martedì 17 dicembre 2013

Lineamenti di una futura lotta di liberazione

 
  di Eugenio Orso 
Premessa
In questo e nei prossimi interventi ci proponiamo di affrontare alcuni temi di estrema rilevanza politica e sociale. Lo scopo è di abbozzare, una prima volta, i lineamenti che dovrà avere una futura lotta di liberazione e gli obiettivi che auspicabilmente dovrà conseguire. I punti da sviluppare sono i seguenti:
1)    Dittatura centralista rivoluzionaria.
2)    Odio di classe, Vendetta sociale e Disumanizzazione del nemico.
3)    (Ri)educazione di massa.
Il neocapitalismo, attraverso i suoi molti canali di propaganda, di flessibilizzazione e di condizionamento delle masse è riuscito a trasformare l’uomo e le società, a renderli adatti a sopportare lo “sfruttamento totale” che le sue dinamiche e le sue esigenze riproduttive implicano. Usiamo deliberatamente l’espressione “sfruttamento totale” – che virgolettiamo non ironicamente – perché ci si è spinti ben oltre il vecchio recinto della fabbrica, in cui si accumulava e si estorceva il plusvalore (secondo Karl Marx). La sussunzione reale del lavoro al capitale, indagata una prima volta da Marx, si è estesa “a macchia d’olio”, in questi decenni di trapasso dal capitalismo produttivo dello scorso millennio al neocapitalismo finanziarizzato, a ogni ambito della vita umana, individuale e sociale. La sussunzione è raddoppiata, per l’assoluta superiorità del capitale finanziario su quello “produttivo” e l’estorsione del plusvalore è un sottoinsieme della creazione del valore azionario, finanziario e borsistico che la contiene. Si è agito sull’uomo, per manipolarlo e diminuirlo, su vari fronti, a partire da quello del lavoro, precarizzato, sotto pagato e svalutato culturalmente. Il tasso di violenza espresso dal sistema è oggi alle stelle e gli spazi alternativi, extralegali, di resistenza, sono stati spazzati via, o si sono ridotti a piccole, insignificanti isole in un mare sconfinato di neoconformismo. Il dissenso espresso in forme radicali sopravvive nella virtualità della rete, sospesa su una realtà sociale e umana che si vuole rendere invisibile, illeggibile o si vuole semplicemente esorcizzare. All’interno del sistema politico di supporto al neocapitalismo, vige una sorta di “democrazia del mercato”, di matrice assolutistica, che non ha più bisogno di un vero consenso di massa (per quanto estorto, manipolato), avendo ridotto le elezioni politiche a suffragio universale a un puro momento rituale, a fronte di programmi politici già decisi dalle élite globaliste e a senso unico. In questa situazione, se ci fossero forze extraparlamentari agguerrite, disposte alla lotta nelle piazze, non avrebbero più leve. Se ci fossero ancora le BR, non avrebbero più gruppi di fuoco. Per far digerire agli operai la rischiavizzazione, ai ceti medi l’impoverimento progressivo, ai giovani la disoccupazione endemica, gli agenti neocapitalistici hanno agito sull’uomo con ogni mezzo a disposizione, senza scrupolo alcuno. Pacifismo, politicamente corretto, culto irrazionale e masochistico della democrazia (liberale), culto del mercato e del privato (i grandi capitali finanziari), dominano incontrastati le menti e la vita delle masse, che sembrano aver perduto anche l’ultima stilla di coscienza politica e sociale.
Parte I – Dittatura centralista rivoluzionaria
Oggetto del presente intervento è la contrapposizione alla democrazia rappresentativa di matrice liberale – che supporta lo sfruttamento totale neocapitalistico e i crimini perpetrati dai dominanti contro l’uomo e l’ambiente – di un sistema di governo alternativo, demonizzato dai “sinceri democratici” al servizio del neocapitalismo, in grado di supportare validamente la rivoluzione politica e sociale per la liberazione dell’uomo. La superiorità assoluta del mercato e del grande capitale finanziario, assicurata sul piano politico dalla democrazia rappresentativa liberale, potrà trovare il suo contraltare soltanto in una forma di governo opposta, centralizzata, affidata a nuove élite anticapitaliste e antimercatiste, adatta ad affrontare le emergenze ereditate dal nuovo capitalismo finanziarizzato e i grandi cambiamenti storici. Una forma di governo che potrà supportare validamente un grande progetto di controdemiurgia rivoluzionaria, per la liberazione definitiva e integrale dell’uomo dalle catene neocapitalistiche.
A questo punto, si rende indispensabile una precisazione. Non vi è alcuna contraddizione fra questo e un nostro precedente intervento, in cui abbiamo stabilito i lineamenti di un programma politico-strategico alternativo, applicabile alla realtà storica, sociale e politica di paesi oppressi come l’Italia. Nel post Le basi programmatiche dell’alternativa abbiamo esplicitato i punti principali, nell’essenziale, di un programma opposto a quello neocapitalistico, stabilito dagli organismi sopranazionali e applicato dai gruppi politici subdominanti nei vari paesi sottomessi. Le basi programmatiche da noi proposte nel citato scritto sono “sovraniste”, dal punto di vista monetario e politico (uscita dall’euro, dall’unione europoide e dal sistema di alleanze “occidentale”), dirigiste, dal punto di vista economico (con la riattivazione piena dello stato imprenditore, le rinazionalizzazioni), keynesiane, dal punto di vista del modo di intendere la funzione del deficit dello stato e quella della spesa pubblica. Infine, nel programma si riconosce la centralità dello stato sociale, per un autentico sviluppo centrato sull’uomo, che dovrà essere riattivato ed esteso. La prima vera libertà umana, volutamente ignorata dai pubblicisti del neoliberismo sfrenato, era, è e resterà quella dal bisogno economico.
Come si nota, non abbiamo delineato i contorni di un programma collettivista, volto in tempi brevi alla completa socializzazione di tutti i mezzi di produzione e alla scomparsa dell’iniziativa privata (come ci sarebbe piaciuto fare). Questo perché, nel breve, data la situazione di passività di massa e di colonizzazione delle menti, solo un programma “intermedio” come quello da noi tratteggiato potrà avere speranze di successo. Per speranza di successo intendiamo l’adesione di gruppi politici, di intellettuali e di economisti con (almeno) un piede dentro il sistema, con la possibilità effettiva di “smuovere” la situazione dall’interno. Intendiamo anche la possibilità concreta di consenso fra le masse pauperizzate, oggi passive, idiotizzate socialmente e politicamente, impaurite e ricattate dal punto di vista economico (la “spada di Damocle” del debito pubblico, il peggioramento della “crisi” produttiva e occupazionale), “educate” (o meglio, ammaestrate) al pacifismo a senso unico e al rispetto assoluto, all’accettazione acritica della democrazia neocapitalistica di mercato (l’unica e la sola oggi esistente).
Il passaggio dalla democrazia liberale, con annessa truffa del suffragio universale e della rappresentanza “condizionata” dall’esterno, al nuovo sistema di governo centralizzato, che opererà a beneficio delle masse-pauper neutralizzando le minoranze neocapitalistiche rapaci, difficilmente potrà compiersi nel breve o nel brevissimo periodo. Del resto, in Russia l’Ottobre Rosso dei bolscevichi è stato preceduto dalla rivoluzione mancata del 1905 e dal governo menscevico, che continuava la guerra zarista e manteneva in vita il parlamento. La rivoluzione maoista e comunista in Cina ha avuto un periodo di gestazione ben più lungo, prima di giungere alla vittoria, dal 1912 al 1949. In sintesi, sia per quanto riguarda gli aspetti programmatici sia per quanto riguarda la forma di governo, noi prevediamo due fasi rivoluzionarie future. La prima soltanto parziale, protorivoluzionaria, di superamento progressivo delle politiche neoliberiste, mercatiste ed europoidi (per quanto riguarda i paesi prigionieri dell’eurolager). In questa fase, che potrà rivelarsi piuttosto lunga e incerta, le “istituzioni democratiche” liberali saranno mantenute in vita, in tutto o in parte. Le forze politiche che la domineranno – “euroscettiche”, ostili al grande capitale finanziario, sovraniste, ma interne al capitalismo – potrebbero forse essere paragonate, dal nostro punto di vista e con le dovute cautele, ai menscevichi prima di Lenin e del Potere ai Soviet. Soviet, dei soldati, degli operai e dei contadini, che erano gli unici e i soli completamente alternativi all’allora “parlamentarismo borghese” (Lenin docet). La seconda fase propriamente rivoluzionaria, quella decisiva, rappresenterà la fine di una lunga marcia di avvicinamento al potere e un’accelerazione del processo di liberazione dell’uomo dall’oppressione del capitale finanziario, dall’usura neocapitalistica e dall’inganno della democrazia. In questa fase emergeranno in piena luce le forze autenticamente rivoluzionarie e trasformative, che prenderanno saldamente la guida della società e concentreranno nelle proprie mani il potere effettivo. La Dittatura centralista, nella seconda fase, quella propriamente definibile rivoluzionaria, potrà rappresentare un sistema di governo alternativo e caratteristico della transizione dal periodo rivoluzionario alla nuova società postcapitalista. Una transizione che difficilmente potrà essere gestita “dal basso”, in modo “democratico” – com’è facilmente intuibile – con il rischio incombente del fallimento, del caos e/o del ritorno dei criminali neoliberisti al potere.
La demonizzazione della dittatura, iniziata propagandisticamente nella parte occidentale del mondo dopo la seconda guerra mondiale, risponde oggi a ben precisi interessi di classe. Quelli della classe globale dominante. La demonizzazione della dittatura – frutto di una fuorviante interpretazione del corso storico da parte di vincitori – si sostanzia nella demonizzazione integrale del nazionalsocialismo, del comunismo sovietico e del fascismo, coinvolgendo una buona parte della storia del novecento europeo. Dopo la capitolazione dell’Unione Sovietica, ha riguardato singoli avversari del neocapitalismo, o autocrati venduti come mostri sanguinari, alla costante ricerca di un nemico irriducibile da dare in pasto, propagandisticamente, alle masse idiotizzate e flessibilizzate. Un nemico che faccia dimenticare alle popolazioni occidentali una situazione sociale sempre più negativa e a loro sfavorevole. Saddam Hussein, Slobodan Milosevic, Mohammar Gheddafi e oggi Assad rientrano in quest’ordine d’idee. Sono i “demoni” portatori della dittatura, in contrapposto alla democrazia liberale, coloro che negano apertamente i diritti astratti, inoperanti nella concretezza dei rapporti sociali e produttivi, nati dall‘inganno liberale. Sono, costoro, gli obiettivi prediletti delle guerre esterne neocapitalistiche, combattute sempre contro avversari militarmente molto più deboli con il supporto dei media e dei mercati. Rappresentano i moderni “stregoni” – condannati a morte dal “tribunale dell’inquisizione” della classe globale dominante – da mandare letteralmente al rogo. Non da soli, purtroppo, ma insieme ai paesi e ai popoli che guidano. La supremazia del libero mercato globale tendente alla massima espansione, quale riflesso irrinunciabile del modo di produzione neocapitalistico che ha “messo sotto” la politica, è ben compendiata, a livello di sistema di governo, dall’esportazione della democrazia liberale. Un’esportazione armata e destabilizzante, nelle società e per i popoli vittime di questa forma di neocolonizzazione. La dittatura è quindi il nemico numero uno, sul piano politico, e talora fa il paio con il “populismo”, venduto come un mix di fascismo e comunismo che critica sul piano sociale gli effetti delle politiche neoliberiste. Se la dittatura, nelle sue più significative espressioni storiche, fu romana, poi giacobina e infine del proletariato, con la mediazione del partito comunista nelle forme adottate in Unione Sovietica, in futuro non potrà che assumere lineamenti e contenuti originali, diversi da quelli del passato. Contrapporre una nuova forma di Dittatura centralista rivoluzionaria alla democrazia finanziaria di mercato si rivelerà una necessità, perché il superamento del neocapitalismo finanziarizzato implicherà anche il superamento del suo miglior compendio, sul piano politico, cioè la democrazia liberale (falsamente) rappresentativa, di matrice assolutista e mercatista. Allo strumento politico di dominazione del mercato e della finanza, definito democrazia liberale, sarà necessario (e persino inevitabile) opporre uno strumento politico rivoluzionario, di segno opposto, identificabile con la dittatura centralista. Il contrasto fra la democrazia liberale, centrata su diritti astratti, e le vere libertà dell’uomo è ormai manifesto, e lo è proprio in quella parte del mondo che per prima ha adottato istituzioni democratiche e liberali. La prima, vera libertà umana, dalla quale tutte le altre discendono, era, è e resterà anche in futuro la libertà dal bisogno e dal ricatto economico.
Quali potranno essere le caratteristiche, almeno per grandi linee di questo sistema di governo? Cerchiamo di dare una risposta, moderatamente predittiva, stabilendo come di consueto alcuni punti fondamentali.
1)    Rappresentanza. Con un ardito parallelo storico, se il Lenin delle Tesi di aprile del 1917 contrappose i Soviet al parlamentarismo borghese e imperialista di allora, alla “rappresentanza” liberaldemocratica, che nella realtà è rappresentanza degli interessi della classe dominante sopranazionale, si contrapporrà la formazione di consigli, comitati e direzioni strategiche rivoluzionarie, nelle quali emergeranno le personalità in grado di guidare l’apparato pubblico. Quei governanti, designati dalle direzioni strategiche, a loro volta espressione dei comitati rivoluzionari, dovranno essere soggetti a regole di comportamento e norme stringenti, per rispondere adeguatamente, una volta e per tutte, alla solita domanda “chi controlla i controllori”. Eventuali reati da loro commessi dovranno essere puniti molto più duramente dei reati commessi da un comune cittadino. E’ chiaro che la rivoluzione dovrà avvenire anche dal punto di vista costituzionale, azzerando la rappresentanza liberaldemocratica e fasulla.
2)    Elezioni. Noi conosciamo una sola forma di democrazia, quella realmente esistente, così come abbiamo conosciuto una sola forma di comunismo, quello novecentesco realmente esistito, il cui “modello” più noto e di maggior successo era di matrice sovietica. Il resto appartiene a una dimensione puramente ipotetica e ideale, oppure a una realtà storica e culturale lontana, irrimediabilmente perduta, che non potrà essere resuscitata (la democrazia della polis greca, il comunismo dei consigli). La forma di democrazia che conosciamo e che realmente esiste è, banalmente, un efficace strumento di oppressione e dominazione delle élite che simula, a fronte di politiche antipopolari applicate, la cosiddetta volontà popolare. Volontà popolare che dovrebbe manifestarsi con le elezioni a suffragio universale, che però non rappresentano la volizione del popolo – come dovrebbe essere chiaro anche ai bimbetti – ma semplicemente un rito sistemico legittimante, nella dimensione politica dominata dalle élite globali. In verità, mentre si vota “universalmente”, ma senza possibilità concreta di influire sulle linee programmatico-politiche, la decisione politico-strategica che conta, mai come oggi, è sempre più addensata in alto e all’esterno dei paesi (vedi l’eurozona-lager) rigorosamente in base al “censo”. Nel nostro caso in base al grado di controllo esercitato sul grande capitale finanziario, sulle entità economiche multinazionali e sulla moneta. Per questa via truffaldina, la volontà popolare non solo non è rispettata, ma è neutralizzata a beneficio dei veri dominanti dello spazio politico. Il rito elettorale legittima, per farla breve, l’assolutismo del mercato combinato con il dominio della finanza internazionalizzata. Rinunciare a questo rito significa superare, anche sul piano politico, la supremazia neocapitalistica e riportare l’economia sotto il controllo della Politica, quella vera, con l’iniziale maiuscola.
3)    Partiti politici. Per esperienza drammaticamente concreta, sappiamo, o dovremmo sapere, che una pluralità di cartelli elettorali, più o meno radicati e strutturati sul territorio, più o meno ridotti all’osso come tessere e partecipazione, non significa assolutamente varietà di programmi politici alternativi e vera libertà di scelta. Il programma applicato è predeterminato, ha poco a che vedere con le “promesse” da campagna elettorale e con le supposte “tradizioni” ideologiche di questi cartelli-partito, essendo l’espressione degli interessi privati e neofeudali di una ristretta cerchia strategica, all’interno della classe dominante neocapitalistica e postborghese. Abbiamo ben compreso, infatti, qual è il vero significato e il vero scopo dell’eurozona e dell’unione “europea”, dei loro trattati e della loro disciplina fiscale e di bilancio. Considerata la nostra esperienza, possiamo concludere che la pluralità di cartelli elettorali/ partiti non significa varietà nella scelta e in alcun modo può assicurare l’emancipazione della “classi subalterne”. Esattamente al contrario, è uno specchietto per le allodole che serve a imbrogliare la popolazione, per far passare le controriforme “strutturali” imposte dai mercati e, nello stesso tempo, agevola lo strutturarsi dei gruppi collaborazionisti sub-politici che servono i grandi poteri esterni. Si rinuncerà senza rimpianti alla democraticissima pluralità di partiti, visto il suo vero significato ed esito.
4)   Stato di diritto. Lo stato di diritto è un pilastro di qualsiasi forma di governo. In democrazia liberale fa il paio con la rappresentanza. Ebbene, se guardiamo a un caso come quello italiano, lo stato di diritto non è operante, a partire dalla legge fondamentale, cioè dalla costituzione. Oltre allo stratificarsi di normative complesse, fumose e farraginose, che inficiano la legalità rendendo incerto il diritto, osserviamo in questi anni che i trattati e gli accordi europoidi, l’imposizione di “riforme strutturali” (che hanno colpito, in particolare, il mondo del lavoro e le pensioni), in combinato disposto con la perdita di sovranità nazionale stanno azzerando lo stato di diritto, rendendolo un fantasma che si evoca esclusivamente (come la costituzione) per legittimare il sistema. La Dittatura centralista rivoluzionaria, al contrario, si reggerà su un solido stato di diritto e sul rispetto assoluto della legge fondamentale. Non potrà essere diversamente, poiché si contrapporrà alla falsa legalità liberaldemocratica, alle “libertà civili” astratte che sostituiscono i veri diritti, come quello al lavoro, uno stato di diritto operante e orientato alla protezione della società e dei singoli.

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