martedì 23 novembre 2010

Gli intrighi di palazzo e le sorti dell'Italia 



di Lorenzo Dorato

Pochi giorni fa il gruppo Fli (Futuro e Libertà per l’Italia) ha ufficialmente dichiarato che lascerà il governo una volta approvata la manovra finanziaria. La crisi politica è esplicitamente aperta. Il 14 Dicembre Berlusconi chiederà la fiducia alle camere, atto formale per sancire (salvo colpi di scena) la mancanza di numeri per governare con l’attuale compagine uscita dalle elezioni del 2008. Dopo due anni di campagne mediatiche scandalistiche, smarcamenti opportunistici e costruzione laboriosa di un gruppo “dissidente” interno, Fini e i suoi hanno realizzato l’intento (di cui non sono null’altro che gli esecutori) di mettere fuori gioco, salvo colpi di scena, Berlusconi e il suo attuale governo. Fin dall’inizio della legislatura Fini ha condotto un’esplicita azione di costruzione d’immagine, fabbricando il personaggio della destra “pulita”, istituzionale, europea, alla Aznar e Sarkozy (come recitano le parole della fondazione Fare Futuro). Di questa costruzione si è poi servito abilmente sia per giustificare (in termini di presunta coerenza morale) il suo distacco formale da Berlusconi, sia per lanciare una formazione elettorale autonoma post-berlusconiana (con altrettanto probabili alleanze centriste).

Ma cerchiamo di capire cosa realmente sta avvenendo consapevoli della difficoltà di un’analisi di questo tipo in una fase di rapidissimi e complessi cambiamenti. Anzitutto è giusto premettere che sarebbe sbagliato analizzare i fatti attribuendo ruoli certi ai singoli personaggi o gruppi di potere implicati. I ruoli cambiano, si alternano e poi ricambiano, secondo logiche e velocità spesso sfuggenti e difficilissime da determinare. Tuttavia alcuni movimenti di fondo possono essere colti e, in ogni caso, ciò che più importa ai fini di quanto scrivo, è comprendere la natura strumentale di alcuni epifenomeni di superficie che nascondono fenomeni guidati da logiche diverse da quelle apparenti.

Comprendere esattamente le ragioni per cui il governo è stato messo da tempo sotto ricatto tramite continue pressioni sul presidente del consiglio di certo non è cosa semplice. L’unica certezza (punto di partenza per ogni ragionamento non viziato alla base) é che, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, l’attuale instabilità politica non è affatto riducibile a scelte soggettive dettate da divergenze di punti di vista o valori (se così fosse stato gli odierni dissidenti avrebbero avuto mille altre ragioni in passato per smarcarsi dal premier), ma è legata all’esistenza di determinati interessi economico-finanziari interni e internazionali a loro volta legati a rappresentanze politiche che di volta in volta costituiscono fronti, alleanze e ordiscono tradimenti per conto terzi. E’ senza dubbio difficile orientarsi in questo marasma di interessi incrociati. Alcune osservazioni, tuttavia, possono essere fatte, ripercorrendo molto velocemente alcune fasi della recente storia italiana.

Berlusconi ha avuto fin dall’inizio della sua discesa in campo, avvenuta in un pauroso vuoto di potere conseguente alla fine della prima repubblica, importanti nemici interni “non ideologici”, legati al capitalismo italiano delle grandi famiglie storicamente dominanti. Precise vicende lo hanno visto in contrasto con magnati del calibro di De Benedetti (vicenda SME e Mondadori); ma più in generale si può dire che, in quanto politico, sia sempre stato sorvegliato con occhio vigile dagli ambienti imprenditoriali di peso in quanto parvenu troppo intraprendente e orientato a fare affari per proprio conto diretto evidentemente non del tutto compatibili con determinate posizioni di potere consolidate.

A questa particolare posizione interna si sono aggiunte frizioni internazionali a partire dalla legislatura 2001-2006. Campagne di attacchi sono state guidate da riviste come l’Economist, settimanale della finanza anglosassone seguito in breve tempo da giornali come il “New York Times” statunitense “El pais” e “El Mundo” spagnoli e diversi giornali tedeschi. Il tenore delle critiche mosse concernevano inizialmente le incompatibilità del profilo penale di Berlusconi (pluriprocessato) e imprenditoriale (padrone di un impero economico) con il suo ruolo di premier e poi (nell’ultima legisaltura e in forma ossessiva) le sue abituidini sessuali e mondane libertine (oltre che i comportamenti istituzionali poco consoni al proprio ruolo). Sembra difficile immaginare che una così concentrata e ripetuta sequela di attacchi unidirezionali sia esclusivamente frutto di divergenza di opinioni politiche e sincera preoccupazione per le sorti italiane. Almeno in buona parte essi non possono che spiegarsi con l’esistenza di conflitti di interesse materiali e di potere. Berlusconi, infatti, pur identificandosi nella strategia nord-americana bushiana della guerra permanente già dal 2001, assieme agli accoliti Blair e Aznar (con tanto di infame partecipazione alla carneficina irachena nel 2003) ha iniziato ad intessere rapporti, spesso per cointeressanza diretta, con realtà geo-politiche ostili al padrone d’oltreatlantico (in particolare asse nord-africano e Russia). Fu in quella fase che allo storico conflitto intercapitalistico interno (Berlusconi contro parte della vecchia guardia del capitalismo italiano) si aggiunge un conflitto di potere che concerne la scarsa affidabilità di Berlusconi nel gestire senza contraddizioni e imprevedibili salti in avanti gli interessi delle oligarchie capitalistiche europee e nord-americane da sempre capaci di influenzare pesantemente la politica italiana in ordine ai propri voleri. L’instabilità e la scarsa affidabilità di Berlusconi in questo senso, naturalmente, non implicano affatto che egli sia, per contrasto, un difensore degli interessi italiani, quand’anche capitalistici nazionali e che abbia quindi una supposta strategia politica coerente in questa direzione. Berlusconi si muove semplicemente con scarsa predisposizione alla disciplina dettata da determinati centri di potere alternando fasi di integrale sottomissione ad essi a momenti di diversione. Una diversione che, chiaramente, mai ha assunto i tratti di una politica di carattere quanto meno populista, nel senso letterale di “vicina a pur minime istanze popolari”, né si è mai tinta di attitudini realmente critiche verso quelle autorità (quali l’UE) che tengono gli Stati sotto scacco nella loro possibilità di implementare politiche sociali e fiscali realmente autonome. Una diversione, dunque, esclusivamente limitata a temporanee e blande scelte di campo nei confliggenti interessi capitalistici in termini geopolitici (terreno senz’altro importante che comunque non ha visto Berlusconi schierarsi con determinazione in particolari direzioni innovative). Sarebbe quindi un grosso errore vedere in Berlusconi un improbabile campione antiegemonico schierato contro le forze imperialiste occidentali più invasive. Tutt’altro! Il premier italiano è pienamente integrato nella sfera d’influenza occidentale a guida nord-americana e pienamente impegnato nei piani di politica-economica di carattere neo-liberista. Semplicemente svolge il proprio ruolo in maniera troppo ballerina ed eccentrica!

Oggi, un insieme di forze esterne e forze interne (a loro volta influenzate da quelle esterne) non semplici da determinare con esattezza, ma delineabili con approssimazione, hanno deciso che i tempi sono maturi per un cambio di rotta; che Berlusconi, pur avendo servizievolmente favorito i loro interessi a lungo, ha da tempo intrapreso strade non del tutto affidabili e che è ora di sostituirlo con un potere più consono ai propri obiettivi. Questi obiettivi, evidentemente, sono l’accelerazi0ne di processi di svendita del paese in una direzione che vada a favorire determinate cordate economico-finanziarie (e non altre).

Gli eventi correnti, dunque, si configurano come un vero e proprio intrigo di palazzo eterodiretto dagli esiti incerti, così come lo fu con ogni probabilità la caduta del governo Prodi nel 2008, anch’esso probabilmente reo di non aver seguito con alacrità e pienissima dedizione direzioni determinate (vuoi per la presenza di partiti meno allineati che rallentavano il processo, vuoi per iniziali e timide scelte geopolitiche analoghe a quelle in cui si è impantanato Berlusconi).

Simili dinamiche hanno segnato, d’altro canto, l’intera storia repubblicana. E’ noto il fatto che l’Italia é tra i paesi europei più fragili in termini di autonomia politica ed ha subito la pesantissima ingerenza di forze straniere, in primis gli Stati Uniti (che occupano il territorio nazionale con 113 basi militari) e in seconda battuta i paesi europei più influenti. Dalla fine della prima repubblica il restringimento degli spazi di autonomia è andato crescendo simultaneamente alla crescita dell’unipolarismo USA e al processo di integrazione del mercato europeo e la classe politica italiana, spazzata via la corrotta (e sul piano politico infinitamente migliore) classe facente capo alla prima repubblica, tanto nel blocco di potere di centrodestra che in quello di centrosinsitra si è totalmente allineata ai diktat nord-americani mediati quasi sempre dalle tecnocratiche istituzioni centrali europee.

Spesso, tuttavia, tale cieco allineamento cede di alcuni centrimetri, ed è lì che suona l’allarme e i cani da guardia pronti con dossier, scandali, cospirazioni e quant’altro vengono sguinzagliati in libertà, fortificati ovviamente dall’esistenza di concomitanti conflitti di potere interni e conseguenti parti politiche mandatarie cui appoggiarsi.

Affermare che siamo oggi di fronte ad un’infida manovra di palazzo per conto terzi, del tutto estranea a qualsiasi istanza espressa dal popolo sovrano è dunque semplice buon senso (che purtoppo anche le sparute forze politiche sedicenti anticapitalistiche non sanno o non vogliono usare).

Al momento non é chiaro quale sarà con esattezza l’evoluzione degli eventi. I poteri che hanno concorso al rovesciamento di Berlusconi, dapprima con pressioni continue ed ora con un ormai quasi certo rovesciamento, puntano ad un governo tecnico. Le elezioni infatti rischierebbero di riprodurre (anche se non è affatto certo) una situazione identica a quella attuale, o comunque di non configurare un governo “ideale” ai fini dei poteri di cui sopra, vanificando così il piano di sabotaggio. Un governo tecnico potrebbe invece avere un preciso mandato: attuare ulteriori riforme antipopolari favorevoli al grande capitale soprattutto tramite il completamento di alcune privatizzazioni di aziende strategiche in cui lo Stato mantiene ancora residuali posizioni di azionariato e controllo (come ENI, ENEL e FINMECCANICA) e -o liberalizzazioni di diversi comparti economici ancora minimamente protetti per consentire la penetrazione del grande capitale italiano ed estero. Vi è poi un ulteriore margine per il disfacimento del sistema pensionistico pubblico (eleminazione della pensione di anzianità) o della sanità, nonché ulteriori attacchi al diritto del lavoro. Infine in politica estera e commerciale, punto probabilmente importante nella vicenda, si tratterebbe di raddrizzare il bastone verso aperte ed esplicite posizioni estreme atlantiste, chiudendo ogni spiraglio ad accordi economici (in cui ad esempio sono coinvolte ENI e FINMECCANICA) alternativi e (chissà) partecipando a nuove avventure belliche o rafforzando quelle in essere (che recentemente forze come la lega hanno iniziato a trattare con insofferenza, seppur in maniera del tutto innocua). Un governo di questo tipo potrebbe naturalmente assumere diverse forme: presumibilmente potrebbe trattarsi di un centrodestra finiano senza Berlusconi riconfigurato e allargato al centro (UDC, API) e che riceva poi l’appoggio del PD nelle scelte fondamentali. Confindustria, Cisl, Fli, Udc, e Pd sono stati espliciti nel ritenere non auspicabile la soluzione elettorale. Tuttavia l’esito finale della crisi politica non è affatto certo. Non è del tutto escluso infatti che i fedeli berlusconiani e la lega riescano ad imporre, assieme a forze dichiaratesi ambiguamente a favore di questa soluzione (come l’IDV) lo svolgimento di nuove elezioni politiche.

L’unica certezza è che si sta giocando una partita importante e che pertanto interpretare il tutto come una tardiva presa di coscienza da parte dei finiani dell’orrore politico e morale berlusconiano è non soltanto assolutamente riduttivo, ma del tutto sbagliato e carico di gravide conseguenze. Non siamo infatti di fronte a semplice coincidenza tra una presunta volontà soggettiva autentica e una sovrapposta eterodirezione interessata da parte di poteri alieni. Siamo di fronte a un vile e meditato tradimento politico per conto terzi e per scopi completamente antipopolari (tanto antipopolari quanto, e forse più, di quanto sia già antipopolare nei fatti la politica di Berlusconi). Nascondere questo fango dietro l’antiberlusconismo militante è semplicemente indecente, o per lo meno incredibilmente ingenuo.

D’altra parte, una posizione inequivocabilmente contraria all’attuale governo (in primis per le sue scelte politiche in ogni campo ed in seconda battuta per i suoi effetti culturali devastanti) é del tutto compatibile con l’aperta denuncia della “rivolta” delle elites cui stiamo assitendo. Una posizione che sappia smarcarsi dalla presunta necessità di tifare (un tifo che infesta il paese da ormai 15 lunghi anni) tra berlusconismo e antiberlusconismo, tra centro-destra e centro-sinistra. Che sappia comprendere la sostanziale omogeneità politica nelle scelte fondamentali tra Berlusconi e i suoi oppositori. La stragrande maggioranza delle leggi votate dall’attuale governo in termini di politica economica, federalismo fiscale, politica estera (missioni all’estero) sono state apertamente appoggiate dalle opposizioni in parlamento. E queste stesse opposizioni sono le stesse che in una sola legislatura e mezzo (1996-2001), (2006-2008) sono riuscite ad attuare incredibili mutamenti dell’assetto economico-sociale della nazione, privatizzando (a prezzi di svendita spesso) la stragrande maggioranza delle imprese pubbliche, attaccando a più riprese lo Stato sociale, il contratto di lavoro subordinato, e inaugurando (Serbia 1999) la stagione delle nuove guerre umanitarie imperialiste.

Tutto questo, ovviamente, non impedisce di cogliere le peculiarità del potere berlusconiano (incluse le proprie scempiaggini morali che naturalmente disgustano), ma deve obbligare a leggere tali peculiarità all’interno di un contesto complessivo istituzionale, sociale, economico e politico che è stato stravolto, in senso regressivo, con pari responsabilità dalle principali forze politiche che hanno guidato il paese dal 1992 ad oggi.

L’accodamento dei partiti di sinistra (a sinistra del PD) all’accanimento antiberlusconiano infestato da gossip, puttane, moralismi e ipocrisie degne del puritanesimo anglosassone ormai dilagante in Italia, deve far riflettere sulla cronica incapacità di questi partiti di saper assumere una posizione che sia autonoma dal gioco degli specchi del bipolarismo, del progressismo contro il berlusconismo. Un gioco degli specchi che ha reso impossibile la formazione di una terza forza capace, come è oggi il KKE in Grecia, di rimanere su un terreno popolare indipendente dalle logiche di contrapposizione formale e di costume (che non signfica assolutamente disimpegno etico, ma anzi significa riportare l’etica e la morale su un terreno di sostanza liberandola dalla sua forma mediatica strumentale asfissiante).

Anche volendo stare al nucleo principale delle argomentazioni secondo cui Berlusconi rappresenterebbe comunque il male maggiore, è fondamentale impostare il discorso in termini di sostanza respingendo la parzialità con cui viene sempre presentato. Le quattro caratteristiche peculiari del berlusconismo, simulando di mettersi nell’ottica di chi lo ritiene comunque il male maggiore, sarebbero la propensione ad un maggiore sprezzo delle istituzioni e della Costituzione, una cultura ostentata della prevaricazione, dell’arroganza unita a volgarità e machismo, una maggiore tolleranza dell’illegalità ed infine il problema del conflitto di interesse tra la sua posizione di imprenditore e quella di uomo di Stato.

Per quanto concerne il primo punto, bisognerebbe chiedersi quale sia la sostanza della Costituzione italiana. Ebbene essa è l’unità di elementi regolatori istituzionali, politici, economici e sociali. Se la si vuole a tutti i costi limitare ai rapporti formali tra i diversi poteri dello Stato, si sta già accettando il campo di gioco di chi vorrebbe avere il terreno politico spianato per stravolgere il già ampiamente stravolto assetto complessivo dei rapporti economico-sociali del paese. Gli articoli che citano esplicitamente la dignità della remunerazione del lavoro, la limitazione dell’iniziativa privata secondo criteri di pubblica utilità (ovvero il 36 e il 41) sono stati ampiamente stravolti nella sostanza dalle iniziative legislative del centro-sinistra nei suoi catastrofici anni di governo 1996-2001, ad esempio tramite l’invenzione del precariato (legge Treu) e tramite la svendita di gioielli strategici di imprese pubbliche cedute al capitale privato (e spesso estero) in totale contrasto con qualsiasi criterio di pubblica utilità. Sempre l’articolo 36 ha subito una pesante ipoteca dalla rimessa in discussione del sistema pensionistico pubblico fino ad una situazione attuale drammatica in cui gli attuali lavoratori giovani avranno nei casi più fortunati il 40% dell’attuale retribuzione sotto forma di pensione da anziani. Parliamo poi dell’articolo 11 (che impedirebbe il ricorso alla guerra nelle controversie internazionali). Violato esplicitamente dal governo D’Alema ai tempi dell’aggressione con annessi bombardamenti contro la Jugoslavia sovrana (con la scusa della bufala mediatica di un inesistente genocidio di massa); violato ancora nell’ultima legislatura con la prosecuzione dell’illegale guerra in Afghanistan (lautamente rifinanziata) e con l’avallo all’embargo di Gaza, atto di guerra contro una popolazione incarcerata in un fazzoletto di terra.

Se accettiamo il terreno di lettura della nostra Costituzione in termini complessivi, ci accorgiamo facilmente che lo stravolgimento dei suoi cardini e dei cardini politici e sociali del paese è avvenuto in una fase storica con il concorso delle forze politiche eredi del periodo storico di Mani Pulite. Si può anzi dire che in alcuni ambiti fondamentali, quali la privatizzazione a prezzi di svendita del patrimonio pubblico (con veri e propri scandali e pratiche di malaffare) il centro-sinistra assieme ai governi di Ciampi , Amato e Dini, abbia giocato un ruolo preminente.

Veniamo ora al problema culturale. Senza negare i danni culturali del berlusconismo come approccio alla cosa pubblica e alle istituzioni, nonché all’etica collettiva, non si può assolutamente fingere di non vedere che la degenerazione di costume è un fenomeno complessivo che ha investito pesantemente l’intera Europa a partire dagli anni 70-80 con un’accelerazione spaventosa nei terribili anni ‘90. E per costume non ci si deve limitare moralisticamente ai reality show introdotti da Mediaset, alle ballerine e veline che infestano la televisione o alle prostitute del premier, ma ad un complessivo avanzamento delle logiche mercantili, commerciali a tutti piani della società, anche quelli un tempo maggiormente protetti da forme di socialità tradizionali o di gestione pubblica e comune, in un dilagante individualismo pervasivo presentato come unico orizzonte sociale possibile. La trasformazione della scuola avviata da Berlinguer tramite l’autonomia e l’imperversare di logiche di carattere pseudo-pubblicitario; la trasformazione delle USL in ASL (da unità ad aziende sanitarie locali) con conseguente parziale mercificazione della salute; l’aumento esponenziale della pubblicità televisiva e non solo in ogni angolo dello spazio vitale; la degradazione del corpo femminile e maschile ad oggetti di incitamento al consumo; la cultura dello sradicamento, della mobilità, della flessibilità e della competitività; la cultura della liberalizzazione e della privatizzazione come uniche possibili vie per regolare i rapporti economici con la parallela affermazione di una cultura individualistica di mercato.

Sono soltanto alcuni tra i molteplici esempi di fenomeni di devastazione culturale oltre che materiale non certo definibili in via d’esclusiva berlusconiani. Berlusconi, ne è semmai l’effetto grottesco, satiresco e volgare e, in una certa misura, proprio per questo più popolare. Ma la stessa cultura impregna tutte le classi sociali a livelli forse più sofisticati e moderni, ma ugualmente devastanti. E di questa cultura il centro-sinistra non solo è stato impregnato, ma se ne é fatto portatore massimo, apportando una vera e propria trasformazione anche simbolica in ogni ambito del politico, aggiungendo al tutto forti elementi anti-popolari come il disprezzo del proprio paese e la maniacale esterofilia (preferibilmente in direzione anglosassone). La sinistra sedicente anticapitalista ha finto di non vederlo per tanti anni ed anzi si è ritagliata un posto di nicchia in questa divisione dei compiti mercantile, andando a configurare la punta avanzata di una certa liberalizzazione del costume totalmente compatibile ed anzi integrabile nelle dinamiche capitalistiche.

Per ciò che concerne infine il terzo punto, quello della maggiore propensione all’illegalità del potere berlusconiano, ci sarebbe da chiedersi anche in questo caso cosa consideriamo legale (senza assolutamente per questo adottare un punto di vista di tipo estremistico per cui la legge é comunque legge borghese). E’ legale svendere sotto i prezzi di mercato fiori di aziende pubbliche, senza alcuna trasparenza, arricchendo la finanza straniera in un’operazione di proporzioni vastissime? E’ legale e trasparente riempire di denaro della collettività aziende come la Fiat per produrre all’estero? E’ legale sovvenzionare a costi altissimi centri sanitari privati, fondi pensione privati che potrebbero essere gestiti a costi nettamente inferiori dallo Stato? E’ legale la missione in Afghanistan e il sostegno all’occupazione israeliana? A tutti coloro che si occupano con alacrità di legalità, ivi compresi personaggi come Travaglio e Saviano, bisognerebbe chiedere a quale parte del concetti di legalità fanno riferimento.

Sul conflitto di interessi infine, tanto denunciato come anomalia italiana da commentatori anglosassoni ed europei, non si può certo negare che si tratti di un’indecenza. Ma è forse più decente il rapporto di diretta committenza che si instaura tra grande imprenditoria e alta finanza e potere politico nei sistemi capitalistici, rapporto ormai non più mediato da vent’anni a questa parte da forme di mediazione sociale? E’ forse più decente nella sostanza che Prodi abbia per anni servito come consulente la Goldman Sachs e che abbia poi gestito le privatizzazioni italiane, grosso affare in cui la grande finanza americana ha giocato un ruolo determinante?

In definitiva, le supposte peculiarità del berlusconismo, che ovviamente non vanno negate, non possono però condurre ad a-priorisitiche e spesso “estetiche-viscerali” (quando non interessate) teorie del male maggiore. Si tratta del tragi-comico errore politico (frutto di falsi identitarismi autoreferenziali) commesso dai partiti comunisti dopo il 1992, scusabile forse nel 1995-96, ma gravissimo oggi alla luce di quindici anni di esperienza. Un’esperienza che avrebbe da tempo dovuto mostrare come si sia di fronte ad un blocco di potere configgente al suo interno, ma accomunato da identici progetti di annichilimento della società, camuffato da contrapposizioni spesso esasperate proprio al fine di richiamare costantemente la tremenda logica del voto utile, contribuendo a far fuori le ali estreme dal gioco politico elettorale. Sentire oggi Ferrero che prega Nichi Vendola di riunirsi per poi rivolgersi alle altre forze politiche e Diliberto che prega il PD per un’ alleanza neo-ulivista é l’ennesima prova dell’inguaribile subalternità culturale e pratica dei partiti della sinistra a schemi di lettura del reale ridotti a formalismi ideologici o a puro elettoralismo di brevissimo periodo.

L’antiberlusconismo militante, vera e propria piaga culturale e politica, in Italia presenta due manifestazioni concrete: la prima è quella degli oppositori portatori di interessi capitalistici confliggenti con quelli del Cavaliere (antiberlusconismo materiale); la seconda è quella di tutti coloro che, disgustati (a ragione) da alcuni specifici aspetti della politica di Berlusconi, cadendo nella trappola propagandistica, hanno ormai da anni elevato queste specificità a metro di giudizio assoluto e dirimente per le loro scelte di campo: sempre e comunque contro Berlusconi in quanto pericolo autoritario, incarnazione della volgarità estremizzata, calpestatore delle istituzioni, artefice delle leggi ad personam. A tutto questo si aggiunge spesso una carica snobbistica estrema (supportata da vere e proprie centrali di propaganda come il quotidiano la Repubblica, diversi giornali stranieri che presentano macchiettisticamente la politica del belpaese, alcuni nostrani comici “di sinistra”, trasmissioni televisive etc etc). Carica snobbistica che ha stratificato nel tempo una vera e propria cultura soffocante della superiorità morale, che ha prodotto mostruosità concettuali come l’idea di un’Italia divisa in due tra buoni e cattivi, colti e rozzi, amanti delle regole e paraculi, decenti e indecenti; come se davvero lo scontro politico tra centro-sinistra e centro-destra fosse riducibile a queste categorie. Questo secondo tipo di antiberlusconismo di costume è un fenomeno di estrema importanza che ha culturalmente devastato il paese quanto il berlusconismo essendone in definitiva l’altra faccia della medaglia più sofisticata, ma non meno pericolosa. E’ stato cavalcato, per di più da personaggi che contribuiscono a confondere le acque puntando il dito contro fenomeni sì importanti, ma accuratamente selezionati all’interno della complessità dei rapporti sociali. Si tratta di un vero e proprio partito trasversale che é andato a riempire il vuoto lasciato dalle colpe dei partiti comunisti (che brancolano nel buio) e che, pur con tutte le specificità dei singoli, va dalle trasmissioni di Fazio fino a quelle di Santoro, passando per Saviano, Travaglio. Personaggi che al momento opportuno, costruitasi ormai l’immagine pubblica di “affidabili” rivelano tutta la loro integrazione nei peggiori crimini del sistema, mostrandosi (Travaglio e Saviano, non Santoro, su questo punto valida eccezione) complici delle campagne filo-sioniste o imperialistiche di odio contro gli Stati canaglia di turno (si vedano gli sproloqui di Saviano sul caso Neda nel 2009).

Alla luce di tutto questo, la posizione da assumere alla luce degli eventi politici italiani in continuo avvicendarsi, non può essere ipocrita. Per l’ennesima volta il mandato elettorale (di per sé già ridicolizzato a priori dall’oggettiva assenza di sovranità politica e dall’inesistenza di una vera informazione capace di dare minima sostanza alla democrazia) viene in questo paese calpestato a piacimento da poteri economici che se ne infischiano delle scelte popolari, così come se ne strainfischiano delle prostitute del premier, delle leggi ad personam e delle sue vicende giudiziarie. Rifiutandosi di accodarsi alla corte degli antiberlusconiani militanti (interessati, emotivi, viscerali, ipocriti che siano), non si può che denunciare con vigore quanto sta accadendo, senza nulla concedere in termini politici a questo ormai ex-governo di servitori di quello stesso capitalismo sfrenato e antipopolare che i congiurati vogliono servire a loro volta con maggior dedizione preparando nuove strategie di affossamento del paese e delle sue componenti più deboli.

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