicazione interumana.
Pur non misconoscendo il tema antropologico, Simondon cerca di
«ancorarlo a un'ontologia su misura», per dirigersi verso una
«prasseologia» che, non escludendo il valore della tecnica, destituisca
di ogni fondamento «la tentazione di una comprensione tecnicista della
realtà umana»; realtà «operatoria» perché produce, attraverso processi
di individuazione che si danno a partire da una realtà «preindividuale»,
il passaggio da «una struttura a un'altra, rifiutando la distinzione tra
essere e divenire». L'uomo è legato «al mondo esterno che è il luogo in
cui egli fabbrica la propria realtà fabbricando i propri oggetti»:
questa è l'operazione di «transindividuazione» con la quale egli
«istituisce un ordine umano strutturando ciò che in lui è natura». In
questo modo, l'uomo trasforma la «cultura», che ha una «funzione
regolatrice all'interno dei gruppi umani» e verso la natura.
Il secondo è di Andrea Bardin, che ricostruisce in modo accurato la
terminologia tecnica di Simondon, le sue fonti, il contesto nel quale
opera, le fasi della sua riflessione e l'importanza filosofica della sua
ricerca, allontanandosi dalle interpretazioni più diffuse: Epistemologia
e politica in Gilbert Simondon. Individuazione, tecnica e sistemi
sociali (Valdagno, pp. 410, euro 24) è il volume con cui l'editore
FuoriRegistro inaugura una collana che vorrebbe intercettare, grazie a
bassi costi coniugati a ottima qualità, la produzione di studiosi resi
sempre più invisibili dai tagli criminali alla ricerca.

L'individuo è un processo sempre aperto di scambio continuo di
informazioni con l'ambiente circostante e con gli altri esseri viventi
(umani e non) e non viventi (oggetti tecnici), in cui è la relazione a
produrre gli elementi che la costituiscono: «la natura umana non è un
dato - né biologico né culturale - ma un divenire biologico-tecnico» che
struttura e destabilizza, al contempo, l'ambiente in cui si genera.


La carica energetica del milieu
La tecnica (non riducibile al funzionalismo del «lavoro», fonte di
«alienazione»), con la sua inventività, rende possibile la comunicazione
tra comunità e natura attraverso la «macchina» dando vita alla società,
che però non è mai stabile, priva di comunicazione con l'esterno, ma
sempre «metastabile» nel suo movimento di interazione, scambio
energetico e conflitto tra le sue componenti, e tra esse e l'ambiente
che le circonda. Se «ciò che è organico e tecnico produce e al contempo
minaccia il sistema sociale», allora la conservazione della società
passa per la costruzione collettiva di «significazioni» (simboli) con la
capacità di equilibrare lo scambio tra potenziali creativi e
distruttivi. Quest'attività è la cultura, che può produrre la «chiusura
in un sistema di credenze» (comunità) oppure «il rilancio della
produzione simbolica stessa» (società): solo nel secondo caso la vita
riceve un impulso conservativo ed espansivo al contempo.
È soprattutto dopo L'individuation à la lumière des notions de forme et
d'information del 1958 che è possibile cogliere «le implicazioni
politiche della filosofia dell'individuazione». Dalla relazione
«organismo-milieu», infatti, si forma il legame sociale. La «produzione
simbolica», essendo il «prolungamento della struttura e dell'azione
dell'organismo», segna il passaggio dalla natura alla cultura istituendo
tra esse una relazione biunivoca. Sono in particolare gli oggetti
tecnici a regolare il rapporto tra organismo e ambiente secondo una
modalità che fa riferimento alla «carica energetica» potenziale
associata al milieu: un potenziale preindividuale che rende ragione sia
della sempre possibile regressione umana al primitivo sia della
produzione di nuove «individuazioni transindividuali».
In quanto «cultura», tecnica e religione (sacralità) sono «modalità
primarie del pensiero»: la prima (oggettivazione) si applica al rapporto
col mondo naturale, la seconda (soggettivazione) «cura la collocazione
dell'individuo un uno sfondo-Tutto», ma nessuna delle due è esclusiva,
perché l'ultima opera «sulla scala dei gruppi» con funzioni di
«stabilizzazione», mentre la prima opera su scale più ampie con funzioni
di «invenzione». L'oggetto tecnico diventa così potenziale vettore di
«apertura sociale», la cui politicità dipende dal suo «valore»
destabilizzante e costitutivo al contempo, non necessariamente
progressivo. Quando la religione non è più in grado di collocare
l'individuo in un Tutto, a fronte della «frammentazione» prodotta dalle
tecniche, sorge la politica, che «riformula il tutto nella sua
dimensione potenziale-progettuale» con lo scopo di costruire una
«compatibilità tra fase tecnica e religiosa». Il tentativo però non
genera sintesi ma conflitto, ed è a questo punto che la filosofia
interviene come produzione di «permanente negoziazione» o «regolazione»
del loro antagonismo, «rallentando o amplificando il divenire» e
modificando così «il milieu attraverso il quale la società agisce su se
stessa».


Nella gabbia della merce
Simondon insegue la possibilità di una «cultura tecnica», il cui
antispecismo vorrebbe rompere anche con l'alienazione degli oggetti
tecnici al fine di dar loro «cittadinanza nel mondo delle
significazioni» contro la tecnocrazia borghese e la tecnofobia («omologa
al razzismo») che hanno inondato la cultura del Novecento. Contro il
lavoro e la sua sacralizzazione, bisognerebbe modificare il rapporto
consumistico (passivo) che produce «regressione», perché chiede al
mercato il funzionamento «chiuso» anziché «aperto» dell'oggetto tecnico,
il suo «automatismo» anziché lo sviluppo dei suoi potenziali, il suo
«rendimento» invece che la sua «liberazione», la sua prestazione
«omeostatica» e non «metastabile». Un'etica immanente alle tecniche è
l'orizzonte che Simondon insegue, cadendo spesso in afflati mistici che
lo riportano in un orizzonte positivistico, mitigato però dalla
consapevolezza che la politica è ricerca della «compatibilità
dell'invenzione con le condizioni di stato del sistema sociale», ossia
«atto di governo» giusto, «invenzione di compatibilità» tra l'esistente
e l'emergere aleatorio delle invenzioni: filosofia.

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