giovedì 14 ottobre 2010

Contro il nuovo patto sociale















Area Programmatica “La CGIL che vogliamo”: il futuro Movimento Anticapitalista italiano? 
 
  

 
di Eugenio Orso

 

Venerdì 24 settembre ho partecipato alla costituzione dell’Area Programmatica “La
CGIL che vogliamo” in provincia di Trieste, città in cui lavoro e in cui risulto uno
dei tanti tesserati Fiom.
L’incontro fondativo dell’Area è avvenuto di pomeriggio, nella Casa del Popolo
[ebbene sì, le Case del Popolo esistono ancora, pur non essendo esattamente quelle
dei tempi “arcadico‐guareschiani” di Peppone e Don Camillo] in quel di Borgo San
Sergio alla periferia di Trieste.
Le componenti sindacali presenti in loco, con prevalenza di membri dei direttivi,
erano quelle solite dei metalmeccanici Fiom, della Funzione Pubblica e dei bancari
all’interno della CGIL – coloro che hanno sostenuto la mozione congressuale
numero due, per intenderci, in contrapposto alla CGIL burocratico‐formale e
“attendista” di Guglielmo Epifani – ma l’incontro era aperto a tutti i lavoratori
interessati, senza preclusioni di sorta, così come dovrebbe essere quando si cerca di
“riattivare” in situazioni sociali difficili l’efficacia dell’azione sindacale, e di
estendere la base del consenso a tutta l’area del lavoro dipendente, intellettuale e
materiale, impiegatizio e operaio, pubblico e privato, sfruttato e ri‐plebeizzato da
questo capitalismo con l’evidente complicità della politica “ufficiale” e del
sindacalismo giallo.
Atteso in apertura dei lavori l’intervento di Giorgio Cremaschi, che personalmente
si pone come uno fra i tanti fondatori dell’Area, ma che molti militanti riconoscono
spontaneamente [è inutile negarlo perché in questo non c’è niente di male] come la
figura di riferimento, e un vero leader, in un clima di libertà di pensiero e di critica
che in futuro dovrà caratterizzare l’Area Programmatica ed estendersi a tutta la
CGIL.
Quando le situazioni diventano difficili e i passaggi da affrontare sono passaggi
storici, come accade oggi in Italia, gli aspetti burocratici e l’ordine gerarchico, se
d’ostacolo all’elaborazione del nuovo e al cambiamento, si possono superare più
facilmente, e la costruzione del nuovo, alla quale tutti sono chiamati a partecipare
prescindendo dalle posizioni gerarchiche precedenti, non può che essere frutto di
un’azione collettiva, in cui ogni singolo attore è importante, ed in cui pesa il libero
contributo di ciascuno.
Abbiamo alle spalle quasi un trentennio di attacchi mirati al lavoro, di deemancipazione,
di manipolazioni giuslavoristiche orientate alla precarietà e alla
demolizione delle garanzie pregresse, di privatizzazioni selvagge, di
“liberalizzazioni” devastanti e di svendite al grande capitale del patrimonio
pubblico





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